Il film: Saltburn, 2023. Regia: Emerald Fennell. Cast: Barry Keoghan, Jacob Elordi, Rosamund Pike, Richard E. Grant, Carey Mulligan. Genere: Commedia, Grottresco. Durata: 127 minuti. Dove l’abbiamo visto: Alla 18° Festa del Cinema di Roma, in anteprima stampa.
Trama: Uno studente universitario di umile estrazione sviluppa un’ossessione malsana per un suo compagno di studi, rampollo di una famiglia ricca e aristocratica.
Non era semplice indossare correttamente quei pesanti stivali da fulminante esordio cinematografico, eppure l’attrice e sceneggiatrice britannica Emerald Fennell lo ha fatto con caparbia ed immenso talento dietro la macchina da presa. In veste di regista aveva esordito nel 2020 con l’originale revenge movie Una donna promettente, con un’indimenticabile e furiosa Carey Mulligan; alla 18° Festa del Cinema di Roma debutta invece con Saltburn, seconda esperienza sulla sedia da regista per la cineasta premio Oscar, che stavolta confezione un’opera per grande schermo altrettanto anticonformista, provocatoria, sensuale e perversa.
Nella nostra recensione di Saltburn ci immergeremo nelle ispirazioni cinematografiche del passato che hanno aiutato Emerald Fennell a dare vita a questo curioso ed inebriante film di vendetta, che con il precedente condivide di certo l’assunto, ma non aspirazioni, struttura ed obiettivi di contenuto. Con un cast di prim’ordine capitanato da un sempre più lanciato Jacob Elordi ed un Barry Keoghan al massimo delle sue attuali possibilità recitative.
La trama: il talento di Oliver Quick
Lottando per trovare il proprio posto all’Università di Oxford, Oliver Quick (Barry Keoghan) si ritrova attratto dal mondo e dalle persone che circondano l’affascinante e aristocratico Felix Catton (Jacob Elordi), che prima lo accoglie sotto la sua ala amica, poi lo invita alla tenuta di Saltburn, il maestoso ed avito maniero appartenente alla sua eccentrica famiglia. Insieme, Oliver e Felix trascorreranno lì un’estate indimenticabile, anche se ben presto le vere intenzioni dietro a quell’invito verranno svelate. Con conseguenze perverse e scioccanti per tutti coloro che oseranno intromettersi tra il giovane Felix ed un sempre più inquietante ed ossessivo Oliver.
Presentato in anteprima italiana alla 18° Festa del Cinema di Roma ed in arrivo nelle sale statunitensi a partire dal 17 novembre con Amazon Studios ed MGM, Saltburn è il secondo tentativo dietro la macchina da presa per il premio Oscar Emerald Fennell, che qui si occupa ancora una volta della regia, la sceneggiatura e la produzione di una sua creatura cinematografica. Con risultati a conti fatti minori rispetto al capolavoro post-femminista Una donna promettente, ma che nonostante tutto mantiene la promessa di sollevare discussioni, analisi e riflessioni di non poco conto sul privilegio sociale e sulla decadenza morale di una borghesia contemporanea in frantumi etici e morali.
Tra Charles Dickens e Pier Paolo Pasolini
Chiariamolo sin da subito: Saltburn è quanto di più strutturalmente lontano la cineasta inglese potesse realizzare rispetto al fulminante esordio di Promising Young Woman, anche se in nuce ne rispetta e ne condivide molto probabilmente tutti i crismi di un revenge movie con i fiocchi. Totalmente scevro da spinte conformiste ed impreziosito da uno sguardo ai sui personaggi spietato e senza mediata compassione, il secondo film diretto da Fennell sorprende, cattura e disgusta per coraggio e senso della provocazione. Attingendo a mani piene da suggestioni letterarie e cinematografiche apparentemente lontane eppure così vicine, la regista imposta la sua dark comedy a partire dal romanzo di formazione che ha reso celebre nel XIX secolo il romanziere Charles Dickens.
A partire dal nome e dall’incipit narrativo nel quale facciamo la conoscenza del nostro protagonista, l’Oliver Quick interpretato da un enigmatico e disturbante Barry Keoghan, qui ad una riuscitissima prova del nove davanti la macchina da presa dopo la meritata candidatura all’Oscar per Gli spiriti dell’isola. Come nei migliori romanzi dello scrittore britannico, Quick si introduce nell’ambiente universitario scalando con non poche difficoltà la gerarchia e il privilegio sociali, arrivando a fare amicizia con l’aristocratico e donnaiolo Felix Catton, figlio di una famiglia alto-borghese di cui presto farà la conoscenza ravvicinata.
Nell’elegante e decadente tenuta gotica di Saltburn, Oliver Quick imparerà presto ad entrare nelle sottili grazie di Sir James Catton (Richard E. Grant), sua moglie Elsbeth (Rosamund Pike), il frizzante ed imprevedibile cugino di Felix, Farleigh Start (Archie Madekwe) e dell’affascinante Venetia Catton (Alison Oliver), sorella apparentemente inavvicinabile dello scultoreo personaggio interpretato da Jacob Elordi. Sarà un’estate indimenticabile e perversa, nella quale Oliver rivelerà progressivamente le sue vere intenzioni nei confronti della fredda famiglia aristocratica, in un letale gioco di seduzione e sensualità che dapprima prende il sapore dei migliori romanzi di Patricia Highsmith (su tutti, la reference dominante e più naturale è quella de Il talento di Mr. Ripley), poi si tramuta in scomoda scalata social-sessuale che omaggia con rispetto ed originalità il seminale Teorema di Pier Paolo Pasolini.
Nascita di un antieroe arrivista
Avvolto da una fumosa e chiaroscurale direzione della fotografia curata dal premio Oscar Linus Sandgren (La La Land), Saltburn è un viaggio cinematografico di natura psicosessuale che valorizza i contrasti e le contraddizioni del suo ombroso protagonista attraverso una messa in scena cromatica e contenutistica di grande effetto. Si ha la sensazione, a confezione aperta, che il secondo lungometraggio scritto e diretto da Emerald Fennell viaggi su binari di certo meno battuti rispetto agli slanci post-femministi (ma forse generalmente più riusciti nella sua interezza) di Una donna promettente, eppure Saltburn si prende la briga non indifferente di consegnare al pubblico di spettatori contemporanei uno spaccato caustico e venefico di una neo-borghesia attuale sull’orlo di un inevitabile precipizio etico e morale.
Ad accelerare il processo di raccolta cinerea dei rimasugli patetici ed apparentemente inaccessibili di tale ex-aristocrazia, ci pensa però l’ambiguo Oliver Quick, che approccia, si insinua, seduce, scopa e distrugge dall’interno la famiglia Catton, come novello ed inedito antieroe letterario arrivista ed imprevedibile, che per punire le sue vittime designate si sporca le mani dello stesso sudiciume emotivo di cui esse erano imbrattate. Missione per conto di una rivalsa sociale che lascia dietro di sé distruzione e detriti, mattoni che sostengono le fondamenta di un maniero solitario ed antico finalmente vuoto, libero di respirare vivifica aria assolta dai peccati dei suoi inquilini spettrali.
La recensione in breve
Il secondo lungometraggio dietro la macchina da presa di Emerald Fennell schiva ogni preconcetta aspettativa e sovverte sistemi e classismi sociali a favore di un racconto a cavallo tra il romanzo di formazione di Charles Dickens, l'ambiguità di Patricia Highsmith e la sfrontatezza sessuale di Pier Paolo Pasolini. Il risultato è un film sensuale e perverso di cui se ne discuterà ancora per molto.
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