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Home » Film » Noi: la spiegazione del finale del film di Jordan Peele

Noi: la spiegazione del finale del film di Jordan Peele

La spiegazione del finale di Noi (Us), l'opera seconda di Jordan Peele che mette a nudo il lato oscuro degli ideali americani.
Max BorgDi Max Borg1 Agosto 20225 min lettura
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Un'immagine del film Us
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Dopo aver sorpreso il pubblico con la sua opera prima Get Out, nel 2019 Jordan Peele si è confermato uno dei nomi più interessanti dell’horror americano contemporaneo con Noi (Us in originale), ancora più ambizioso e apertamente inquietante. Anche qui, come nell’esordio, il cineasta, proveniente dal mondo della sketch comedy televisiva, mette a nudo il marcio della società americana, con uno sguardo più ampio rispetto all’analisi del razzismo che era al centro di Get Out. Fino ad arrivare a una conclusione sconvolgente che è tra le più dure critiche recenti nei confronti di una certa ipocrisia molto statunitense: scopriamo come in questa nostra spiegazione del finale di Noi, in cui approfondiremo le tematiche chiave del film che sono la chiave per capirne l’inquietante ultimo atto. Ovviamente, l’articolo contiene spoiler.

Lo specchio dell’orrore

Una scena di Noi
Sin dall’inizio Noi gioca con l’immagine dello specchio che, associata ai conigli bianchi nei titoli di testa, fa subito pensare a Lewis Carroll e alle strambe avventure di Alice. E i misteriosi sosia dei protagonisti, guidati da Red che parla di Dio come se fossero una sorta di setta (con frequenti allusioni un verso biblico dove Dio dice che ignorerà ogni richiesta di aiuto quando arriverà il cataclisma dovuto alla venerazione di falsi idoli), sono effettivamente un’immagine distorta della vita privilegiata della famiglia Wilson: fisicamente identici, ma ridotti ad atteggiamenti da cavernicoli, con la sola Red dotata di parola (poiché, come scopriremo in seguito, è la vera Adelaide Wilson, rimasta imprigionata per anni mentre la sua sosia la sostituiva in superficie). E proprio lei se ne esce con la condanna lapidaria della mentalità che ha portato alla sua ribellione: “Siamo americani.”

Sì, perché Us suona come U.S., gli Stati Uniti, e Jordan Peele usa questa duplice lettura per mettere a nudo i panni sporchi del sogno americano. Un sogno costruito sulle lacrime e sui cadaveri di chi non aveva gli stessi privilegi della classe dominante, con un sistema che è ancora in vigore oggi e disprezza in maniera neanche tanto subdola chi è “al di sotto” di un certo livello (basti pensare alla distopia, neanche troppo fantascientifica, de La notte del giudizio, dove il partito politico principale ha indetto la tradizione annuale delle dodici ore in cui ogni reato è concesso con lo scopo preciso di eliminare i poveri). Lo abbiamo visto di recente con quello che sta accadendo con la Corte Suprema americana, nove giudici che incarnano il privilegio massimo (la più alta carica giudiziaria del paese, a vita) e hanno platealmente annunciato l’intenzione di smantellare i diritti di donne e minoranze per ritornare alla supremazia conservatrice di un tempo.

Tutti uguali, o quasi

Un'inquietante immagine del film Us

Alla fine, scopriamo che i sosia sono dei veri e propri cloni, il risultato di un esperimento accantonato dopo un po’ di tempo, lasciando quei corpi privi di volontà propria nei laboratori sotterranei. Individui che sono come noi, eppure al contempo non lo sono, perché sono stati abbandonati al loro destino mentre gli originali sono andati avanti con una vita “normale”, fatta di privilegi e falsi idoli (le tecnologie odierne di cui ci fidiamo troppo). Privilegi che il mondo di sopra dà per scontati, come nella gag intrisa di cattiveria dove un’amica bianca dei Wilson, aggredita dalla propria famiglia sosia, chiede a Ophelia (un’ovvia parodia di Alexa) di chiamare la polizia, al che il dispositivo risponde facendo partire la canzone Fuck Tha Police degli NWA. Unica, beffarda concessione a un sottotesto più esplicitamente afroamericano – è un brano di protesta contro gli atteggiamenti violenti e razzisti delle forze dell’ordine – in un film che mette tutti i privilegiati sullo stesso livello, facendogli del male senza distinzioni di sorta.
Una scena di Noi
E questo messaggio raggiunge l’apice nel confronto finale tra Red e Adelaide, la leader della setta contro la madre di famiglia. Solo che in realtà i ruoli sono invertiti, poiché il clone ha preso il posto dell’originale anni fa, motivo per cui “Adelaide” lotta con particolare ferocia: lei non dà per scontato nulla, e difende ciò che lei si è guadagnata dopo un’infanzia al buio, senza scopo e con i conigli come unica fonte di nutrimento. E nell’altro piatto della bilancia c’è “Red”, la ribelle che in realtà, a suo modo, rappresenta perfettamente il privilegio americano, vestita come Michael Jackson – simbolo della duplicità a livello iconografico – in un video musicale dell’epoca in cui fu rapita e determinata a conquistare gli USA facendo formare ai cloni una catena umana simile a quella che lei vide in televisione anni fa. In altre parole, pur essendo il volto di una ribellione contro il classismo, lei è a sua volta figlia di quello stesso classismo, traendo la sua filosofia da falsi idoli quali il piccolo schermo e la musica pop. E per questo, alla fine, deve morire. Ha ragione il figlio di Adelaide quando, vedendo gli altri Wilson, commenta “Sono noi.” Due facce di una stessa, putrida medaglia forgiata tramite secoli di ineguaglianza ed egoismo: il sogno americano.

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