Il film: Se solo fossi un orso (Baavgai Bolohson), 2023. Regia: Zoljargal Purevdash. Cast: Battsooj Uursaikh, Batmandakh Batchuluun, Tuguldur Batsaikhan, Batzorig Sukhbaatar, Ganchimeg Sandagdorj, Davaasamba Sharaw.
Genere: drammatico. Durata: 96 minuti. Dove l’abbiamo visto: al Festival di Cannes, in lingua originale.
Trama: La vita di una famiglia povera nella capitale della Mongolia.
Tra gli elementi più piacevoli di un grande festival internazionale come quello di Cannes c’è la possibilità di scoprire, spesso rovistando tra le sezioni considerate “minori” (per lo meno sul piano mediatico), titoli rappresentativi di cinematografie meno note, che si avvalgono proprio dei festival per uscire dai confini nazionali. Tale è stato il caso, nel 2023, di un’opera prima selezionata in Un Certain Regard, un lungometraggio proveniente dalla Mongolia, nazione mai presente nella Selezione Ufficiale di Cannes prima di allora. Un film piccolo, delicato, che è riuscito a farsi apprezzare a tal punto da attirare anche l’interesse di un distributore italiano, la Trent Film, che ora porta nelle nostre sale l’esordio di Zoljargal Purevdash, di cui parliamo in questa recensione di Se solo fossi un orso (traduzione abbastanza fedele dell’originale, mentre altri mercati hanno optato per il più diretto e meno figurato If Only I Could Hibernate, se solo potessi ibernarmi).
Un duro inverno
Ulzii ha quindici anni e vive nell’area più povera di Ulaanbaatar, la capitale della Mongolia, con la madre e i tre fratelli minori. La genitrice, rimasta vedova, deve prendersi cura della famiglia da sola, ma il ragazzo sogna un futuro migliore grazie a un concorso di fisica, materia in cui è particolarmente ferrato, con in palio una borsa di studio che gli darebbe accesso a una delle migliori scuole del paese. Ma non è semplice, soprattutto quando la madre, alcolizzata e analfabeta, improvvisamente lascia la dimora di famiglia (un cosiddetto yurt) per recarsi in campagna per lavorare nei campi. Ulzii deve quindi occuparsi di due fratelli (il più piccolo è stato provvisoriamente affidato a un parente) e cercare di sopravvivere all’inverno (da cui il titolo del film, un commento pronunciato una sera a casa) mentre allo stesso tempo si impegna sul piano accademico, cosa non facile per via delle nuove responsabilità domestiche.
Talenti locali
Al netto dell’ottimismo di fondo che caratterizza il film, con un tocco semplice e delicato che non cerca di sottolineare lo squallore per vincere facile sul piano emotivo, si percepisce anche l’oggettiva difficoltà a cui è andata incontro la regista per realizzare la pellicola, girata in loco nella zona meno abbiente della regione di Ulaanbaatar e con non professionisti di quell’area, conditio sine qua non per poter completare il progetto poiché il cast doveva essere in grado di cavarsela in condizioni climatiche non sempre favorevoli. E se non è ancora dato sapere se questi giovani interpreti continueranno su questa strada, questo è un buon inizio grazie al loro naturalismo che nutre la verosimiglianza di un soggetto profondamente ancorato nella realtà regionale ma al contempo dotato di un fascino universale, incarnato da tematiche non strettamente legate alla società mongola ma arricchite da piccoli guizzi di specificità. Una storia semplice ma non banale, che arriva sullo schermo con precisione e sincerità.
La recensione in breve
Una storia dai contorni riconoscibili acquisisce una sua pregevole specificità tramite l'esplorazione dei rapporti famigliari nella capitale della Mongolia.
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