Il film: The Fabelmans, 2022. Regia: Steven Spielberg. Cast: Michelle Williams, Paul Dano, Gabrielle LaBelle, Judd Hirsch. Genere: Formazione, drammatico, commedia. Durata: 151 minuti. Dove l’abbiamo visto: Alla Festa del Cinema di Roma 2022.
Trama: Nell’America degli anni ’50 il giovane Sam Fabelman scopre la passione per il cinema e cerca di inseguirla a tutti i costi. Le imprevedibili vicissitudini della sua famiglia gli renderanno più complicata la strada verso i suoi sogni, ma lo renderanno anche più consapevole.
È difficile raccogliere i pezzi della propria anima sparsi sullo schermo dopo la visione del bellissimo film di Steven Spielberg per ricomporli in un quadro fruibile, ma noi ci proveremo, perché il bello dello scrivere di cinema è proprio questo: far fluire i sogni che vedi sullo schermo bianco e lanciare un messaggio nella bottiglia, affinché qualcun altro recepisca quegli stessi sogni e se ne lasci ispirare. E Spielberg questo lo fa da ben 50 anni, lui ci ispira con i suoi, di sogni, proiettati su un telo bianco.
Chi si occupa di cinema, che scriva o che lo realizzi, ha sempre alcuni fari che gli illuminano la notte, anche quella più buia, e Spielberg è la luce che ha illuminato molti di noi lungo la via. In questo film, il regista di E.T. ha infuso tutta la sua luce e tutta la sua anima in ogni singolo fotogramma, realizzando un’opera che racchiude la ragione del suo fare cinema e facendone dono a noi spettatori, affinché potessimo ancora una volta esserne ispirati, racchiudendo tutto ciò che è stato il suo cinema e tutto ciò che abbiamo amato dei suoi sogni, nonché dei suoi incubi.
È con non poca emozione dunque che ci apprestiamo a scrivere la nostra recensione di The Fabelmans, proprio per ricomporre i pezzi di cui si diceva e rendere un’idea di che cos’è questa ultima fatica cinematografica, così tanto pensata e voluta dal fabbricatore di sogni di Cincinnati.
La trama: formazione di un sognatore
Anni Cinquanta, Stati Uniti, Ohio. La famiglia Fabelman ha un’anima spaccata in due: quella artistica, eccentrica ed esuberante, della madre Mitzi (una Michelle Williams enorme a cui speriamo diano finalmente un Oscar), e quella razionale, metodica e remissiva di Burt (un Paul Dano per la prima volta controllatissimo). Al centro ci sono i figli, le tre sorelline e Sam (Gabrielle LaBelle sorprendente scoperta attoriale), ma non chiamatelo Sammy! Burt, ingegnere informatico, prende un nuovo lavoro a Phoenix, sradicando la famiglia dall’Ohio e trascinandola nell’assolata Arizona, portandosi al seguito anche il suo migliore amico e socio, Bennie (Seth Rogen, anche lui perfetto). Il piccolo Sam subisce una folgorazione guardando al cinema Il più grande spettacolo del mondo, kolossal hollywoodiano sul mondo del circo, e da lì in poi inizierà a usare la piccola cinepresa del papà.
Crescendo, comincerà a sviluppare la sua passione, realizzando cortometraggi altamente spettacolari per la sua età e i per suoi mezzi, con l’aiuto degli amici scout e delle eccezionali location desertiche attorno a Phoenix. Mitzi fomenterà in tutti i modi la passione del figlio mentre Burt, spaventato dalle difficoltà, la considererà soltanto un hobby. Ma un nuovo trasferimento in California, dovuto a un ingaggio di Burt presso l’IBM, nonché la scoperta di alcuni segreti familiari, rimetterà tutto in discussione per il giovane Sam.
L’origin-story di un super-eroe della pellicola
5 anni fa, nel 2017, uscì un bellissimo documentario per la HBO, diretto da Susan Lacy, che si intitolava semplicemente Spielberg. Se non lo avete visto, correte a vederlo dopo The Fabelmans, perché ne costituisce la perfetta integrazione. Lì Spielberg si apre, forse per la prima volta in pubblico, sulla storia della sua famiglia, con tanto di filmini di repertorio con mamma, papà e sorelle, spezzoni dei suoi primi corti e, ovviamente, interviste e tante altre cose.
The Fabelmans è già tutto lì o, per meglio dire, il suo embrione. Erano già alcuni decenni che Spielberg voleva raccontare le vicissitudini della sua famiglia e soltanto dopo la recente morte dei due genitori si è sentito più sereno, nonché risoluto, nel farlo. Ma la storia della sua famiglia si intreccia indissolubilmente alla genesi della sua passione per il cinema, rendendo così The Fabelmans un’appassionante origin-story di un super-eroe particolare, senza calzamaglia né super-poteri, ma armato di una semplice macchina da presa 8 mm e di una moviola casalinga per montare.
La folgorazione
Un Sammy seienne e riluttante viene portato al cinema dai genitori con la garanzia che ne uscirà estasiato, ma in realtà ne uscirà traumatizzato, in particolare dalla visione della scena di un incidente ferroviario. Da qui l’ossessione per la riproduzione di quell’incidente tramite un trenino giocattolo, da un lato come catarsi inconscia, dall’altro per cercare di avere il controllo sulle proprie paure e su quel caos incontrollabile che è la vita.
Immortalare inoltre l’evento catastrofico su pellicola, come suggerisce Mitzi, forse aiuterà a riviverlo, senza troppe conseguenze per il giocattolo. È lì che nasce il primo germe della filmografia del futuro regista de Lo squalo.
La fascinazione per l’evento caotico e minaccioso, nonché il modo di controllarlo tramite la rappresentazione cinematografica. Da qui in poi sarà tutto un rincorrere l’ossessione di tale rappresentazione e delle immagini che ne scaturiscono, con la realizzazione di cortometraggi sempre più complessi e spettacolari, tramite i quali il nostro aguzza l’ingegno visivo e pratico-logistico.
La nascita della Spielberg-Face
Non sono pochi i momenti in cui tutti coloro che amano i film di Spielberg riconosceranno gli attimi fondanti in cui nascono alcune costanti di quella che sarà la poetica del regista. Come per esempio la nascita della celebre Spielberg-Face, ovvero quell’inquadratura in avvicinamento sui primi piani degli attori che ne evidenzia tutta la meraviglia di fronte a qualcosa che lo spettatore non vede ancora, ma che può solo immaginare. In altre parole, la chiave visivo-stilistica di tanto cinema di Spielberg. Non diremo qui come avviene ma raccomandiamo di prestare attenzione quando il giovane Sammy gira il suo cortometraggio di guerra, Escape to Nowhere (stesso titolo del corto che il giovane Steven realmente realizzò).
Una spaccatura da sanare
È chiaro che solo la distanza dell’età più che matura può permettere di guardare agli anni dell’adolescenza con maggiore obiettività e, ovviamente, dolcezza. Ma il carattere del giovane Sam non è ammorbidito dall’occhio della nostalgia, bensì è tagliente e ironico, più maturo per la sua età, ma anche fragile e impaurito come quello di tutti i ragazzi, soprattutto quando subisce le angherie dei compagni di scuola anti-semiti. Il suo sguardo sui genitori diventa aspro, soprattutto quando alcune crisi esplodono inevitabilmente e lì si crea quella spaccatura emotiva che lo accompagnerà per tutta la vita e che sarà alla base di molti personaggi senza famiglia, o con figure paterne assenti, che costellano la filmografia di Spielberg, a cominciare dall’Elliot di E.T..
Ma sarà proprio per cercare di sanare quella cicatrice dell’anima che Sam/Steven si butterà nella realizzazione dei film, oltre che per una fascinazione tutta intrinseca per l’affabulazione tramite le immagini, di cui si accennava prima. Lo zio Boris, incarnato da un irresistibile Judd Hirsch, mette in evidenza tale spaccatura nel corso di un dialogo decisivo col nipote, indicando profeticamente nell’arte e nella famiglia i due poli che gli lacereranno l’anima.
Cinema come svelamento della verità
La forma visiva con cui Spielberg rende la storia dei primi anni della sua vita è scoppiettante di colori (ovviamente fotografati dal sodale di sempre Janusz Kamiński), così come ci immaginiamo che debbano essere gli anni ’50-‘60 che visse da giovane. Ma a tali colori sgargianti fanno da contrappunto le ombre delle vicissitudini della famiglia Fabelman, che trovano un perfetto contrasto visivo nelle ombre che si accendono tramite il piccolo proiettore di famiglia, oppure nella moviola con cui Sam monta i suoi cortometraggi e i filmini di famiglia. È proprio con quella moviola che il giovane Sam farà una sconvolgente scoperta, o forse leverà semplicemente il velo a una verità che in fondo era sempre stata davanti ai suoi occhi.
E Spielberg rende questa dolorosa agnizione con degli avvolgenti movimenti di macchina attorno al ragazzo che sta guardando nel visore della sua moviola, trasformando in un attimo la sua passione per il cinema in uno strumento con cui indagare, anche dolorosamente, il reale. Cosa che il futuro cineasta metterà in pratica con molti film che raccontano la Storia con la esse maiuscola. Non c’è un momento in The Fabelmans che non sia significativo e che non ricopra un’importanza strategica, sia nell’economia della trama in sé, sia in prospettiva, guardando all’intera filmografia di Spielberg.
I film e la vita sono la stessa cosa
Se i vostri genitori, amici o parenti vi hanno mai detto che i film non sono la vita, l’esistenza di Steven Spielberg è la dimostrazione che quelle persone non sapevano ciò che dicevano. The Fabelmans è il perfetto rispecchiamento di una vita interamente dedicata al cinema, tramite un’opera che diventa messa in scena di quella stessa vita, in un vertiginoso ed esaltante gioco di specchi, non fine a sé stesso, bensì maturo e consapevole. Spielberg realizza il film sulla propria esistenza e al tempo stesso il suo film della vita, dimostrando come una passione possa informare un’intera esistenza, dandole uno scopo e un senso, sviluppandola in tutti i modi possibili e ad ogni costo. Difficile rendere conto qui delle variegate emozioni che The Fabelmans ci ha regalato, basti solo pensare a una scena in cui il giovane Sam incontra un mito del cinema, uno dei registi più famosi della storia di Hollywood, fatto realmente accaduto e più volte raccontato dallo stesso Spielberg nel corso di molte interviste.
Non sveleremo ovviamente di quale regista si tratta, né quale cineasta lo interpreta a sua volta, ma ci sentiamo di dire che questa scena entrerà di diritto nella storia del cinema per come sintetizza in pochi minuti, con ironia, maestria tecnica e leggerezza tutta spielberghiana il senso della settima arte. Adesso non vi resta che attendere il 22 dicembre e correre in sala vedere il più grande spettacolo del mondo.
La recensione in breve
Il film con cui Spielberg dice la parola definitiva sul cinema, o meglio sul suo cinema. Una cavalcata emozionante negli anni della sua formazione e nella genesi della sua passione per la settima arte, strettamente interconnessa alle sue dolorose e sorprendenti vicende familiari. Uno spettacolo per gli occhi e un godimento per l’anima.
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