Il film: Sèr Sèr Salhi – City of Wind, del 2023 Regia: Lkhagvadulam Purev-Ochir. Cast: Tergel Bold-Erdene, Nomin-Erdene Ariunbyamba, Bulgan Chuluunbat. Genere: Drammatico. Durata: 103 minuti. Dove l’abbiamo visto: In anteprima al Festival di Venezia.
Trama: Il 17enne Ze è uno studente determinato a raggiungere il successo nella gelida e ostile società della Mongolia contemporanea. Al tempo stesso, il giovane continua a praticare gli antichi riti dello sciamanesimo per proteggere la sua comunità. L’incontro con la bella Maralaa, però, cambierà ogni cosa…
Quello della regista mongola Lkhagvadulam Purev-Ochir è un nome ormai affermato nel mondo dei cortometraggi: nel 2020 con il suo Mountain Cat ha partecipato al Festival di Cannes per poi conquistare il primo premio alla kermesse asiatica di Busan, mentre l’anno scorso Snow in September si è aggiudicata il primo premio alla 79esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nella categoria Orizzonti, per poi conseguire il medesimo riconoscimento anche al Toronto International Film Festival.
È a partire da questo palmarès di tutto rispetto che Purev-Ochir compie ora il grande passo e debutta finalmente nel mondo dei lungometraggi con Sèr Sèr Salhi – City of Wind, un film che nelle scorse settimane Variety ha definito un “teenage shaman drama“, accostando l’idea del coming-of-age adolescenziale alle millenarie tradizioni spirituali dell’Asia centrale.
Del resto, è proprio sulla sottile linea di confine che separa la frenetica realtà contemporanea e la suggestiva spiritualità senza tempo delle tribù e degli sciamani che si muove la Mongolia di oggi, costretta a cercare un improbabile punto di sintesi tra il mondo della città e quello della steppa.
Scopriamo qualcosa in più con la nostra recensione di Sèr Sèr Salhi – City of Wind .
La trama: una dolce storia d’amore adolescenziale
Nella multiforme e contraddittoria Ulan Bator, una bizzarra città in cui le bianche yurte della tradizione mongola – circondate da esili palizzate di legno – sorgono a poca distanza da giganteschi complessi industriali e scintillanti grattacieli in vetro, il 17enne Ze conduce una doppia vita.
A casa, su richiesta di chiunque stia attraversando un momento di difficoltà, il ragazzo pratica la millenaria tradizione dello sciamanesimo, indossando il tipico costume piumato e percuotendo un tamburo a cornice che gli consente di ergersi a mediatore tra il mondo degli spiriti e la realtà terrena.
Sui banchi di scuola, invece, Ze è uno studente modello, che studia duramente per conquistare il diploma, indossa impeccabilmente la divisa liceale e rispetta alla lettera la ferrea e spietata disciplina imposta dalla sua insegnante, decisa a forgiare una nuova generazione di futuri dirigenti.
Un giorno, una donna si rivolge a lui e sua madre per ricevere assistenza sciamanica in vista di una circostanza particolarmente difficile, ossia un’operazione cardiochirurgica che potrebbe mettere in pericolo la vita di sua figlia Maralaa.
La giovane, però, è un’adolescente scettica e ribelle, che non esita a metterne apertamente in dubbio le presunte capacità soprannaturali.
Turbato dalla sfrontatezza della ragazza, incredibilmente bella e sicura di sé, Ze si reca all’ospedale per sincerarsi che la sua operazione alla valvola aortica sia andata bene.
Inizia così un’amicizia che, ben presto, si trasforma in una dolce e intensa storia d’amore.
Grazie a Maralaa, Ze si trasforma, matura e inizia a mettere in discussione il mondo che lo circonda e le sue assurde convenzioni sociali, fino a raggiungere, per la prima volta della sua vita, un vero stato di trascendenza spirituale…
Un orizzonte dualistico
“Ti sei mai sentito – chiede a un tratto Maralaa al protagonista – come se il tuo corpo fosse diviso in due?“.
È il tema del dualismo a dominare l’intero lungometraggio, declinato dalla regista sotto una varietà di punti di vista sempre differenti.
C’è l’antitesi tra antico e moderno, che la regista immortala con una pregevole serie di campi lunghi dedicati ai mille volti di Ulan Bator.
C’è la dialettica tra sacro e profano, tra mondo degli spiriti e vita liceale, ma ci sono anche le due spinte contrapposte che dilaniano il cuore di Maralaa: da un lato il suo legame forte e sincero con Ze, e dall’altro la distanza dal padre, che dopo il divorzio si è trasferito in Co-rea.
Ma, soprattutto, il film è caratterizzato dalla dualistica contrapposizione tra ciò che la società pretende dal protagonista e il sentiero di indipendenza che il giovane invece finisce per intraprendere dopo il suo incontro con Maralaa.
Un conflitto insanabile tra il bene e il male, o, meglio, tra ciò che le rigide norme comportamentali della Mongolia di oggi classificano come tali, senza mai curarsi di scavare un po’ più a fondo.
Utilizzando il potere della fotografia, ma anche una solida sceneggiatura, la regista fa un ottimo lavoro nel raccontare per immagini questo frammentario orizzonte dualistico, facendo esplodere tutte le contraddizioni insite nella società del suo paese.
Iniziazione e adolescenza
Secondo il noto antropologo e storico delle religioni Mircea Eliade, in antichità quello sciamanico era un percorso iniziatico: chi aspirava a diventare un intermediario tra il cielo e la terra – nonché tra il mondo dei morti e quello dei viventi – doveva sottoporsi a un duro cammino di auto-perfezionamento scandito da test continui.
Solo dopo aver superato tutte le prove avrebbe finalmente avuto il diritto a costruire un suo tamburo, viatico per attraversare la soglia delle due realtà e raggiungere la piena illuminazione.
Da parte sua, il giovane Ze invece eredita una tradizione millenaria, un ruolo e un tamburo, ma non è ancora pronto per volare per davvero sui tetti della “città del vento”.
Il cammino iniziatico che lo attende, però, non passa per gli stravaganti rituali della steppa, bensì consiste nell’attraversare l’età dell’adolescenza, scoprire l’amore per la prima volta, sfidare gli ostacoli sociali, riconciliarsi con la sorella maggiore, e diventare una persona adulta e consapevole.
Un percorso che coincide con la maturazione, il passaggio verso l’età adulta: è così che il tema universale del coming of age si salda con la millenaria spiritualità della Mongolia, regalandoci una storia semplice, genuina e convincente.
La recensione in breve
City of Wind fa incontrare un racconto di formazione adolescenziale con le millenarie tradizioni spirituali dello sciamanesimo, e mette a fuoco il cammino di maturazione del protagonista tramite una valida regia e una fotografia particolarmente ispirata.
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