Il film: Wonder, 2017. Regia: Stephen Chbosky. Cast: Jacob Tremblay, Julia Roberts, Owen Wilson, Noah Jupe, Izabela Vidovic. Genere: Drammatico. Durata: 113 minuti. Dove l’abbiamo visto: in anteprima stampa.
Trama: Auggie Pullman è semplicemente un bambino di 11 anni. Nonostante questo, però, la sua quotidianità è tutt’altro che priva di complicazioni. Ogni giorno, da quando è nato, si deve confrontare con un aspetto particolare che lo identifica come diverso. A causa della sindrome di di Treacher-Collins, infatti, è affetto da una grave deformazione facciale. Un problema che la sua protettiva famiglia ha cercato di limitare attraverso un numero notevole di operazioni e un sostegno incondizionato.
Per Auggie è arrivato il momento di uscire fuori dalle mura rassicuranti della sua casa e affrontare il mondo esterno. Ad accoglierlo, ovviamente, una dose di preconcetti e atteggiamenti discriminatori da cui non può proteggerlo nemmeno il suo casco da uomo dello spazio.
Tratto dall’omonimo romanzo best seller di R.J. Palacio, Wonder può essere considerato il film perfetto da inserire nel genere family. Nonostante questo, però, riesce anche a portare la narrazione a un livello superiore, modulando le note più rassicuranti con altre ben più intense. Molto si deve alla regia di Stephen Chbosky e alla scrittura della sceneggiatura di Steve Conrad.
Nonostante questo, però, gran parte del merito va agli interpreti più giovani e, in modo particolare, al protagonista Jacob Tremblay. A lui, infatti, è affidato il compito di veicolare l’intera vicenda, raccontando il mondo esterno e, soprattutto, il modo in cui questo si confronta con la diversità. Così, attraverso un casco spaziale, comincia la sua avventura nel mondo reale, confrontandosi con bullismo, amicizia, incomprensione e paure altrui che, per assurdo, mettono a tacere le proprie. O, almeno, le mitigano.
E, in tutto questo, il mondo adulto, compreso quello attoriale, rimane un passo in dietro a guardare. Perché, nonostante la presenza potenzialmente fagocitante di due nomi come Julia Roberts e Owen Wilson, questa è una storia narrata dai più giovani, anche se rivolta a tutti. Per comprendere meglio il valore della vicenda, dunque, andiamo ad approfondire alcuni aspetti nella recensione di Wonder.
La trama: Diversità e conoscenza
Il mondo in cui vive Auggie Pullman è rassicurante. D’altronde è composto dal sostegno della sorella maggiore e dei genitori Isabel e Nat. Le sue giornate, fino a questo momento, sono state scandite dalle lezioni in casa e dalla sua passione crescente per la fantascienza e lo spazio. Non è un caso, dunque, che il suo oggetto preferito sia un casco spaziale e abbia una passione crescente per la saga di Star Wars. A differenza di altri bambini, però, non sogna di diventare un jedi come Luke Skywalker. Il personaggio che ha conquistato le sue simpatie, infatti, è Chewbecca.
Una scelta peculiare che, probabilmente, nasce proprio dal suo aspetto e da come, soprattutto, questo condizioni l’approccio con l’esterno. D’altronde la questione dell’immagine accompagna Auggie dal giorno della sua nascita. Affetto dalla Sindrome di Treacher Collins, malattia congenita dello sviluppo craniofacciale, deve fare i conti con un volto quanto meno insolito. Un aspetto che, nonostante i 27 interventi ai quali è stato sottoposto, lo identificano, agli occhi degli altri, ancora come diverso.
Per questo motivo, dunque, la madre Isabel ha un atteggiamento particolarmente protettivo nei suoi confronti. Il padre Nat, invece, si è impegnato a rafforzare la sua autostima e a tratteggiare per il figlio un mondo fantasioso e possibile dove poter dare mostra delle sue qualità.
Nonostante tutti questi sforzi, però, per Auggie è arrivato inevitabilmente il momento di lasciare la sicurezza del proprio mondo per confrontarsi con quello esterno. L’avventura è rappresentata dal suo primo vero anno scolastico all’interno di un istituto privato. Un incredibile passo avanti che lo porterà a creare una sua rete sociale al di fuori dell’ambito famigliare ma, soprattutto, a misurarsi con i preconcetti, la violenza e l’ignoranza di una società che non sembra proprio essere pronta ad andare oltre l’aspetto. Auggie risucirà a dimostrare a se stesso e ai suoi spaventati genitori quanto il concetto di omologazione sia sopravvalutato. Soprattutto se si è destinati a distinguersi.
L’essere e l’apparire
Uno dei cardini principali della cinematografica è l’immagine. Elemento essenziale da osservare, filmare e riprodurre in infinite proiezioni di se stessa, l’apparenza esterna è stata elevata a un ruolo artistico importante. Andando oltre l’elemento puramente estetico, infatti, attraverso il linguaggio del cinema in molti casi è diventata veicolo di concetti, tematiche e riflessioni. L’immagine, però, può trasformarsi anche in ossessiva ricerca di perfezione. L’illusione maggiore attraverso la quale si è pronti a credere nella rappresentazione di un solo e unico modello estetico e nel raggiungimento di quel concetto di bellezza assoluta che, di fatto, non esiste. Due aspetti che vengono perfettamente riassunti e racchiusi nel cuore narrativo di Wonder.
Il giovane personaggio di Auggie, infatti, deve costantemente confrontarsi con il riflesso di se stesso. Un volto che è sempre lì a ricordagli quanto la sua vita e la quotidianità che lo circonda sia “eccezionale”. Allo stesso tempo, poi, è un monito riguardo la fragilità dell’uomo. Una debolezza che non coinvolge tanto la sua persona, quanto il mondo al di fuori. In questo luogo, infatti, composto da un’estetica “normale” o socialmente accettabile, il suo volto diventa la discrepanza, la dissonanza che non appartiene a nessun tipo di canone e che viene considerata come un’alterazione da evitare nella ricerca dell’armonia generale.
Ma esiste veramente un mondo composto solamente da un’estetica omologata o la bellezza si definisce anche attraverso l’inaspettato e l’inusuale? Utilizzando lo sguardo leggero e lieve di un bambino, questa storia riesce a indagare all’interno della questione, arrivando a una conclusione tanto evidente quanto non sempre facilmente visibile. Il concetto unico di bellezza e normalità non ha motivo e senso di esistere. Ancora una volta la maggioranza detta le regole ma, non per questo, debbono essere considerate giuste e inattaccabili.
La diversità e il cinema
Basta citare due titoli fondamentali come Freaks e The Elephant Man per comprendere quanto sia stretto il rapporto che il cinema ha con la diversità fisica. In entrambi i casi, però, ci troviamo di fronte a due percorsi narrativi intrisi fortemente di dolore e sofferenza. Condizioni che passano attraverso il corpo e colpiscono l’anima, compiendo anche il percorso inverso in un costante flusso di disperazione.
Una sensazione, questa, che non definisce in nessun momento Wonder che, a differenza di altri film, è stato pensato e gestito come un atto di speranza. Una sorta di favola moderna dove la difficoltà e l’ostacolo rappresenta una fase essenziale per procedere in avanti. Per questo motivo, dunque, il personaggio di Auggie, nonostante il mondo lo additi come diverso e si trovi a confronto con i preconcetti violenti dell’esterno, non è mai escluso o emarginato. Non senza poche difficoltà, infatti, riesce ad avere una condizione sociale, rapporti amicali su cui contare, andando oltre la sicurezza della propria famiglia. E in questa sua ostinata convinzione di poter trovare spazio per se stesso, riesce a mettere in evidenza anche il dolore degli altri.
Perché, al di la del suo volto, sono diverse le eccezionalità su cui questa storia punta l’attenzione. Si tratta delle differenze e delle fragilità interiori di cui, ad esempio, è caratterizzata la sorella maggiore di Auggie. Consapevole delle necessità del fratello, ha perso velocemente l’attenzione dei propri genitori sostenendo una responsabilità probabilmente troppo importante per la sua età. Intorno a lui, dunque, si muovono una serie di personaggi che impegnano le proprie quotidianità alla ricerca di una felicità decisa sempre a scivolare tra le dita.
Nonostante tutto, però, il loro passo rimane lieve, sostenuto dalla visione ironica dello sceneggiatore Steve Conrad e da quell’atmosfera sognante che definisce ogni sua storia. Un elemento, questo, che rischia di essere enfatizzato troppo nella parte finale del film, facendo perdere d’intensità e significato alla storia ma che, d’altronde, ben si adatta al genere in cui rientra.
La recensione in breve
Emozionante, ironico, coinvolgente e divertente. Lo sceneggiatore Steve Conrad è riuscito a realizzare un insieme armonico di emozioni che si rincorrono e si fondono tra loro con assoluta naturalezza. In questo modo, dunque, ha preso corpo un family movie che, pur cedendo a una dose di retorica sul finale, conduce lo spettatore in un viaggio lieve ma importante tra essere e apparire, sostanza ed estetica.
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Voto CinemaSerieTV