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Home » Film » Recensioni film » Siccità, la recensione del film apocalittico di Paolo Virzì

Siccità, la recensione del film apocalittico di Paolo Virzì

La recensione di Siccità, il nuovo film distopico diretto da Paolo Virzì e presentato Fuori Concorso a Venezia 2022.
Claudio GarganoDi Claudio Gargano9 Settembre 20227 min lettura
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Il film: Siccità, del 2022. Regia di Paolo Virzì. Cast: Silvio Orlando, Claudia Pandolfi, Valerio Mastandrea, Vinicio Marchioni, Manica Bellucci, Tommaso Ragno.
Genere: distopico. Durata: 124 minuti. Dove lo abbiamo visto: al Festival di Venezia 2022.

Trama: In una Roma di un futuro molto prossimo, la siccità e il razionamento dell’acqua attanagliano gli abitanti. Come se non bastasse, una nuova epidemia, forse connessa alla siccità, si affaccia all’orizzonte. Le storie di numerosi personaggi, colti nelle proprie debolezze e meschinità, si intersecano sull’orlo dell’apocalisse incombente.


Due personaggi, un uomo e una donna, guidano un’auto a velocità sostenuta, immersi in una Roma notturna e inquietante, mentre il flautista di un’orchestra, visibilmente sudato, si sente male e sviene. Un tassista, anche lui sudato, oltre che assonnato, carica un coreano, accompagnato dalla moglie, che si chiama Bong-Joon-Ho, proprio come il regista di Parasite; sarà un caso? Certamente no.

Al telegiornale si parla di una terribile siccità che affligge la capitale da ormai un anno e del fatto che tra una decina di giorni verrà sospesa l’erogazione pubblica dell’acqua. Un esperto di eco-sostenibilità parla del problema in Tv. Un influencer, più agee rispetto alla media, elargisce consigli e perle di saggezza sui social. Potrebbe essere l’incipit di America Oggi (Short Cuts in originale), capolavoro di Robert Altman che proprio a Venezia vinse il Leone d’oro nel 1993, in cui si respirava un’atmosfera quasi apocalittica, con gli elicotteri che sorvolavano Los Angeles per debellare le cavallette, con le storie di decine di personaggi che si intersecavano.

SI tratta invece della nuova opera filmica di Paolo Virzì che, intercettando le ansie collettive attuali, ha confezionato un film semi-apocalittico, trasfigurando ciò che abbiamo vissuto negli ultimi due anni con la pandemia in qualcosa di analogo e altrettanto inquietante. È di storie che si incrociano e di ambientazione distopica che parleremo dunque nella recensione di Siccità, fuori concorso alla 79° Mostra Cinematografica del Cinema di Venezia.

Storie che si intersecano

Virzì e Mastandrea
Come intuibile, Siccità è una storia corale, in cui le vicende di diversi personaggi si incrociano a formare un quadro di varia umanità alle prese con una terribile crisi. Tradimenti, piccole vigliaccherie, egoismi, violenze e altre amenità vengono fatte detonare da una situazione limite, come quella della siccità, a cui si aggiunge anche la paura di una nuova epidemia, forse connessa proprio alla siccità e alla sporcizia, conseguente all’acqua razionata e agli insetti che proliferano, blatte soprattutto. Mentre nel resto della città vigono leggi che impongono un massimo di 5 litri pro-capite di acqua al giorno, proibendone tutti gli usi che non siano quelli di dissetarsi e lavarsi un minimo, il proprietario di un lussuoso resort garantisce ai suoi clienti piscine termali, fontane e tutti i comfort di una tipica Spa. Da qui si scatenano legittime proteste. Tra i tanti personaggi di cui seguiamo le storie c’è anche quella di un galeotto, Silvio Orlando, che dopo 25 anni di prigione si ritrova, per sbaglio, a uscire, e trova un mondo decisamente cambiato.

Meschinità trasversali

Siccità-proibito innaffiare
Il campionario di umanità che si trova ad avere a che fare con la siccità non è altruista, né generosa e disponibile, tranne rare eccezioni, e attraversa, in modo trasversale, tutte le classi sociali, dai meno abbienti ai più ricchi. Ma lo sguardo di Virzì non è mai giudicante, bensì compassionevole nei confronti di persone normali che si ritrovano in circostanze eccezionali e che non si trasformano in eroi come nei film americani, ma invece si arrabattano come possono. Ciò che esce fuori è infatti un senso, molto vero e molto comprensibile, di inadeguatezza degli esseri umani di fronte alle tragedie collettive, o semplicemente di fronte alle piccole apocalissi personali, che circostanze del genere provocano. Proprio come nei racconti di Raymond Carver, da cui era tratto il già menzionato cult di Altman, in cui venivano presentati altrettanti casi di inadeguatezze e conseguenti comportamenti esecrabili o meschini, in cui non c’era giudizio ma solo profonda comprensione per le debolezze che, prima o poi tutti, tocchiamo con mano nella vita.

Apocalypse Now


È molto importante e ammirevole lo sforzo produttivo fatto per realizzare quello che si potrebbe definire tranquillamente un film apocalittico, o comunque a carattere distopico, genere in cui il cinema italiano raramente si è cimentato (si veda comunque il bel film di Claudio Cupellini La terra dei figli del 2021) e che invece è stato largamente inflazionato negli Stati Uniti. Si vedano per esempio le panoramiche dall’alto del letto del Tevere svuotato, con un colosso romano ritrovato tra il fango e la spazzatura. Quando non scade nel già visto, il genere distopico può essere un’efficace metafora di storture sociali e morali del presente e in questo Paolo Virzì riesce perfettamente, realizzando un instant-movie a tutti gli effetti che, non solo intercetta le ansie del presente rispetto alla pandemia appena vissuta (e non ancora scongiurata), ma diventa anche profetico rispetto all’attuale situazione di siccità in cui versano il nostro paese e il resto dell’Europa durante questa torrida Estate 2022.

L’ultimo capodanno

L'ultimo capodanno
Ma i riferimenti del film di Virzì non sono soltanto nella letteratura e nei film americani, perché nella scrittura di Virzì e dello sceneggiatore Paolo Giordano ravvisiamo chiari echi di Niccolò Ammaniti che, con romanzi come Che la festa cominci e Anna (da cui fu tratta l’anno scorso una serie Sky) ha fatto respirare anche ai lettori italiani l’aria di un’apocalisse incombente. Se pensiamo inoltre a quella affascinante scheggia filmica impazzita che fu L’ultimo capodanno, diretto nel 1998 da Marco Risi, poco compreso all’epoca e tratto proprio dai racconti di Ammaniti, in cui si incrociavano storie di varia umanità fallita e meschina, alle soglie del capodanno del 2000, allora il cerchio si chiude.

Curiosa coincidenza, la presenza in entrambi i film di Monica Bellucci: in quello di Risi tra l’altro fece scalpore per un nudo frontale. Qui troviamo invece la Monica nazionale nel ruolo di una star del cinema (in effetti riferibile a lei, se si vuole) che irretisce, mettendolo di fronte alle sue contraddizioni, l’esperto (incarnato da Diego Ribon) di eco-sostenibilità che interviene quotidianamente in Tv, personaggio in cui sono celati, ma neanche tanto, i nostri esperti, gli ospiti perenni delle trasmissioni, Crisanti e Burioni. Anche da questi dettagli è chiaro come Virzì abbia saputo cogliere, tramite la sua scrittura graffiante, criticità attualissime.

Ritmo e cast


Pregio di Siccità è anche il ritmo serrato, all’americana, con cui si susseguono e intersecano le vicende e i personaggi, non lasciando quasi il tempo allo spettatore di orientarsi tra i collegamenti che sussistono tra le varie linee narrative, ma va bene così. Ci si lascia andare volentieri a questo ritmo, che ci piacerebbe trovare anche in altri film italiani, e così il film scorre via benissimo, supportato da un ottimo cast che va da Valerio Mastandrea a Claudia Pandolfi e Monica Bellucci, da Tommaso Ragno a Vinicio Marchioni, da Max Tortora a Silvio Orlando che ritroviamo in un carcere dopo Ariaferma, stavolta in un ruolo più dimesso, ma con un grande segreto da nascondere.

Senza anticipare nulla del finale possiamo dire che Virzì, come suo solito, non è consolatorio, sebbene un filino di speranza ce lo regali. Ma soprattutto, ciò che accompagna la coscienza dello spettatore anche dopo la visione è l’impressione, in parte catartica, in parte inquietante, di aver assistito a un’opera che ha saputo coagulare con efficacia e raro tempismo le angosce collettive di un presente che, sempre più, vive il costante sentore di una apocalisse incombente.

La recensione in breve

7.5 Distopico

Paolo Virzì realizza un serrato istant-movie, intercettando le paure collettive attuali e canalizzandole in una storia corale, dal ritmo sostenuto, supportata da un ottimo cast. Il cinema italiano diventa apocalittico, o se vogliamo, distopico, con in più la penna graffiante tipica della commedia non consolatoria dell’autore di Ferie d’Agosto.

  • Voto CinemaSerieTV 7.5
  • Voto utenti (2 voti) 6.4
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