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Home » Film » Recensioni film » Zielona Granica – Il Confine Verde, la recensione del film di Agnieszka Holland

Zielona Granica – Il Confine Verde, la recensione del film di Agnieszka Holland

La recensione di Zielona Granica - Il Confine Verde, film della regista Agnieszka Holland sulla crisi dei migranti.
Paolo RiberiDi Paolo Riberi5 Settembre 2023
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Zielona Granica
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Il film: Zielona Granica – Il Confine Verde, del 2023 Regia: Agnieszka Holland. Cast: Jalal Altawil, Maja Ostaszewska, Tomasz Włosok. Genere: Drammatico. Durata: 147 minuti. Dove l’abbiamo visto: In anteprima al Festival di Venezia.

Trama: Nel 2021, la Bielorussia attira un gran numero di profughi con la falsa promessa di consentire loro un facile accesso all’UE. L’obiettivo, in realtà, è suscitare una crisi con l’Europa: la Polonia erige un muro, e il sogno si tramuta in un incubo…


Dopo essersi immersa nell’oscurità della Germania nazista con Europa, Europa (1990), aver esplorato le vite degli artisti maledetti dell’Ottocento con Poeti dall’inferno (1995), e aver ripercorso, con il suo Charlatan (2020), la parabola del fantomatico erborista-guaritore Jan Mikolášek nella Cecoslovacchia del 1957, la regista polacca Agnieszka Holland ha deciso di tornare a rivolgere lo sguardo al presente.
L’occasione è una drammatica vicenda tuttora irrisolta, che, nel 2021, ha visto protagonisti decine di migliaia di profughi originari del Medio Oriente, abbandonati a se stessi nelle insidiose foreste del “confine verde” che separa la Bielorussia dalla Polonia.
Per il despota bielorusso Lukashenko, i profughi erano un’arma carica da puntare contro l’Europa, nel tentativo di mettere a tacere ogni controversia sulla sua recente, illegittima rielezione. Per la Polonia sovranista erano una fiumana fuori controllo da bloccare a ogni costo, anche a costo di infrangere i più basilari diritti umani.
In Zielona Granica, invece, tornano ad essere ciò che sono sempre stati: esseri umani disperati, in fuga dagli orrori dell’ISIS e dell’Afghanistan, all’affannosa ricerca di un posto dove vivere.
Malgrado il suggestivo ricorso al bianco e nero, che evoca le pagine più cupe del Novecento, stiamo parlando di un dramma ancora in corso, probabilmente destinato a tornare di attualità già nei prossimi mesi: ecco la nostra recensione di Zielona Granica – Il Confine Verde.

La trama: sangue e filo spinato nel cuore dell’Europa

Zielona Granica
Un gruppo di profughi originari del Medio Oriente e dell’Afghanistan atterra a Minsk, in Bielorussia.
In fuga dalla povertà e dagli orrori del fondamentalismo, portano con sé bagagli, denaro contante e cellulari, e hanno ben chiara la loro destinazione: c’è chi vuole raggiungere un parente in Svezia, chi un contatto in Germania e chi ha un’altra meta ancora.
Nel gruppo ci sono donne incinte e bambini, anziani e famiglie: a spingerli a mettersi in viaggio è stata la promessa della Bielorussia di aprire un canale orientale per l’accesso nell’UE, ben più agevole e sicuro dell’insidioso Mediterraneo.
Una hostess distribuisce persino una rosa a ciascuno di loro, infondendo una scintilla di speranza.
Una volta atterrati, però, tutto cambia drasticamente: dopo averli trasportati fino al confine polacco, soglia di ingresso nell’UE, i soldati bielorussi diventano brutali e violenti, e li costringono a strisciare clandestinamente sotto la barriera di filo spinato che la Polonia ha posto sul confine.
Impauriti e stanchi, senza bagagli e con i cellulari quasi scarichi, i profughi credono di aver concluso il proprio viaggio.
L’inferno, però, è appena cominciato: gli agenti della Guardia di frontiera polacca sono ancor più spietati e crudeli dei bielorussi, e li riportano indietro al confine, incuranti delle loro suppliche.
I loro cellulari vengono distrutti, e con un costante ricorso alla minaccia e alla violenza, i profughi vengono costretti a riattraversare il filo spinato.
In un crescendo di brutalità, una donna viene persino sollevata e lanciata oltre il filo spinato.
Circondati e respinti da ogni parte, senza cibo né acqua, i profughi affrontano sofferenze indescrivibili: aborti, percosse, e persino un annegamento nel cuore della notte.
Un gruppo di attivisti cerca di soccorrerli nel rispetto delle regole, ma ben presto diviene chiaro a tutti che occorre fare qualcosa di più…

Una denuncia intensa e viscerale

Zielona Granica
Di fronte al tema del film non c’è spazio per l’opinione soggettiva: l’urlo di dolore che si leva da Zielona Granica – Il Confine Verde non può non riecheggiare con forza nelle profondità dell’anima di ciascuno di noi, inducendo lo spettatore a riflettere su orrori che non si situano in epoche o luoghi remoti, bensì alle porte dell’Europa contemporanea.
Al termine del film, mentre la forza delle immagini e le urla dei profughi ancora si aggirano nelle profondità della nostra coscienza, Agnieszka Holland assesta il colpo più duro: apprendiamo che nel tentativo di varcare la frontiera, dal 2021 a oggi hanno già perso la vita circa 30.000 persone, e scopriamo che “mentre scriviamo queste righe, nella primavera 2023, ci sono ancora persone che muoiono sul confine polacco-bielorusso”.
Sono sufficienti poche, essenziali ricerche per scoprire come anche ora, a settembre, la situazione sia soltanto destinata a peggiorare, visti i recenti proclami di Lukashenko e la vergognosa inerzia dell’Unione Europea di fronte all’emergenza e alla condotta disumana della Polonia.
Nella sua denuncia, il film è nitido, diretto e brutale, e mette a fuoco i veri protagonisti di questo dramma, ossia i tanti uomini, donne e bambini che lottano per la vita nelle foreste del “confine verde”.
L’obiettivo è restituire loro l’umanità da cui vengono quotidianamente spogliati tramite la retorica: “Non sono persone – afferma un soldato polacco a inizio film – sono proiettili viventi” nelle mani del cinico dittatore bielorusso.
Una retorica che vedremo tornare protagonista anche nella sequenza dedicata ai corsi di formazione della Guardia di frontiera polacca, e che diventa un utile mezzo per giustificare anche le peggiori atrocità, oggettivando le vittime di questa surreale vicenda.

Un film “fuori fuoco”

Zielona Granica
A fronte di un tema così intenso e di una sua declinazione forte ed efficace da parte della regista, ci tocca però anche sottolineare i numerosi difetti che, purtroppo, affliggono il lungometraggio, penalizzandone gli indubbi meriti concettuali di partenza.
Il più evidente è indubbiamente rappresentato dalla durata: Zielona Granica – Il Confine Verde è troppo lungo, troppo prolisso ed eccessivamente infarcito di digressioni, che finiscono per distogliere la nostra attenzione e togliere forza al cuore del racconto.
È comprensibile la scelta dell’autrice di proporre una narrazione corale e di raccontarci anche il volto oscuro della società polacca, ma l’eccessiva frammentazione dei punti di vista e la netta cesura tra la prima metà, dedicata alle disavventure dei profughi, e la seconda, focalizzata invece sugli attivisti, finiscono per incrinare l’unitarietà del racconto.
A tutti gli effetti finiamo per perdere di vista il gruppo di protagonisti della prima metà del film per iniziare a seguirne altri senza che i due percorsi trovino un adeguato intreccio risolutivo, perdendo un’ottima occasione di annodare le sorti della storia.
Una soluzione che sarebbe del tutto accettabile nel caso di un documentario, costretto a testimoniare l’evidenza della realtà, ma che funziona assai meno nel caso di una sceneggiatura fiction, per quanto ispirata a testimonianze autentiche.
Risentono dell’eccessiva lunghezza del film anche la fotografia in bianco e nero e il resto del comparto tecnico, che nei primi novanta minuti sembrano funzionare e provocare nel migliore dei modi per poi dare chiari segni di stanchezza e trascinamento.
È il caso di dirlo: con quaranta minuti di meno e una sceneggiatura più focalizzata, Zielona Granica – Il Confine Verde avrebbe potuto essere un film davvero molto migliore.

La recensione in breve

6.0 Frammentario

Zielona Granica - Il Confine Verde parte nel migliore dei modi, e apre gli occhi degli spettatori su una delle più gravi tragedie dei nostri tempi. La regista, però, finisce per strafare, e l’eccessiva frammentazione dei punti di vista - aggravata dalla mancanza di un chiaro focus narrativo - compromettono la bontà della premessa.

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