Il film: The Red Suitcase, del 2023 Regia: Fidel Devkota. Cast: Saugat Malla, Prabin Khatiwada, Bipin Kark. Genere: Drammatico, soprannaturale. Durata: 87 minuti. Dove l’abbiamo visto: In anteprima al Festival di Venezia.
Trama: Un autista parte con il suo pick-up dall’aeroporto di Kathmandu per un viaggio di due giorni, con una consegna che arriva dall’estero e deve essere portata in un lontano villaggio di montagna. Per strada, una figura solitaria cammina lentamente verso lo stesso villaggio, trascinando una piccola valigia rossa.
Durante la conferenza stampa dell’80esima edizione della Mostra internazionale di arte cinematografica di Venezia, il direttore Alberto Barbera ha definito The Red Suitcase “una storia di fantasmi, che allude anche al doloroso passato della guerra civile che ha a lungo insanguinato il Nepal“.
Ad arricchire questa suggestiva premessa contribuisce anche l’eclettico curriculum del regista, Fidel Davkota, che affianca alla passione per la settima arte anche un background accademico di tutto rispetto nel mondo dell’antropologia.
Testimonianza di una terra in cui la settima arte inizia solo ora a muovere i suoi primi passi, The Red Suitcase intende far rivivere con accuratezza e profondità le tradizioni soprannaturali del folklore nepalese, volgendo anche lo sguardo alla difficile situazione socio-politica di oggi.
Tutto ha inizio con il suggestivo avvistamento di una misteriosa figura che trascina una valigia rossa nella nebbia, lungo una strada completamente deserta che conduce a un remoto villaggio di montagna: scopriamo qualcosa in più mediante la nostra recensione di The Red Suitcase.
Una trama ricca di mistero tra le nebbie del Nepal
Un uomo telefona a casa, e apprende che sua moglie è incinta di una bambina. Con un po’ di nostalgia, spiega all’amata che non vede l’ora di fare ritorno, ma che ha appena ricevuto una grande opportunità lavorativa legata ai mondiali di calcio in Qatar.
Qualche tempo dopo, un autista nepalese parte con il suo pick up dall’aeroporto di Katmandu, dopo aver ricevuto l’incarico di consegnare una cassa di legno nello sperduto paesino di Beyul, in alta montagna. Oltre alla cassa, il corriere dovrà portare con sé anche una piccola valigia rossa, che non è stata censita insieme al resto del carico.
Lasciatosi alle spalle i rumori della città, l’autista si inerpica con il suo mezzo di trasporto lungo un sentiero sempre più circondato dalle nebbie e dalle scarpate rocciose, e fa tappa in una piccola locanda circondata dalle montagne.
Nel frattempo, un operaio con una tuta da lavoro e la medesima valigia rossa si presenta alla fermata dell’autobus, e successivamente cammina per tutta la notte lungo la medesima strada per Beyul, incurante del freddo e della nebbia.
Entrambi sembrano procedere alla volta della stessa destinazione, pur senza mai incontrarsi nel loro tragitto. Solo una volta giunti a Beyul il mistero della valigia rossa verrà finalmente svelato…
Ombre, nebbie e suggestioni
Il vero tratto memorabile di The Red Suitcase non è rappresentato da uno specifico personaggio o da un intreccio narrativo particolarmente avvincente, bensì dal fascino senza tempo delle montagne del Nepal, su cui la regia di Fidel Davkota insiste a più riprese con lunghi piani sequenza che consentono di far trasparire un forte senso di mistero e di suggestione soprannaturale.
Scarna e priva di elaborazione diegetica, la sceneggiatura del film punta tutto sul potere evocativo dei paesaggi, che comunicano molto più di quanto non lo facciano i taciturni protagonisti del lungometraggio.
Al tempo stesso, in un racconto che sembra porre l’accento su spettri, suggestioni soprannaturali e miti antichi quanto l’uomo, il messaggio di fondo si rivela quanto mai attuale, e contiene una forte denuncia politica nei confronti dell’emigrazione e dello sfruttamento della forza lavoro originaria dell’estremo Oriente.
Il Nepal di oggi è sempre più silente perché i suoi abitanti abbandonano le proprie case in cerca di fortuna, illusi dalla prospettiva di trovare lavoro in Arabia, negli Emirati e in Qatar, per poi tornare e iniziare una nuova vita.
Come eloquentemente afferma un personaggio nel corso del film, parafrasando i fratelli Coen, quello di Beyul “non è un paese per giovani”.
Forse non è neppure un paese per vivi…
Qualche silenzio di troppo?
Premesso che la scelta di dilatare al massimo i ritmi della narrazione e mettere in scena lunghi silenzi colmi di angoscia risulta ben giustificata e perfettamente in linea con la poetica del film, tocca sottolineare come il regista Fidel Davkota finisca per farsi prendere un po’ troppo la mano, e alla final cut di The Red Suitcase molto avrebbe giovato un minutaggio inferiore di almeno un quarto d’ora.
Analogamente, anche l’insistito ricorso ai piani sequenza e alle inquadrature fisse finisce per appesantire la fluidità del racconto, togliendo forza ed efficacia al bel colpo di scena che conclude il racconto.
Non giova neppure una messa in scena eccessivamente scolastica, che non riesce mai a vivacizzare il flusso delle immagini, ma batte sempre e soltanto l’indice sul tasto dell’enfasi lirica e della gravitas senza mai provare a variare registro.
Nel complesso, a The Red Suitcase va senz’altro il merito di mettere sotto i riflettori un tema forte e di profondo impatto emotivo, ma con una veste formale e una sceneggiatura non sempre così accattivanti e incisive.
Bilancia il quadro – come già si è detto – una fotografia quanto mai surreale ed evocativa, costretta però a farsi carico dell’intera sorte del lungometraggio.
La recensione in breve
Pur colpendo nel segno con la sua potente denuncia politica e la sua ottima fotografia, il film nepalese The Red Suitcase finisce per risultare un po’ troppo monocorde sul piano registico e narrativo. Solido, però, il colpo di scena finale.
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Voto CinemaSerieTv