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Home » Film » The Hours, 20 anni fa in Italia il capolavoro femminista di Stephen Daldry

The Hours, 20 anni fa in Italia il capolavoro femminista di Stephen Daldry

20 anni fa usciva in Italia The Hours, film con Nicole Kidman, Meryl Streep e Julianne Moore tratto dal romanzo di Michael Cunningham.
Simone FabrizianiDi Simone Fabriziani7 Marzo 20235 min lettura
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The Hours
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Il 7 marzo 2003 arrivava nelle sale italiane The Hours, film diretto dal regista britannico Stephen Daldry e tratto dal romanzo “Le ore” del 1998 scritto dal premio Pulitzer Michael Cunningham. Un adattamento praticamente impossibile per il grande schermo perché l’opera letteraria da cui il lungometraggio prendeva ispirazione era un omaggio nella forma e nello stile alla tecnica del flusso di coscienza utilizzato dalla scrittrice del XIX secolo Virginia Woolf; nel mezzo, tre storie di donne irrequiete alla ricerca della felicità personale in tre linee temporali differenti; a unire queste anime femminili in lotta per l’autodeterminazione e l’identità (anche sessuale) un romanzo senza tempo: “La signora Dalloway” della stessa Woolf.

Assemblando un cast straordinario capitanato da performance imponenti come quelle di Nicole Kidman, Meryl Streep, Julianne Moore ed Ed Harris, The Hours è una trasposizione cinematografica ancora perfetta nonostante abbia già festeggiato i venti anni dalla sua uscita in sala; uno sforzo adattativo curato dalla sensibile e meticolosa sceneggiatura affidata al drammaturgo David Hare, che in tandem con la regia emotiva e atmosferica di Daldry ci ha regalato un capolavoro al femminile senza tempo.

Di cosa parla The Hours?

The Hours

Così come il romanzo di Cunningham, il lungometraggio di Stephen Daldry si dipana in tre archi temporali differenti ma paralleli. 1949: Laura Brown (Julianne Moore), casalinga incinta, vuole preparare una festa per il marito, ma non riesce a staccare gli occhi dal romanzo che sta leggendo, La signora Dalloway di Virginia Woolf. Cambio di linea temporale, e si passa ai giorni odierni: qui Clarissa Vaughn (Meryl Streep) intende organizzare una festa per celebrare l’amico Richard (Ed Harris), un famoso scrittore che però sta lentamente morendo di Aids. Queste due storie sono profondamente legate a quella di un’altra donna, la scrittrice del XIX secolo Virginia Woolf (Nicole Kidman), intenta a dare vita al suo capolavoro letterario, lo stesso che in un certo senso unirà i destini di queste tre donne nel corso del tempo.

Se c’è stato un modello cinematografico che ha saputo restituire con forza narrativa la tecnica letteraria del flusso di coscienza, quello è The Hours. Affidando la trasposizione dalla pagina scritta al grande schermo all’abilissimo sceneggiatore e drammaturgo David Hare, il regista inglese realizza un affresco super-temporale di tre donne alla disperante ricerca del proprio posto nel mondo, inseguendo una felicità ingabbiata spesso dai rigidi costumi e dalle usanze del momento storico in cui si trovano ad agire. Tre archetipi femminili risvegliati dal potere della letteratura, dalla malia delle parole scritte, lette e poi vissute.

La letteratura rende libere

The Hours

La tesi dello scrittore Michael Cunningham viene totalmente abbracciata dall’ambizione cinematografica di Stephen Daldry: quella di allestire un’evocativa installazione artistica sul potere atemporale della letteratura e di come l’arte della scrittura prima e della lettura poi, riesca ad essere ideale grimaldello per il risveglio dell’anima femminile addormentata nelle gabbie invisibili della società patriarcale ed eteronormativa. In un certo qual modo, la letteratura ci rende tuttə liberə sermbra volerci suggerire il capolavoro da Pulitzer di Cunningham, un fil rouge letterario che investe nella quotidianità stessa le tre grandi interpreti femminili dell’adattamento curato da Hare.

Se la Woolf è intenta a realizzare il suo futuro capolavoro La signora Dalloway al tramontare del XIX secolo, Laura Brown agli albori degli anni ’50 acquisisce consapevolezza di vivere in una gabbia patriarcale ed eteronormativa proprio leggendo le parole di quell’opera letteraria; per arrivare infine alla Clarissa Vaughn interpretata dalla Streep, che del personaggio fittizio della scrittrice inglese condivide il nome e l’incipit del romanzo. Uno spettro, quello della signora Dalloway, che unisce tre destini disperanti e disperati, alla costante ricerca di uno stato di felicità sempre illusorio, fin troppo sfuggevole.

La libertà di non essere mogli e madri

The Hours

Una riflessione, quella di Cunningham prima e di Daldry poi, su cosa significhi veramente il concetto di libertà e cosa questo rappresenti per la figura della donna nella storia della società occidentale di ieri e oggi. Per tale motivo The Hours è un lungometraggio che riesce a dialogare con estrema franchezza e un’avvolgente senso del linguaggio cinematografico alla donna post-moderna di oggi, sempre meno legata a posizioni e aspettative di genere, identità, professione ed emotività intima.

Un film necessario tanto venti anni fa, quando debuttò nelle sale ed ebbe un enorme successo di pubblico e critica (al Festival di Berlino ottenne l’Orso d’Oro a tutte e tre le attrici principali, percorso continuato da due Golden Globe ed un Oscar a Nicole Kidman), quanto oggi, capace di instaurare quindi una conversazione stimolante con la post-femminilità odierna. Una pellicola dall’assetto visivo e narrativo rigoroso, elegantissimo e dagli accesissimi toni melodrammatici, ma dall’anima e dal vigore più che moderni.

Nella gabbia dell’identità sessuale

The Hours

Che poi il tema dell’identità sessuale venga affrontato nel romanzo di Michael Cunningham e nel film di Daldry senza battere il tamburo dell’inclusività ma con toni dimessi e fortemente evocativi, è un dato di fatto. Ciò che invece è interessante sottolineare di The Hours (e qui giace molta dell’eredità che il film ancora porta con sé dopo venti anni dalla sua uscita) è che lo fa con estrema naturalezza, sin dalla fase della trasposizione, dalla pagina alla sceneggiatura. Le tre donne che compongono il lirico e disperato trittico femminile della pellicola di Daldry associano la loro identità sessuale (spesso ambigua e volutamente non chiarificata allo spettatore, come nel caso di Virginia Woolf) a una gabbia costruita dalla società in cui vivono e agiscono capace di stritolarle, fino a lasciarle senza respiro e volontà di cambiamento.

Un vento, quello del cambiamento, che però nasce di pari passo con lo slancio verso la libertà di cui si fa promotore il potere disvelatore della lettura del romanzo-chiave della scrittrice britannica; quest’ultimo, è un vero e proprio passepartout per appaiare una volta per tutte le linee temporali parallele che costituiscono il senso dell’universalità di questo oggetto audiovisivo declinato al femminile di un’attualità ancora oggi straordinariamente disarmante. Anche a venti anni di distanza dalla sua uscita.

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