Il film: Whitney – Una voce diventata leggenda, 2022. Regia: Kasi Lemmons. Cast: Naomi Ackie, Stanley Tucci, Ashton Sanders, Tamara Tunie, Nafessa Williams, Clarke Peters, Bria Danielle Singleton. Genere: Biografico/Musicale. Durata: 146 minuti. Dove l’abbiamo visto: In anteprima stampa.
Trama: Tutto inizia in un coro gospel del New Jersey nel 1983. Qui una giovane Whitney Elizabeth Huston da mostra del suo incredibile talento canoro. La ragazza, infatti, è dotata di una voce dall’estensione straordinaria. Ma la cosa non stupisce più di tanto. Nella sua famiglia, infatti, la musica è di casa. La madre è Cissy Huston, una cantante particolarmente potente che, grazie al suo talento ha raggiunto una certa notorietà soprattutto nell’ambiente soul cantando con Aretha Franklin, Elvis Presley, Dionne Warwick e Luther Vandross. È molto fiera del suo talento ma, ancora di più, di quello della figlia. Per questo motivo quando durante una delle sue serate in un club locale vede tra il pubblico il volto di un famoso discografico, non tentenna nemmeno un attimo nel mandare sul palco la sua principessa. Appena Whitney intona le prime note si crea una sorta di magia. La voce cristallina, capace di arrivare dove nessuno fino ad ora è riuscito, incanta il discografico. Ed è così che ha inizio la carriera di una delle artiste più premiate nel mondo della musica. Una favola che, però, non ha avuto il suo lieto fine.
Da quando Whitney Huston è scomparsa nel febbraio del 2012 il cinema si è dato un gran da fare nel cercare di ricostruire il ritratto di questa incredibile artista. In questi dieci anni, dunque, si sono succeduti un documentario non autorizzato, un progetto televisivo ed un paio di film. Progetti, ad essere onesti, di scarso impatto, considerando soprattutto il calibro del personaggio al centro di tutto. Ma per quale motivo tanto fervore intorno alla sua figura? La risposta è piuttosto scontata ma assolutamente dovuta: perché lei è stata ed è la voce più bella della sua generazione.
E, ad essere onesti, non solo di quella. Nonostante la sua scomparsa prematura e le vicissitudini personali che non l’hanno vista sempre brillare, infatti, è d’obbligo specificare che per un talento come il suo l’uso del presente è essenziale. In definitiva, grazie soprattutto alla musica, la Huston è destinata ad essere The Voice per sempre, godendo di quell’immortalità concessa dagli antichi solo alle divinità.
La stessa che oggi la mette al centro del film diretto da Kasi Lemmons ed interpretato da Naomi Ackie. Un progetto annunciato nel 2020 e che ora arriva in sala accompagnato da alcuni dubbi ed incertezze da parte degli appassionati fan della Huston. Si sa che nella realizzazione di un biopic, oltretutto musicale, il pericolo di cadere nella tentazione di realizzare un “santino” o di produrre un racconto piuttosto superficiale è sempre dietro l’angolo. Due aspetti, questi, che abbiamo preso in considerazione proprio nella nostra recensione di Whitney – Una voce diventata leggenda.
La trama: È nata una stella
I primi passi nel mondo della musica di Whitney Huston hanno il sapore della favola. Tutto sembra iniziare per caso sconvolgendo la quotidianità di una ragazza qualsiasi con una voce da usignolo. La sua quotidianità in New Jersey è fatta di appuntamenti fissi come il coro gospel in chiesa, le serate da corista nel club dove canta la madre Cissy e gli interminabili pomeriggi trascorsi con le cuffie del walkman ben piantate sulle orecchie per ascoltare tutta la musica possibile. Per lei, infatti, la melodia non conosce distinzioni di genere o di appartenenza. Non è bianca e nemmeno nera. C’è solamente della buona e della cattiva musica.
Con questa filosofia, dunque, entra a far parte della casa discografica di Clive Davis, che l’affiancherà fino all’ultimo giorno della sua vita. Il loro è un rapporto professionale ma, con il tempo si trasforma in un sostegno personale. Contravvenendo ai suoi stessi principi, infatti, il mite e lucido Clive cercherà di offrire ad una Whitney, stordita dalla popolarità e dall’esigenza di accontentare le aspettative degli altri, tutto il suo appoggio. Il nemico da sconfiggere, ovviamente, è l’uso di stupefacenti ed una sorta di tendenza all’autodistruzione.
Ma tutto questo succederà tra qualche anno. Durante il loro primo incontro nel 1983 Whitney è ancora piena di entusiasmo e il suo unico desiderio è quello di cantare. Ancora non sa che è destinata a ben altro e che il mondo dello star system la inghiottirà trasformandola nella principessa d’America. Peccato che lei volesse essere solo sé stessa.
Chi è Whitney Huston?
Questa è la domanda essenziale. Quella che in molti si saranno posti all’indomani della scomparsa della Huston senza trovare una risposta capace di colmare il vuoto tra l’immagine pubblica della cantante di successo e quella della donna tormentata dalle sue fragilità. Alcuni potrebbero dare una risposta facendo un elenco dettagliato di tutti i suoi successi. In questo caso Whitney sarebbe la cantante più premiata, la voce più bella della sua generazione, l’unico artista ad aver superato Elvis ed i Beatles per il numero di singoli in classifica. E siamo sicuri di aver dimenticato qualche cosa. Nonostante tutto, però, questo non risponde adeguatamente al quesito.
E, purtroppo, non lo fa nemmeno il film della Lemmons. È indubbio che la fatidica domanda l’abbia accompagnata per tutta la durata delle riprese e della produzione. Lo si comprende dal tentativo di ricostruire proprio le due facce della stessa realtà. Nonostante questo, però, il risultato è tendenzialmente deludente a causa di una mancanza di approfondimento. Senza negare tutte le buone intenzioni del caso, infatti, la regia e la scrittura di Anthony McCarten sembrano essere sempre divise tra il desiderio di offrire una narrazione personale e quello di compiacere l’immagine predisposta e consegnata dalla famiglia.
Un’ambiguità, dunque, che finisce con l’andare a definire un insieme narrativo composto da un insieme di eventi, ordinati e predisposti cronologicamente ma privi di alcuna capacità di raccontare qualche cosa di essenziale ed onesto della persona, più che del personaggio. Fatta eccezione per un paio di brevi accenni in questo senso, le speranze d’intravedere un riflesso di realistica umanità sono ridotte al nulla.
La donna e il personaggio
Nella struttura narrativa di un biopic trovare il giusto equilibrio tra l’immagine pubblica e quella privata è la missione più ardua che, il più delle volte viene fallita. Solitamente si parte con l’intenzione di sovrapporre in una perfetta sincronia questi due aspetti ma, poi, si finisce per essere trainati verso quello più semplice e meno problematico da essere ricostruito.
Un problema evidente anche nel film della Lemmons, aggravato da una sorta di rifiuto di approfondire le tematiche più spinose. Il timore di andare a fondo di molte questioni fondamentali nella vita della Huston come, ad esempio, il rapporto con l’amica Robyn Crawford, non ha permesso di consegnare un ritratto onesto ma, soprattutto, potenzialmente rivelatore di molte problematiche alla base delle sue fragilità.
Con un susseguirsi di immagini ed eventi, che appaiono e scompaiono alla velocità della luce senza alcuna motivazione d’inizio e fine, la questione Robyn viene velocemente archiviata come il caso di un artista che non ha retto alla pressione ed è incappata in un rapporto sentimentale sbagliato, soprattutto a causa del matrimonio fallito dei genitori. Peccato che la realtà sia ben altra e parli di una ragazza a cui non è stato permesso essere se stessa per aderire ad un’immagine desiderata e vincente. Un prezzo che lei stessa ha deciso di pagare in nome del successo senza essere, però, consapevole delle ripercussioni.
In questo senso, dunque, approfondire la relazione con Robyn e l’eventualità di un rapporto omosessuale sarebbe stato un atto di coraggio importante. Certo non per creare sensazionalismo o per conquistare le pagine dei giornali con una “verità” sulla Huston, quanto per comprendere quali aspetti essenziali siano mancati nella vita di questa donna incredibile eppure così fragile.
Al contrario la Lemmons sembra prendere questa questione con riluttanza, affannandosi per accantonarla il prima possibile senza alcun tipo di motivazione. Ed è così che, velocemente come è arrivata nella vita sentimentale di Whitney, Robyn viene immediatamente catalogata come amica fidata e fedele. Ruolo che, a quanto pare, ricoprirà negli anni successivi fino alla fine.
Tutt’altro trattamento viene riservato, invece, alla Huston. La cantante dei record, infatti, viene trattata con un riguardo ben diverso, guadagnando costantemente la ribalta in un susseguirsi di canzoni grazie alle quali comporre una sorta di perfetto juke box di successi intramontabili. Solo al termine del film i due volti riescono finalmente ad incontrarsi in un breve ed intenso momento di verità.
Ma il merito non è certo della regia o della scrittura. Ancora una volta tutto si deve a Whitney che sparge il suo incanto sul pubblico, colorando la voce della Huston con tutto l’ardore, l’orgoglio e il desiderio di rivalsa di cui era capace quella ragazzina del New Jersey. Perché, alla fine, l’immagine più onesta di lei che si ottiene, la si deve sempre e solo alla musica.
La recensione in breve
Nonostante le buone intenzioni iniziali, Kasi Lemmons perde l'occasione di regalare al pubblico il ritratto emozionante ed altamente emotivo di una donna che, attraverso la sua voce, ha saputo dare colore ai sentimenti. Una figura complessa e sfaccettata che, però, in questo caso viene trattata in modo quasi mono dimensionale. Fatta eccezione per alcuni rari sprazzi, presto abbandonati, raramente si raggiunge un equilibrio tra la donna e l'artista. La seconda, infatti, prende sempre il sopravvento fagocitando l'essere umano. Un vero peccato, fatta eccezione per la possibilità di ascoltare nuovamente l'incredibile voce della Huston in una sorta di compilation filmata.
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Voto CinemaSerieTV