Alda Merini ha sempre dovuto convivere con le ombre della sua mente e con i problemi psichiatrici. A soli 16 anni, infatti, viene internata per la prima volta in un manicomio con la diagnosi di bipolarismo. Da quel momento inizia per lei un calvario, lungo ben oltre vent’anni, all’interno dei manicomi. Strutture spettrali dove esisteva e veniva praticato l’elettroshock. Nella sua vita, infatti, la Merini ne ha subiti ben 46.
“In quel manicomio esistevano gli orrori degli elettroshock. Ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili fatture. Io le chiamavo fatture perché non servivano che ad abbrutire il nostro spirito e le nostre menti” – raccontò la poetessa – “La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile; e più terribile ancora era l’anticamera, dove ci preparavano per il triste evento. Ci facevano una pre morfina, e poi ci davano del curaro perché gli arti non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica elettrica. L’attesa era angosciosa. Molte piangevano. Qualcuna orinava per terra. Una volta arrivai a prendere la caposala per la gola, a nome di tutte le mie compagne. Il risultato fu che fui sottoposta all’elettroshock per prima, e senza anestesia preliminare, di modo che sentii ogni cosa. E ancora ne conservo l’atroce ricordo”
“Mi hanno fatto quarantasei elettroshock: erano fortissimi e mi pareva di non riuscire a respirare più. Avevo crisi depressive molto forti, dovuti all’adattamento. “
Queste sono le parole con cui la poetessa e scrittrice ha ricordato quei terribili momenti tra le pagine di L’altra verità. Diario di una diversa. In questo libro autobiografico, dunque, racconta i dieci anni trascorsi proprio tra le mura di quell’inferno dove unica salvezza, almeno per lei, è stata proprio la scrittura e la poesia.