Il film: Thunderbolts*, 2025. Diretto da: Jake Schreier. Cast: Florence Pugh, Sebastian Stan, Wyatt Russell, David Harbour, Olga Kurylenko, Hannah John-Kamen, Lewis Pullman, Julia Louis-Dreyfus. Genere: Supereroi, azione, thriller. Durata: 132 minuti. Dove l’abbiamo visto: Al cinema, in lingua originale.
Trama: Dopo essere stati coinvolti in una missione suicida orchestrata da Valentina Allegra de Fontaine, un gruppo di antieroi disfunzionali – tra cui Yelena Belova, Bucky Barnes, Red Guardian e US Agent – è costretto a unire le forze. Mentre il passato di ognuno riemerge con violenza, i Thunderbolts dovranno decidere se lasciarsi distruggere… o diventare qualcosa di più.
A chi è consigliato? A chi si è un po’ stufato del Marvel Cinematic Universe.
“Siamo alla canna del gas”, disse Wade Wilson in Deadpool & Wolverine, ironizzando sulla situazione del Marvel Cinematic Universe dopo qualche anno di film dall’esito – artistico e commerciale – un po’ altalenante. Esito che per certi versi fa capolino anche nel nuovo lungometraggio prodotto dalla Casa delle Idee, con un paio di scene che strizzano l’occhio a come è mutato il rapporto tra il franchise dei Marvel Studios e i suoi fan, ora meno inclini a fiondarsi subito in sala per l’ennesimo capitolo di una storia che è arrivata a quota 36 (!) solo per quanto concerne i film per il grande schermo (perché poi c’è anche tutta la componente Disney+). Le cose sono cambiate in meglio a questo giro? Cerchiamo di rispondere con questa recensione di Thunderbolts* (l’asterisco viene spiegato nel film stesso).
Una nuova squadra?

Captain America: Brave New World finiva con Sam Wilson incaricato di mettere su una nuova formazione degli Avengers. Evidentemente ciò non è ancora accaduto, poiché è la scusa di cui si serve Valentina Allegra de Fontaine, direttrice della CIA, per un progetto segreto che, se svelato, potrebbe costarle la carriera. Per coprirsi le spalle, avendo organizzato diverse operazioni ufficiose e poco lecite nel corso degli anni, Valentina decide di eliminare le ultime prove, inclusi alcuni dei suoi agenti: Yelena Belova, ex-Vedova Nera; Ava Starr alias Ghost, ora in grado di controllare la sua capacità di attraversare i corpi solidi dopo il suo scontro con Ant-Man qualche anno addietro; John Walker, ex-Captain America caduto in disgrazia dopo aver ucciso un uomo disarmato in pubblico; e Antonia Dreykov alias Taskmaster, mercenaria capace di imitare le mosse dell’avversario grazie a riflessi fotografici. I quattro decidono, loro malgrado, di allearsi, e ricevono manforte da Alexei Shostakov alias Red Guardian, il supersoldato sovietico, e Bucky Barnes alias Winter Soldier, che sta cercando prove per inchiodare Valentina. E in mezzo a tutto questo c’è anche tale Bob, coinvolto in qualche modo in un esperimento dall’esito potenzialmente fatale…
I nuovi (anti)eroi

Con l’eccezione di Bob, interpretato da Lewis Pullman che restituisce bene le fratture psicologiche del personaggio, tutti gli attori principali tornano dai film o dalle serie del MCU (con dialoghi di riepilogo per chi si fosse perso qualche episodio): David Harbour (Red Guardian), Wyatt Russell (Walker), Olga Kurylenko (Taskmaster), Hannah John-Kamen (Ghost), Julia Louis-Dreyfus (Valentina) e Sebastian Stan (Bucky), tutti in sintonia con i rispettivi personaggi (e, nel caso di Louis-Dreyfus, la possibilità di avere finalmente un ruolo più sostanzioso dopo quelli che in passato erano, nella migliore delle ipotesi, dei camei estesi). Ma la parte del leone spetta a Florence Pugh che, per l’ennesima volta, conferma di essere stata tra i migliori nuovi acquisti della Marvel dopo la conclusione della Infinity Saga, dando il giusto spessore alle non poche parti introspettive, valorizzate con una coerenza a livello di scrittura e regia che negli ultimi anni latitava un po’ (rispetto a pellicole come quelle recenti di Ant-Man e Captain America non si percepisce un rimaneggiamento pesante in post-produzione con riprese supplementari e quant’altro).
Dentro la mente danneggiata

È forse l’elemento ricorrente più gettonato della mitologia supereroistica, il trauma – spesso d’infanzia – che ogni tanto riaffiora, sovente nel momento peggiore. Anche gli eroi Marvel hanno patemi simili, ma raramente tale argomento è stato esplorato – per quanto nei limiti di una produzione che deve comunque portare a casa la giusta dose di spettacolo e divertimento – con tanta voglia di metterlo al centro dell’attenzione, rendendolo anche il fulcro della atipica, coinvolgente battaglia finale. In mano al regista Jake Schreier, abituato a lasciar decantare i rapporti tra i personaggi, i protagonisti riflettono sulla loro condizione individuale e nel contesto di un franchise che decide di tornare ancora di più alle origini, concentrandosi più sulla psicologia che sugli effetti speciali su larga scala (e non a caso una parte importante del racconto è ambientata in quella che un tempo era la Avengers Tower, quasi a volerci ricordare i tempi della Fase Uno quando la trama orizzontale non era l’oggetto della fissazione maniacale dei fan). E arrivati alla fine della Fase Cinque, forse la più discontinua dell’intero progetto, già solo quello è un risultato non da poco. Con o senza asterisco.
La recensione in breve
La Marvel torna a concentrarsi sui personaggi, usando quelli meno gettonati per ragionare anche su cosa significhi questo universo cinematografico arrivati al trentaseiesimo lungometraggio.
PRO
- Florence Pugh guida un cast affiatato e magnetico
- La dimensione psicologica è molto coinvolgente
- L'approccio meno roboante è una boccata d'aria fresca
CONTRO
- Potrebbe non convincere chi non ama i personaggi coinvolti nella vicenda
- Voto CinemaSerieTV