Il film : The People We Hate at the Wedding. Diretto da: Claire Scanlon. Cast: Kristen Bell, Ben Platt, Cynthia Addai-Robinson, Allison Brooks Janney, Karan Soni, Dustin Milligan, Tony Goldwyn, Isaac de Bankolé. Genere: Commedia. Durata: 99 minuti. Dove lo abbiamo visto: Prime Video.
Trama: Un matrimonio è sempre un’occasione perfetta per riunire la propria famiglia in un giorno di festa che dovrebbe far felici tutti. Peccato che quella di Eloise presenti delle difficoltà geografiche e non solo. Primogenita di Donna, infatti, ha un fratello e una sorella americani che non vede da molto tempo. Nonostante fossero molto legati durante la loro infanzia, i tre si sono allontanati per le diverse scelte di vita e per il fatto che Eloise viva da sempre a Londra. Tutti elementi che sono alla base di un potenziale disastro a causa dello scoppio poco opportuno di risentimenti e problematiche sedimentate da molto tempo. Se a questo, poi, si aggiungono anche le disordinate vite sentimentali di Paul e Alice messe a confronto con quella più compiuta di Eloise, ecco che il disastro è annunciato come un minaccioso meteorite pronto a schiantarsi sul matrimonio perfetto.
Tra le varie tematiche affrontato dal cinema, ce n’è una che, pur non assicurando il capolavoro, consente di attirare l’attenzione del pubblico e, in parte, un giudizio più morbido della critica. Si tratta delle dinamiche famigliari, che riescono anche a essere tanto trasversali da esprimersi attraverso le note più leggere della commedia e quelle più intense di un dramma. Se, poi, a queste si affianca anche un’ambientazione matrimoniale, si gioca ad amplificare nettamente l’effetto finale. In fin dei conti, non c’è ambito migliore di una riunione tra consanguinei durante un matrimonio per creare potenziali situazioni comiche o scatenare contrasti in confronto ai quali Edipo si rivela essere un dilettante.
In sostanza, dunque, il cinema sembra amare particolarmente le vicende di famiglie disfunzionali, sapendo di poterne trarre il massimo. Ma quali sono le motivazioni alla base di questo teorema che, in fin dei conti, trova sempre la sua applicazione? Le ragioni risiedono nell’immedesimazione che scatta in modo quasi meccanico. In molti, infatti, possono vantare un nucleo di consanguinei “dolcemente complicato” e una conseguente idiosincrasia a determinate occasioni di ritrovo come i cenoni di Natale e il matrimonio. Se a questo, poi, si aggiunge il fatto che sempre più persone si stanno confrontando con la gestione di famiglie allargate, ecco che si comprende alla perfezione la naturale propensione sentita per certe storie.
In quest’onda, dunque, s’inserisce anche il film The People We Hate at the Wedding, disponibile sulla piattaforma Prima Video dal 18 novembre. Diretto da Claire Scanlon, conosciuta soprattutto per Set It Up, una delle nuove commedie romantiche di Netflix, il film trae ispirazione dal romanzo omonimo di Grant Ginder. Nel cast Kristen Bell, Ben Platt e Cynthia Addai-Robinson, il trio cui viene affidato proprio il compito di mettere in scena questo nuovo ritratto famigliare dalle note tragicomiche. A dire il vero, l’intenzione era chiaramente quella di offrire una narrazione spensierata in grado di celebrare l’amore famigliare anche e, soprattutto, se imperfetto. Vediamo, dunque, più nel dettaglio alcuni aspetti di questo film nella recensione di The People We Hate at the Wedding.
Trama: Sono affari di famiglia
Se ogni storia ha il suo inizio, quello di questa vicenda si deve al personaggio di Donna. Dopo essersi innamorata di un donnaiolo francese, conosciuto a Londra, e aver dato alla luce Eloise, decide di divorziare a causa dei molti tradimenti del marito e di ritornare negli Stati Uniti. Qui si sposa nuovamente e ha altri due figli, Paul e Alice. Nulla di strano o che non appartenga alla consuetudine delle famiglie più moderne. Anzi, i tre bambini sembrano crescere particolarmente uniti da un affetto che va oltre le lontananze geografiche e le sottili differenze culturali. Si sa, però, che l’entrata nell’età adulta spesso complica molte questioni che appaiono semplici durante l’infanzia.
Se a questo si aggiungono scelte di vita diverse, può capitare che dei “fratellastri” si allontanino affettivamente senza un apparente motivo. Ed è esattamente ciò che accade a Eloise, Paul e Alice. La situazione, però, potrebbe cambiare quando la maggiore annuncia il suo matrimonio e decide d’invitare la compagine americana della sua famiglia a Londra per la cerimonia. Per Donna è l’occasione di veder finalmente i suoi figli uniti ancora una volta. La riscoperta del loro antico legame, però, deve inevitabilmente confrontarsi con una serie di problematiche e piccoli risentimenti accumulati nel corso degli anni e mai espressi. Quale miglior momento, dunque, dei preparativi di un matrimonio per esternarli? L’effetto finale è una serie di piccole, grandi disavventure destinate ad animare i giorni precedenti il grande evento. Perché, alla fine, non può esserci matrimonio senza un dramma famigliare.
Gli effetti di un cast ben assortito
Si dice spesso che la riuscita di un film dipenda, essenzialmente, da una buona scrittura. Il che vuol dire che senza una sceneggiatura solida non è possibile trovare una direzione precisa. E il più delle volte, questo corrisponde al vero. L’altro elemento essenziale per poter sperare in un successo, però, è la scelta di un cast che riesca a essere perfettamente funzionale alla storia narrata. Un risultato ancora più difficile da ottenere se la vicenda prevede una coralità e una serie di sottotrame da sviluppare nel migliore dei modi. Nonostante tutte le insidie nascoste in una storia così “affollata”, però, The People We Hate at the Wedding riesce nel tentativo di rintracciare il giusto volto per ogni protagonista e, soprattutto, collocarlo in un microuniverso che gli aderisce alla perfezione. In questo modo, dunque, assistiamo a un insieme che si muove con un andamento armonioso, anche se composto di molte e diverse personalità.
Il merito di quest’adattamento del romanzo di Grant Ginder, infatti, è di mantenere le molte sfaccettature che definiscono ogni singolo personaggio, offrendo a ognuno la possibilità di esprimersi lavorando su situazioni personali che, però, contribuiscono anche a creare un’idea globale di divertimento. In questo insieme spiccano indubbiamente i protagonisti centrali della vicenda, Janney e Bell, anche se l’interpretazione con maggior personalità è destinata a Addai-Robinson. Nei panni della perfetta e sofisticata Eloise, infatti, riesce a mostrare effettivamente la propria natura, un passo alla volta lasciando lo spettatore affascinato e stupito fino alla fine. Il risultato è un carisma condiviso da ogni singolo interprete, che dona alla narrazione un senso di professionalità in altre occasioni spesso ricercato ma scarsamente ottenuto.
Le difficoltà di una tragicommedia famigliare
Se c’è, però, una caratteristica che questo film mette in evidenza è proprio la capacità di Claire Scanlon nel dirigere le diverse transizioni emozionali. Nonostante il tono lieve scelto, infatti, è un dato di fatto che il cuore della narrazione verta sulle problematiche di una famiglia con molti sottintesi affettivi e, soprattutto, con delle emozioni in sospeso. Per addentrarsi in questa struttura non semplicissima da gestire, la regista ha deciso di utilizzare maggiormente i toni ironici e un tipo d’umorismo basato soprattutto su situazioni imbarazzanti. Una forma particolare di linguaggio che aumenta il suo ritmo proprio nel momento in cui si va a scavare maggiormente nei traumi personali di ogni singolo personaggio.
Certo, a prima vista questa scelta sembra essere in qualche modo poco armoniosa, creando quasi una sorta di cacofonia emotiva con cui il film lotta per gran parte della sua durata. Alla fine, però, si arriva a comprendere perfettamente la scelta della Scanlon che riesce a raggiungere le emozioni volute attraverso un ricercato smussamento degli angoli e delle difficoltà. Lungi, dunque, dall’essere un film perfetto, questa commedia riesce a coinvolgere non tanto per senso del realismo, quanto per la sua stessa realizzazione, sostenuta interamente da interpreti di grande personalità. A loro fanno da controcanto dei personaggi spesso sottilmente fastidiosi a causa di egoismi esasperanti, ma le interpretazioni ottenute e l’insieme ben gestito fanno dimenticare qualsiasi imperfezione, consegnando un piacevole film d’intrattenimento.
La recensione in breve
Tratta dal romanzo omonimo di Grant Ginder, questa commedia ci consegna un altro ritratto famigliare che, andando oltre le difficoltà emotive e personali, vive soprattutto grazie ad un cast corale ben assortito. Ricco di sottotrame, il film dona a ciascun personaggio uno spazio adatto ad esprimersi singolarmente ed in modo funzionale alla narrazione generale. In questo modo, dunque, si ottiene un risultato finale che deve molto alla presenza di molte personalità ben modulate e armonizzate.
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Voto CinemaSerieTV