La prima (e purtroppo unica) volta che lo abbiamo visto dal vivo è stata durante il press tour di Iron Man. Robert Downey Jr. entrò danzando nella sala dove avrebbe incontrato i giornalisti. In quel momento ci siamo perdutamente innamorate di lui, del suo stile inappuntabile e non ultimo del senso dell’umorismo con cui riesce a sdrammatizzare ogni cosa. Persino il classico discorso di ringraziamento per la vittoria dell’Oscar, diventato uno sketch comico esilarante.
Senza fare psicologia spicciola, sappiamo bene come spesso le battute a effetto siano una reazione automatica per nascondere ferite difficili da rimarginare. Insomma, per distogliere l’attenzione da un grumo di dolore che sta lì e che si prova a coprire. Lui per primo non fa mistero di questo, raccontando in ogni possibile occasione quanto la sua vita sia quella di un sopravvissuto. Salvato dalla moglie Susan che lo ha “raccattato” per poi riempirlo d’amore. Perciò, parlare della sua rinascita è un modo per rendere omaggio alla sua resistenza.
Il pirata di Hollywood
Anche nei momenti più difficili, Robert Downey Jr. non ci ha dato l’impressione di essere una figura tragica, dolente. La sua ironia, infatti, ce lo ha fatto “catalogare” nella categoria dei guasconi, dei simpatici filibustieri. Un vero pirata à la Errol Flynn. Da qui al fatto che la sua vita fosse davvero tutta lustrini e paillettes ce ne passa, però. Ha sorriso ma non più di tanto, infatti, quando Jimmy Kimmel lo ha presentato, riferendosi al suo passato di tossicodipendente. Figlio del regista Robert Downey Sr. a cui nel 2002 ha dedicato lo struggente documentario Sr., Downey Jr. cresce in un ambiente culturalmente stimolante ma non equilibrato.
A 5 anni esordisce al cinema con il padre e di lì in avanti inanella una serie di piccole parti fino al 1992, quando Richard Attenborough lo vuole come Charlie Chaplin nel biopic Charlot. Conquista una candidatura all’Oscar e la vittoria ai BAFTA. Downey jr. fa parlare di sé per il suo talento, ma anche per la vita dissoluta. Tra il 1996 e il 2001 viene arrestato svariate volte per possesso e consumo di droga. Entra ed esce dalla prigione e a risentirne è anche la carriera. Entra nel cast di Ally McBeal nel 2000, vincendo anche un Golden Globe come miglior attore non protagonista in una serie, ma è il momento peggiore della sua vita. Dopo l’ennesimo scandalo (vaga nudo per le strade di un sobborgo vicino a Los Angeles sotto l’efetto della cocaina), viene allontanato dalla serie nel 2001. Non finisce in prigione, dove comunque è andato anni prima, ma in rehab.
Tony Stark c’est moi
Con l’entrata in scena nel Marvel Cinematic Universe nel 2008 la carriera di Downey cambia passo. Merito di Jon Favreau che nell’attore trova le giuste sfumature per creare un nuovo supereroe. Il milionario Tony Stark, costruttore dell’avveniristica tuta di Iron Man, sembra il perfetto alter ego di Downey: un uomo brillante, geniale, che non ha mai saltato una crisi, spesso identificato dai media come “quello viziato e strano“. Un match perfetto che ha un immediato ritorno d’immagine e al box office. Arrivano il cult Tropic Thunder di Ben Stiller (dove interpreta un attore troppo innamorato della mimesi) e il franchise di Sherlock Holmes voluto da Guy Ritchie. Ma soprattutto il nostro caro Robert trova la serenità con la compagna, la produttrice Susan Levin, madre dei suoi due figli. Dall’MCU ha preso tanto, Robert Downey Jr. e all’MCU ha dato tanto. Non è un caso che il grande sacrificio di Iron Man, in Avengers: Endgame abbia rappresentato uno dei momenti più dolorosi per i fan della saga. Da quel fatale 2019, qualcosa cambia per lui. Si chiude un capitolo e se ne apre un altro che si chiama Christopher Nolan.
L’incontro con Christopher Nolan
I due si incontrano per i provini di Spaventapasseri, il villain presente nella trilogia nolaniana di Batman, poi interpretato da Cillian Murphy (guarda un po’). Pur sapendo che non gli assegnerà la parte del dottor Crane, Nolan vuole incontrare l’attore. Gli hanno detto che era un tizio un po’ fuori di testa, ma la voglia di conoscerlo è troppo grande. È solo un arrivederci, però. Tempo qualche anno e i due si ritrovano per il grande progetto Oppenheimer. Dirà poi Nolan in un’intervista rilasciata al New York Times: “Vuoi sempre lavorare con grandi attori, ma devi anche incontrarli nel momento giusto della loro carriera e della loro vita, quando tu gli offri qualcosa che non hanno mai fatto prima o che non avevano fatto in tanto tempo“. Insomma, con Iron Man ormai alle spalle, il momento è quello giusto. Downey jr. è pronto al grande salto e quello che gli offre il geniale autore inglese è qualcosa che solletica la sua fantasia.
Nolan pensa per lui il ruolo di Lewis Strauss, l’antagonista di Oppenheimer. E l’attore lo ripaga con un’interpretazione maiuscola. Scavato, per nulla ilare, Robert è misurato, astuto, perfido. Vince Golden Globe, BAFTA e Oscar come migliore attore non protagonista. Nel suo spassoso discorso di ringraziamento all’Academy ringrazia pubblicamente la sua infanzia terribile, la moglie Susan per averlo raccattato come un animale ringhioso e averlo portato alla vita con l’amore. E il suo avvocato Tom Hanson che ha passato metà della sua vita a pagargli le cauzioni. “Avevo bisogno di questo lavoro, molto più di quanto questo avesse bisogno di me e Chris lo sapeva“, dice nella parte seria del suo acceptance speech. Chissà ora cosa combinerà questo animale da palcoscenico.