Il film: The Brutalist, 2024. Regia: Brady Corbet. Cast: Adrien Brody, Felicity Jones, Guy Pearce, Joe Alwyn, Raffey Cassidy, Stacy Martin, Emma Laird, Isaach De Bankolé, Alessandro Nivola. Genere: Drammatico. Durata: 215 minuti. Dove l’abbiamo visto: In anteprima alla Mostra del cinema di Venezia.
Trama: La storia dell’architetto ebreo László Tóth emigrato dall’Ungheria negli Stati Uniti nel 1947. Costretto dapprima a lavorare duramente e vivere in povertà, ottiene presto un contratto che cambierà il corso dei successivi trent’anni della sua vita.
A chi è consigliato: Semplicemente a tutti gli appassionati di cinema.
Architetti ambiziosi e visionari, perfezionisti e al contempo estremamente fragili. Geni che modellano e distruggono mondi, ridefiniscono geometrie fissando il dinamismo della vita e trascendendo le regole dello spazio e del tempo. Questi sono i protagonisti di due dei più importanti film che quest’anno abbiamo avuto modo di vedere nei concorsi dei più importanti festival cinematografici. Il primo, Megalopolis, il film impossibile che Francis Ford Coppola è riuscito a creare dando tutto se stesso. Un’opera divisiva come poche all’ultimo Festival di Cannes, in cui Adam Driver ricopre il ruolo di un brillante architetto che vuole restituire New York ai suoi cittadini dopo un disastro devastante.
Il secondo, The Brutalist, che segna il ritorno di Brady Corbet in concorso alla Mostra del cinema di Venezia sei anni dopo Vox Lux. Un progetto altrettanto grandioso ed immenso, che oggi è qui al Lido per cercare di conquistare un Leone d’oro che profumerebbe di storia. Presentata dal direttore Alberto Barbera come “un capolavoro”, la pellicola segue i trent’anni della vita di László Tóth, un architetto ebreo emigrato dall’Ungheria negli Stati Uniti nel 1947 per fuggire dall’olocausto e, come vedremo nella nostra recensione di The Brutalist, per ricostruire una nuova vita nella terra delle (apparenti) opportunità.
L’enigma del viaggio
Ma il vero architetto qui non è il personaggio interpretato da un monumentale Adrien Brody, bensì un Brady Corbet che con questo lungometraggio ha saputo dimostrare e confermare tutto il suo spirito creativo in un’opera dalle ambizioni spropositate, futurista e di brillantissimo ingegno. The Brutalist (molto liberamente ispirato al romanzo di Ayn Rand La fonte meravigliosa) è una creatura gigantesca, megalomane, straniante e conturbante allo stesso tempo. E soprattutto eccitante nella concatenazione dei suoi meccanismi narrativi, che anche quando sembrano non portare a nulla sono rappresentati attraverso delle immagini che trasudano una bellezza e una tensione emotiva dettate unicamente dalla potenza del mezzo cinematografico.
Brady Corbet ha realizzato un film che veramente va oltre le regole dello spazio e del tempo, che si eleva ad un opera-monumento capace quasi di sfiorare il divino. Oltre le dimensioni terrestri sono anche i capolavori architettonici di László, un genio costruttivo che crea imprese che finiscono per tramutarsi in un qualcosa di autodistruttivo. Scappato dal più grande trauma del XXI secolo, sarà costretto a ripartire da zero in una terra costruita sul mito del sogno diventato poi incubo. Inizialmente costretto a vivere nella povertà, stipulerà poi un contratto con un ricco magnate per la costruzione di un centro di accoglienza che verrà restituito ai cicli dei popoli. Un accordo che cambierà il corso dei suoi successivi trent’anni di vita. Ma non tutto procederà per il verso giusto.
America: terra di opportunità
Perché la sua ossessività finirà per essere intrappolata nell’individualismo di un Paese allo sbando. E Corbet ce lo dice subito con una delle inquadrature iniziali dove vediamo la Statua della libertà da una prospettiva completamente ribaltata. The Brutalist è quindi un film liricamente spietato, in cui l’imponenza delle sue immagini ritrae uno Stato dominato dall’avidità dei suoi aristocratici, che brutalizzano chiunque anche solo apparentemente cerchi di arricchirsi sulle loro spalle. Realizzando un film che ci permette di accedere al nostro presente attraverso il passato, Corbet (autore divenuto celebre grazie al suo ruolo in Mysterious Skin di Gregg Araki) segue un protagonista visionario che spera di trovare opportunità nella patria della contemplazione dell’io, e che non finirà altro che fuggire dal nazifascismo per abbracciare la bestialità del capitalismo.
Ma il film di Brady Corbet è anche un capolavoro in grado di rimescolare le carte del film-prodotto inserito nella politica del mercato audiovisivo. The Brutalist ridefinisce e lancia un certo tipo di cinema indipendente frutto delle totali libertà artistiche dei suoi autori (“C’è sempre un grande divario tra me e il mio committente”, ha affermato l’autore di Vox Lux durante la conferenza stampa), pensato però come un gigantesco film evento che deve avere la possibilità di intercettare il grande pubblico. E in questo anche la scelta di girare il film in pellicola 70 millimetri si è rivelata particolarmente vincente: riportare in auge un mezzo che non si usa più, la cui grezzezza riesce evocare la grande magia della settima arte.
La recensione in breve
Brady Corbet ha realizzato un film che veramente va oltre le regole dello spazio e del tempo, che si eleva ad un opera-monumento capace quasi di sfiorare il divino. Un film che ridefinisce anche un certo tipo di cinema indipendente frutto delle totali libertà artistiche dei suoi autori, pensato però come un gigantesco film evento che deve avere la possibilità di intercettare il grande pubblico.
Pro
- Un parterre di attori in forma smagliante
- Un comparto audiovisivo di altissimo livello
- Una storia coinvolgente, profonda ed eccitante
- La scelta di immortalare il tutto con la pellicola 70 millimetri
Contro
- Per alcuni spettatori la duranta imponente potrebbe farsi sentire
- Voto CinemaSerieTV