Il film: Tori e Lokita (Tori et Lokita), 2022. Regia: Jean-Pierre e Luc Dardenne. Cast: Pablo Schils, Joely Mbundu, Alban Ukaj, Tijmen Govaerts, Charlotte De Bruyne, Nadège Ouedraogo, Marc Zinga, Claire Bodson, Baptiste Sornin.
Genere: drammatico. Durata: 88 minuti. Dove l’abbiamo visto: al Festival di Cannes, in lingua originale.
Trama: Incontratisi durante il viaggio dall’Africa, Tori e Lokita si fingono fratello e sorella per sopravvivere insieme in Belgio.
Quando possibile, non è un Festival di Cannes senza film dei fratelli Dardenne (rigorosamente in concorso, ininterrottamente da quando l’opera quarta Rosetta ha conquistato la Palma d’Oro nel 1999). Così come non lo è senza un premio ai due cineasti belgi (con l’eccezione di Due giorni, una notte nel 2014 e La ragazza senza nome nel 2016), in questo caso un riconoscimento speciale legato al settantacinquesimo anniversario della kermesse francese. Di questo, e altro, parliamo nella nostra recensione di Tori e Lokita.
La trama: alla fiera dell’est…
Tori e Lokita dicono di essere fratello e sorella. In realtà si sono conosciuti durante il viaggio dall’Africa, e si sono finti parenti per facilitare la sopravvivenza in Europa. Arrivati in Belgio, i due sono ufficialmente ben integrati nella comunità, in attesa di buone notizie sul fronte burocratico (lui è considerato rifugiato perché in patria era perseguitato con l’accusa di essere un bambino stregone, mentre lei ancora aspetta di essere accettata allo stesso modo per iniziare la formazione professionale). In realtà, pur rispettando il coprifuoco, passano le giornate a spacciare droga per conto di Betim, per pagare quelli che li hanno portati da un continente all’altro, e col passare del tempo questa attività si fa sempre più pericolosa.
Il cast: giovani promesse
Il film è dominato dalla duplice presenza di Pablo Schils nel ruolo di Tori e Joely Mbundu in quello di Lokita, due giovani talenti affiancati soprattutto da Alban Ukaj che interpreta il viscido Betim. È la seconda volta consecutiva, dopo L’età giovane nel 2019, che in un film dei Dardenne, dal 1996 a oggi, non appaiono né Jérémie Renier né Olivier Gourmet, i due attori-feticcio dei registi belgi (in particolare Gourmet, che nel 2002 ha vinto il premio per la migliore interpretazione maschile a Cannes per Il figlio, opera che lo ha consacrato come uno dei grandi volti del cinema francofono odierno).
Al Festival di Cannes, per due voti, un altro premio Thierry regalò…
Come dicevamo in apertura, la presenza dei Dardenne a Cannes è una tradizione consolidata: dal 1996 in poi tutti i loro film sono stati sulla Croisette, dal 1999 sempre in concorso, e su nove partecipazioni solo due sono state ignorate dalla giuria ufficiale in sede di palmarès: i due fratelli belgi hanno personalmente portato a casa due Palme (Rosetta e L’enfant), un premio per la sceneggiatura (Il matrimonio di Lorna), un Grand Prix (Il ragazzo con la bicicletta, ex aequo con C’era una volta in Anatolia di Nuri Bilge Ceylan), un premio per la regia (L’età giovane) e, nel 2022, il premio speciale del settantacinquesimo anniversario (Tori e Lokita). Inoltre, come già detto, nel 2002 Olivier Gourmet ha vinto come miglior attore. Ormai, quando viene annunciato il programma, si comincia a ironizzare a priori su cosa vincerà il lungometraggio dei due cineasti belgi, soprattutto alla luce di un riconoscimento come quello più recente, che sembrava quasi inventato pur di non lasciarli a mani vuote.
Pilota automatico
Lo stile dei fratelli è quello che ben conosciamo: macchina a mano, ad altezza dei protagonisti, per le strade del Belgio in un contesto socialmente impegnato, quasi la risposta della Vallonia al cinema di Ken Loach. E come nel caso del cineasta britannico, la cui coerenza etica rimane cristallina e inscalfibile, può capitare che il singolo film scricchioli e proceda un po’ per automatismi. E seppure con modalità diverse rispetto a La ragazza senza nome, il cui avvicinarsi alla struttura del poliziesco toglieva un po’ quella dimensione molto reale che accompagna la filmografia del duo, anche qui si percepisce un certo schematismo nella scrittura e nella regia, che cercano di arrivare al cuore tramite la presunta tenerezza dei due protagonisti (molto bravi, ça va sans dire), ma lo fanno in modo manipolatorio, poco spontaneo, esibendo goffamente il meccanismo della costruzione drammaturgica.
La recensione in breve
La cifra stilistica dei Dardenne è quella di sempre, ma in Tori e Lokita l'impatto emotivo è smorzato da una sceneggiatura che procede per eccessivi schematismi, rinunciando alla spontaneità.
-
Voto CinemaSerieTV