Il film: Una terapia di gruppo, 2024. Diretto da: Paolo Costella. Genere: Commedia. Cast: Claudio Bisio, Margherita Buy, Claudio Santamaria, Valentina Lodovini, Leo Gassmann.. Durata: 100 minuti. Dove l’abbiamo vista: Anteprima Stampa
Trama: A causa di un errore del nuovo sistema per appuntamenti, un gruppo di pazienti si ritrovano a dover condividere una lunga attesa nella sala d’attesa del loro psicologo. Ognuno di loro è affetto da un disturbo ossessivo-compulsivo diverso, che si manifesta attraverso tic nervosi, compulsioni e manie. La convivenza forzata, però, in uno spazio ristretto mette a nudo le loro fragilità e le loro paure, generando situazioni comiche e momenti di profonda introspezione.
A chi è consigliato? A tutti coloro che amano la commedia all’italiana graffiante ma con un’anima dolce.
Storicamente la commedia all’italiana è sempre stata caratterizzata da una nota dolce amara dove il sorriso era veicolato, piuttosto spesso, da una sorta di ironia graffiante e crudele. In questo modo, dunque, sono stati tracciati dei ritratti umani particolarmente vitali, capaci di attraversare lo schermo andando a stimolare lo spettatore nel profondo. Una tradizione storica importante per il nostro cinema che, ad oggi, sembra aver generato un figlio o, per meglio dire, un lontano nipote. Si tratta di Una terapia di coppia, il film diretto da Paolo Costella ed interpretato da un cast corale formato da Claudio Bisio, Margherita Buy, Valentina Lodovini, Claudio Santamaria, Leo Gassmann, Ludovica Francesconi e Lucia Mascino.
Tutti loro compongono un gruppo piuttosto eterogeneo la cui peculiarità è data dalle problematiche psicologiche che li affliggono. Ed è proprio qui che s’inserisce l’elemento tipico della commedia all’italiana, costruendo la risata su un problema, una patologia psicologica od un trauma capace di condizionare tutta una vita. In questo caso, però, l’ironia si veste d’intelligenza e, non essendo fine a se stessa, riesce nella dura impresa di coinvolgere lo spettatore in un percorso senza sensi di colpa dove la malattia “genera” la risata. E, tutto questo, in un periodo storico dove il politicamente corretto è usato e auspicato. Probabilmente anche troppo.
All’inizio c’era il teatro
Il film o, meglio, il cuore della vicenda e la natura dei diversi personaggi in cerca di una cura non nasce da un’idea originale. La scintilla creativa, infatti, si deve rintracciare all’interno di una commedia teatrale scritta dall’umorista francese Laurent Baffie nel 2005. Alcuni anni dopo, precisamente nel 2017, viene poi trasformata nel film spagnolo Toc Toc, diretto da Vicente Villanueva. La commedia ottiene un grande successo tanto da venir messa in scena più vote sia in Spagna che in America Latina.
In tutte le sue forma rappresentative, comunque, non ha visto mai mutare la struttura narrativa. L’elemento essenziale, infatti, è quello umano composto da sei personaggi caratterizzati dalle loro patologie e l’ambiente circostante. L’azione, infatti, si svolge esclusivamente all’interno di una stanza. Un particolare scenico e narrativo essenziale per portare ogni singolo personaggio ad esternare in modo esponenziale le sue peculiarità ossessive andando a creare la condizione comica.
Questo, almeno, fino a quando la commedia non è approdata tra le mani degli sceneggiatori Michele Abatantuono e Lara Prando. Questi, infatti, lavorando a quattro mani, hanno deciso di inserire un secondo piano narrativo concentrato sul background, ossia le motivazioni da cui nasce ogni singola problematica psicologica e gli effetti apportati sulla vita quotidiana dei personaggi. Una scelta che, in qualche modo, può essere vista come una sorta di rete di sicurezza, un modo per dare una motivazione alta alla parte naturalmente comica della vicenda.
Allo stesso tempo, però, è evidente come la tridimensionalità dei personaggi contribuisca a dare proprio maggior senso all’insieme, rendendo giustificato e spontaneo il nascere della risata. Oltre a questo, poi, permette ai diversi protagonisti di non cadere nelle tentazioni della macchietta, soprattutto se, come Bisio, si affronta la difficile impresa di vestire i panni di un uomo malato della sindrome di Tourette. Una patologia che inevitabilmente strappa una risata ma che coincide anche con una profonda solitudine di chi la vive sulla propria pelle.
Tutti i colori della malattia
Oltre l’impianto narrativo tradizionale, però, è visibile una scelta estetica capace di andare oltre il semplice elemento esteriore trasformandosi in una parte essenziale del racconto. Si tratta del colore o, meglio, delle diverse nuance attribuite alla malattia. Ogni singolo personaggio, infatti, entra In scena vestendo un colore od una palette che perfettamente lo identifica con la problematica psicologica che l’accompagna. Le due scelte estetiche più evidenti sono quelle relative a Margherita Buy e Valentina Lodovini.
Nel primo caso la rigorosità del grigio e delle linee pulite dell’abito raccontano alla perfezione una personalità affetta da una mania di perfezione e dal controllo ossessivo di ogni situazione. Una problematica che porta il personaggio di Anna Maria a ripetere le stesse azioni più volte e volte, fino a toccare anche gli ambiti personali e professionali.
Nel caso di Bianca, invece, il candore che la contraddistingue in un tutt’uno con i capelli e l’abito, non è solamente una scelta stilistica che bene si abbina la suo nome. Piuttosto si tratta della rappresentazione esterna di una condizione interiore. Di una “purezza” emotiva sconvolta dall’essere diventata vittima del revange porn attraverso la diffusione di un video intimo. In questo caso il bianco e l’ossessione per la pulizia che la contraddistingue, sono aspetti che rimandano anche ad un giudizio perenne e costante rivolto alle vittime. Perché, alla fine dei conti, una donna violata viene sempre considerata responsabile e, quindi, sporcata ulteriormente.
Sei personaggio ed un gruppo
Avere un’architettura predefinita e ben impostata ha permesso agli sceneggiatori e al regista di muoversi agevolmente nel confronto con i diversi personaggi ma, soprattutto, con la necessità di creare un insieme. In questo senso, dunque, il film fonda la sua forza proprio sulla riuscita di questa alchimia e sulla definizione di un gruppo dal quale fuoriescono le diverse individualità per tornare a far parte si un corpo unico.
Un’andamento che, nella pratica, si esprime nel giusto spazio offerto al racconto di ogni personaggio ma, soprattutto, dall’orchestrazione di una comicità corale ottenuta grazie alla presenza delle diverse individualità. Molte, infatti, sono le scene di gruppo che rappresentano anche i momenti migliori del film, dove il ritmo aumenta e, nel turbinio di diverse afflizioni psicologiche, si entra in un vortice umano irresistibile in cui è lieve e consolatorio specchiarsi.
Dal teatro francese alla commedia italiana la trasposizione al cinema sembra essere riuscita. Paolo Costella riesce a gestire sei individualità nel tentativo di creare un corpo unico dove la comicità esplode nelle forme migliori proprio quando si esprimono insieme.
Pro
- Le scene corali del cast ironiche e di effetto
- Il coraggio di un'ironia politicamente scorretta
- Il racconto tridimensionale dei personaggi
Contro
- Las struttura classica della narrazione senza troppe sorprese
- Lo sviluppo meno riuscito di alcuni personaggi
- Troppi finali all'insegna del buon sentimento
- Voto CinemaSerieTV.it