Il film: Un mondo a parte, 2024. Regia: Riccardo Milani. Cast: Antonio Albanese. Virginia Raffaele, Sergio Saltarelli, Alessandra Barbonetti. Genere: Commedia. Durata: 113 minuti. Dove l’abbiamo visto: Anteprima stampa.
Trama: Michele è un maestro elementare che, dalla sua cattedra in una scuola della periferia romana, sogna un mondo diverso. Nella sua mente la vita perfetta è in un piccolo centro, a contatto con la natura, riportando in vita vecchie tradizioni. Quando, però, ottiene il trasferimento a Rupe, un paese di 400 anime nel cuore dell’Abruzzo, non si aspetta di trovarsi a confronto con un territorio così impervio e, soprattutto, con una realtà decisamente meno romantica e poetica. Riuscirà ad riportare un pò di fiducia nel cuore dei suoi pochi alunni e, soprattutto, in Agnese, combattiva vice preside?
Ci sono dei film che hanno il pregio d’infondere una sorta di sana speranza, un tipo di buon umore non stravolgente ma sottile e persistente. E questo non accade necessariamente rifugiandosi nella fantasia di un mondo tanto perfetto quanto irreale. Piuttosto si tratta di un effetto ben più potente perché, partendo da una condizione assolutamente normale, mostra una seconda eventualità, una soluzione dettata dalla “buona volontà” e dell’ascolto dell’altro.
Queste dunque, sono le caratteristiche che hanno sempre caratterizzato il cinema di Riccardo Milani, capace di un tocco leggere ma non superficiale, di un tono del racconto in cui l’eccesso, come la drammatizzazione artefatta degli eventi, non è necessario per andare a proporre l’immagine del reale. Aspetti che definiscono, come vedremo in questa recensione di Un mondo a parte, anche il suo ultimo film, capace di presentare veramente una visione alternativa del vivere che, pur non essendo naturalmente più semplice, è presente e non può essere negata.
Al centro di tutto, poi, ci sono gli uomini e le donne “normali”, tanto care alla sua filmografia che, in questo caso, hanno il volto di Antonio Albanese e Virginia Raffaele. Questi, circondati da un territorio, quello abruzzese, fortemente aspro e tipico, come tutti gli altri membri del cast, hanno dato forma ad una “favola” sempre attuale che dovrebbe trasformarsi quanto prima in realtà.
Trama: Un uomo d’acqua dolce
Michele è un maestro elementare che crede fermamente e, forse, con fin troppo ardore, nell’importanza del suo lavoro. Peccato, però, che molti anni d’insegnamento in scuole periferiche e immerse in un contesto sociale poco incline al rispetto, lo abbiano portato a perdere contatto con se stesso e il mondo introno, generando un sentimento di sfiducia.
Per questo motivo, cercando di riappropriarsi della sua vita e, soprattutto, di alcuni valori umani ed ecologisti che considera essenziali, chiede il trasferimento in un piccolo centro che gli viene accordato proprio quando aveva smesso di sperare. Così, in preda ad un rinnovato fervore per la vita, forte delle sue letture antropologiche sull’importanza di mantenere in vita i piccoli centri, si avvia del tutto impreparato verso la sua nuova avventura.
Ad accoglierlo è Rupe, un piccolo centro nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo composto da 400 anime. E nessuna di queste è veramente contenta di trovarsi lì. Solo Michele, dunque, mostra un’immotivata euforia nonostante di trovi a scontrarsi immediatamente con alcune difficoltà. La più importante è rappresentata proprio da un ambiente naturale che non conosce e che evidenzia l’inadeguatezza con cui lo affronta. Una tormenta di neve e dei lupi nelle vicinanze, per non parlare di gomme assolutamente inadatte ad affrontare quella situazione, lo immobilizzano al centro del nulla.
Per sua fortuna, però, ad aiutarlo arriva Agnese, la vice preside della scuola elementare in cui dovrà insegnare per il prossimo semestre. Donna pratica e combattiva, figlia di quell’ambiente aspro e duramente forgiante, conosce alla perfezione i limiti di chi viene da “fuori”. A renderli inadatti alla sopravvivenza, infatti, è proprio la loro estraneità e, soprattutto, la mitizzazione della vita naturale. Michele, però, è destinato a sorprenderla. Dopo i primi difficili tentativi d’integrazione con tanto di mocassini ai piedi, riesce finalmente a sintonizzarsi sulla sensibilità e la visione dell’uomo di montagna. Il tutto aggiungendo, come elemento di ricchezza, la dolcezza di un essere semplice volto all’accoglienza e alla conoscenza.
La montagna lo fa
Quando un film riesce a creare un tormentone e, soprattuto, a renderlo fortemente rappresentativo e produttivo ai fini della storia narrata, vuol dire che ha compiuto un piccolo miracolo di sintesi e centralità nella scrittura. Un successo ottenuto da Milani che, con la frase ricorrente, “la montagna lo fa”, mette in evidenza l’influenza dell’ambiente sull’individuo e, soprattutto, la necessità di questo di lasciarsi plasmare dall’esterno per sopravvivere.
Oltre a questo, poi, mette l’accento su quanto fondamentale il territorio sia ai fini della narrazione. In effetti l’ambientazione di Rupe che, in realtà, coincide con Poi, un piccolo centro in provincia di Pescasseroli, si presenta fin da subito come un protagonista assoluto. Una sorta di scenografia vivente che, seguendo i capricci del tempo, della stagione invernale e della presenza di una fauna che è effettiva padrona, si diverte a mettere in difficoltà l’elemento umano. In tutto questo insieme, dunque, l’uomo non viene mai rappresentato come padrone ma assolutamente come ospite.
Una presenza accettata esclusivamente in virtù di un rispetto mostrato nei confronti della vastità bianca che lo circonda. Solo in questo senso, dunque, si va creando una connessione tra ambiente ed uomo. Un rapporto in cui il secondo riconosce una sorta di fragile minoranza cui è possibile sopravvivere solo attraverso un naturale spirito di trasformazione.
Uno sguardo al futuro
Lasciandosi trasportare dal confronto tra la natura e il personaggio di Michele, tendenzialmente impreparato, Milani riesce ad utilizzare delle note leggere per affrontare e sviluppare un discorso piuttosto importante sul futuro, soprattuto dei piccoli centri.
Patendo proprio dal titolo, Un mondo a parte, pone l’attenzione sulla convinzione, spesso errata, di possedere il modello sociale, culturale e urbanistico perfetto per il presente e il futuro. Una certezza che, però, non tiene conto delle diverse realtà esistenti. Mondi che, per essere visti e toccati con mano, non devono essere necessariamente cercati nei posti più lontani dei continenti. Il più delle volte, infatti, è sufficiente mettersi in macchina, affrontare pochi chilometri ed addentrarsi nel cuore di alcune regioni italiane.
Qui sopravvivono, faticosamente, i piccoli borghi. Centri enfatizzati da un certo tipo di turismo enogastronomici e naturalista ma, poi, dimenticati per il resto dell’anno. Cosa accade a questi luoghi quando le frotte di cittadini hanno terminato il loro processo di rigenerazione e l’inverno inizia a farsi sentire? Questa è la domanda sollevata da Milani attraverso il personaggio di Agnese e che, grazie allo sguardo di Michele, prova a trovare una risposta concreta.
La lotta, in questo senso, è la parola chiave. Una costante resistenza che, però, spesso si scontra con l’assenza di attenzione da parte degli altri mondi. Una condizione, però, che non sempre riesce a mantenere un livello eroico e che, il più delle volte, si tramuta in disfatta interiore. La resa, insieme all’invisibilità, dunque, sono i mali più grandi che possono portare alla scomparsa di queste realtà. Ma fino a quando una sola persona decide di continuare a sognare è fondamentale che tutti gli altri resistano per lei.
Con questa conclusione, dunque, e con l’arrivo dell’estate, il film regala un epilogo carico di speranza, pur consapevoli che la lotta ricomincerà quanto prima e che non è certo fatta per animi instabili.
La recensione in breve
Milani realizza una un racconto dolce e colmo di speranza, evidenziando alcune problematiche sociali e culturali ma con tutta la leggerezza della commedia. Un viaggio, dunque, al centro del rapporto più antico del mondo: quello tra uomo e ambiente in cui il concetto di futuro può e deve essere ancora modificato.
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