Nessuno è pronto a un film come Tetsuo di Shin’ya Tsukamoto. Non lo era nel 1989, quando l’opera del regista giapponese si mostrava per la prima volta a un pubblico inconsapevole (che ne sarebbe rimasto affascinato, trasformando velocemente il lungometraggio in un cult per intenditori) e non lo è nemmeno oggi. D’altronde, come potrebbe esserlo?
A partire da quei primissimi titoli di testa dove minacciosi tamburi e rumori metallici c’introducono in un mondo in bianco e nero sporco, perverso, industriale e orrorifico. E occorre meno di un minuto a Tsukamoto per catapultarci in un tour de force visivo e uditivo, mutando in maniera netta e decisa la nostra esperienza di visione.
Diciamocelo chiaramente: non esistono film come Tetsuo. Non così puramente viscerali, non così tanto capaci di stordire in maniera netta anche a distanza di più di trent’anni dalla prima volta.
Con il film di Tsukamoto non importa il numero di visioni che si fanno: è sempre una prima volta. Il nostro è uno sguardo continuamente sverginato. E se nel 1989 questo filone di cinema cyberpunk low budget, dalla qualità semi-amatoriale ma pazzesco nella sua impulsiva creatività, apparteneva ai circuiti underground di visioni fuori orario, oggi questo modo di intendere il body horror e il cinema sembra non tanto nascosto tra i cinefili, ma addirittura scomparso e dimenticato.
Un dito medio all’importanza della trama
La trama di Tetsuo sembrerebbe semplice, soprattutto dopo aver letto efficaci riassunti, e da un certo punto di vista lo è. Un feticista (interpretato dallo stesso regista che è anche sceneggiatore, operatore, montatore e produttore) adora inserirsi tubi e altri oggetti di metallo all’interno del proprio corpo. Un giorno il suo corpo reagisce e, preso dal panico, il nostro fugge per le strade di Tokyo venendo investito da una coppia che lo lascia in un bosco, accorgendosi troppo tardi che il ragazzo è ancora in vita. Da quel momento l’automobilista inizierà una lunga e dolorosa mutazione in uomo-macchina, il suo corpo si trasformerà in un ibrido di metallo violento e istintivo. Il film si conclude con una battaglia in mezzo a un ambiente post-industriale in cui l’automobilista e il feticista, entrambi ormai esseri biomeccanici, si fondono dando vita a una creatura apocalittica che si prepara a distruggere il mondo.
Questa particolare quanto semplice trama sicuramente non è il punto di forza e di interesse del film. Per quanto affascinante e frutto di un’estetica che richiama un altro grande Tetsuo della storia giapponese, quello di Akira di Katsuhiro Otomo, il film di Tsukamoto non risulta incredibile e straordinario grazie a quello che vuole raccontare, ma a come lo racconta.
Tetsuo (conosciuto anche con il sottotitolo The Iron Man) non lascia scampo allo spettatore. Confonde la linea narrativa, rende enigmatico ma non privo di fascino ogni singolo elemento, a cavallo tra la violenza più esplicita e un perverso senso erotico. Non sconvolge per il racconto sbriciolato, composto da pochissimi dialoghi e molte urla e rumori, ma per il piacere del flusso delle immagini.
Il risultato è un film che si alimenta del piacere di mostrare. Così la trama passa in secondo piano, recuperando un’esigenza primigenia del cinema: quello di usare le immagini per provocare lo spettatore.
Occhi sgranati, corpi mutati
C’è un’immagine che in questi ultimi anni vediamo molto spesso. Quella di uno spettatore in una sala cinematografica, il fascio di luce del proiettore sopra la sua testa, a simboleggiare una dimensione religiosa e sacrale. Gli occhi sgranati e la bocca aperta di meraviglia. Anche se le immagini di Tsukamoto, scorrette, instancabili, furiose, non rappresentano quel senso magico a cui solitamente pensiamo quando parliamo di “magia del cinema”, si fa davvero fatica a non considerarla tale.
Tetsuo è un brano hardcore dai suoni cacofonici, un film che non bisogna comprendere ma “sentire”, anche e soprattutto a livello epidermico, come sentire un tubo che si struscia sui propri denti.
Oggi un film come Tetsuo colpisce più forte rispetto alla sua data di uscita. Il modo di fruire il cinema è cambiato, a partire da una curiosità sempre meno presente da parte del pubblico. Le piattaforme streaming apparecchiano tutto a portata di mano, ma in questo modo anestetizzano il senso del nostro vero piacere. Perché l’algoritmo ci coccola e ci protegge: offre la migliore esperienza possibile per non ferirci, deluderci o farci star male. E allora i nostri feticismi diventano rassicuranti, piaceri che raggiungiamo senza fatica, ma che non ci cambiano poi così tanto. Non cerchiamo le storie ma ci capitiamo dentro. Così, invece di sperare in una mutazione dei nostri corpi, rimaniamo chiusi nel nostro rassicurante guscio. Amiamo il cinema, ma lo facciamo rimanendo immobili come singoli fotogrammi anziché proiettarci insieme a loro, nel flusso.
Tsukamoto, invece, vuole catapultarci in mezzo a quello scorrere incessante, in un elogio alla corsa che è sinonimo di stimolo, di energia, di scossa.
Esperienze di visione
Tetsuo fu presentato per la prima volta in Italia, nel 1989, in occasione del Fantafestival di Roma, dove vinse il premio per il miglior film. Fu proiettato senza la presenza di sottotitoli, ma questo non cambiò il responso del pubblico. Perché ciò che conta (e dovrebbe ancora contare) è l’esperienza di visione. Nel 2023, Tetsuo rimane un’opera unica nel suo genere, simbolo iconico di un modo di fare cinema ormai dimenticato, non solo dagli addetti ai lavori ma soprattutto dal pubblico. Senza la voglia di mettersi in discussione, senza I canoni di bellezza ora sono cambiati, appartengono ai filtri. A questo punto dove trovare e come accettare un film come Tetsuo, che non sa che farsene dei filtri?
La nuova edizione home video di Tetsuo (che comprende anche il sequel Tetsuo II: Body Hammer e il mediometraggio Le avventure del ragazzo del palo elettrico) pubblicata tramite StartUp da CG Entertainment in blu-ray ridona voce (e finalmente la migliore immagine possibile) a quel cinema di culto, appartenente al passato, ma che non vede l’ora di dimostrare quanto sia cinema del futuro. Riemerso dalle profondità della terra, mantiene inalterato il suo fascino, per regalare una nuova visione agli spettatori contemporanei e affascinare con la sua sporcizia.
Decenni fa il cinema underground, di rottura e di scoperta, apparteneva alla curiosità. Sperimentare per i registi significava mutare la natura stessa del linguaggio cinematografico, ma per gli spettatori voleva dire mettere alla prova il proprio sguardo abitudinario e arricchirsi di qualcosa di indefinibile. Il film di Tsukamoto è un film che rifugge dalle definizioni, è una corsa che esemplifica la natura stessa dello scorrere della pellicola. Un’opera che vive di movimento (e le scene degli inseguimenti a passo uno sono una dichiarazione d’intenti che trascendono il semplice limite produttivo) come lo è il corpo dei protagonisti.
E come dovrebbe essere il cinema stesso.