Il film: Tatami, 2023. Regia: Guy Nattiv, Zar Amir Ebrahimi. Cast: Arienne Mandi, Zar Amir Ebrahimi. Genere: thriller, sportivo. Durata: 105 minuti. Dove l’abbiamo visto: al Festival di Venezia 2023.
Trama: Leila e la sua allenatrice Maryam raggiungono Tbilisi, dove si stanno per tenere i mondiali di Judo. A metà dei campionati, le due ricevono un ultimatum da parte della Repubblica Islamica di Iran per fingere un infortunio e ritirarsi dalla competizione.
Lo sport non è mai solo una faccenda di atletica. Non è solo sforzo fisico e sudore. Non è mai solo una questione da risolvere nel rettangolo del campo da calcio o nelle quattro mura di una palestra. Lo sport muove valori e muove sentimenti. Lo sport è politica, perché le squadre e gli atleti sono amplificatori sociali e identitari, portatori di ideali. Talvolta beceri, violenti e da estirpare – basti guardare a molti movimenti ultras calcistici, appendici di interessi tribali e criminali. Talvolta nobili, ampi ed espressione di esigenze di una generazione, di un popolo, di una nazione. In questa recensione di Tatami, film in concorso nella sezione Orizzonti dell’80esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia diretto da Guy Nattiv e Zar Amir Ebrahimi, vedremo come nel quadrato del tappeto dove lotta la judoka protagonista si scontrino l’ambizione personale e le ombre di un Paese in fiamme.
La trama di Tatami
Leila (Arienne Mandi) e la sua allenatrice Maryam (la stessa Ebrahimi) raggiungono Tbilisi, dove si stanno per tenere i mondiali di Judo. A metà dei campionati, le due ricevono un ultimatum da parte della Repubblica Islamica di Iran, che ordina a Leila di fingere un infortunio e ritirarsi per evitare di incontrare in uno degli incontri successivi una judoka israeliana ed essere quindi bollata come traditrice dello Stato.
Con la propria libertà e quella della sua famiglia in gioco, tenuta sotto costante minaccia dagli agenti del regime, Leila si trova di fronte a una scelta impossibile: obbedire agli ordini che arrivano dai vertici dello Stato, come la sua allenatrice Maryam la implora di fare, o continuare a combattere per l’oro.
Un’operazione non facile
L’Iran è da diverso tempo al centro dello sguardo internazionale. Un Paese dove le libertà personali e individuali sono sempre più limitate, strette in una morsa in cui a pagare lo scotto sono principalmente le donne, obbligate, tra le altre cose, a osservare rigorose norme di abbigliamento e decoro. È di soli pochi mesi fa la mobilitazione popolare – soprattutto giovanile – che ha tentato di dare uno scossone alle radici integraliste del regime, costretto a fare i conti con centinaia di migliaia di persone scese in piazza. Uno smottamento represso duramente nel sangue, che è riuscito comunque nell’intento di far accendere i riflettori sullo stato di cose in Iran e ad allargare un minimo, ma chissà per quanto, le dure maglie della polizia sul rispetto della morale.
È doveroso partire da questa piccola panoramica per ricordare che fare un film in Iran o sull’Iran non è cosa scontata. Lo sanno bene i cineasti iraniani che hanno conosciuto da molto vicino le prigioni del loro Paese, come Jafar Panahi, Mohammad Rasoulof o Saeed Roustayi. Allora già dalla sua premessa Tatami non è un film come gli altri. Perché innanzitutto è il primo film co-diretto da un regista israeliano e una regista iraniana, un ponte culturale che già nelle intenzioni mostra una presa di posizione netta ed evidente.
Non è un film come gli altri perché al centro del suo racconto c’è una donna, lottatrice di natura e di professione, che rivendica il diritto alla competizione urlando contro ai sordi interessi ideologici del suo Paese che provano a impedirglielo. Non è un film come gli altri perché riesce in un’impresa che riesce davvero a pochi, ovvero quella di amalgamare (la sceneggiatura è di Nattiv assieme a Elham Erfani) in maniera omogenea il portato concettuale e politico senza per questo rinunciare a farsi opera avvincente, ritmata, tesa come una corda di violino.
Una dichiarazione intelligente
Tatami è infatti un manifesto firmato con il sangue, ma è anche un thriller, così come un film sportivo a tutti gli effetti. Ed è incredibile come tutte queste anime riescano a conciliarsi con questa grande armonia, a lasciare con il fiato sospeso durante ogni incontro che Leila combatte compressa nel 4:3 in bianco e nero che per una volta è scelta sì estetica, ma non ingombrante. Tra un incontro e l’altro che scandisce la scalata verso il podio, si consuma poi il dramma delle minacce e delle ingerenze, dove la frustrazione di una davvero ottima Mandi va a scontrarsi con gli occhi sofferenti e terrorizzati di Ebrahimi, in un vortice dove è davvero difficile scorgere una ragione unica e assoluta.
E uno degli aspetti più interessanti e riusciti di Tatami è anche il fatto di vederlo ragionare su e attraverso il corpo femminile, riconfigurato come vero e proprio mezzo di espressione, riappropriato strumento attraverso il quale lanciare una dichiarazione – chiara e liberatoria in uno dei momenti finali del film. Un’opera notevole, che fa delle proprie urgenze espressive una virtù, calibrata con grande intelligenza e con grande trasporto.
La recensione in breve
Tatami è un film che riesce a conciliare in maniera intelligente e coerente le sue molte anime. Un'opera dalla grande urgenza politica e sociale, che però non rinuncia ad essere anche un teso thriller sportivo.
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Voto CinemaSerieTV