In merito al delitto di Via Poma, Roberta Bruzzone ha spiegato che a suo avviso l’omicidio di Simonetta Cesaroni avrebbe un movente di natura sessuale, evidenziato dalle dinamiche in cui si sono svolti i fatti. La psicologa e forense criminologa, ipotizza che l’assassino potrebbe aver reagito ad un rifiuto, da parte della ragazza.
Nel corso degli anni, In qualità di analista della scena del crimine, Bruzzone ha avuto accesso agli atti riguardanti il caso della ragazza brutalmente uccisa negli dell’ufficio dell’Aiag in via Poma a Roma, il 7 agosto 1990. Una documentazione che le ha permesso di dedicare a questo assassinio irrisolto un capitolo all’interno del suo libro Chi è l’assassino. Diario di una criminologa, edito da Mondadori.
Un delitto, quello di Simonetta, cui la Dottoressa Bruzzone attribuisce una matrice chiaramente sessuale. Nonostante non ci sia stata violenza, infatti, il corpo della vittima è stato trovato nudo, fatta eccezione per il reggiseno, e martoriato con ben 29 coltellate, molte delle quali concentrate nella zona del seno, del volto e dei genitali.
Stando all’esperienza della criminologa, infatti, questo modus operandi rispecchia chiaramente un intento omicida di derivazione sessuale. La Bruzzone, dunque, presuppone che sia stato portato a termine da un uomo che non ha accetta un rifiuto.
In una probabile ricostruzione dei fatti, la psicologa e criminologa ha presupposto la successione degli eventi in modo molto preciso e plausibile. L’assassino, probabilmente, non si aspettava di essere rigettato dalla ragazza e, preso da frustrazione, l’ha rincorsa lungo le stanze dell’ufficio per poi colpirla al viso con uno schiaffo ed immobilizzarla a terra per violentarla. Non riuscendo nell’intento, però, ha deciso di infierire su di lei proprio nelle zone del corpo che più rappresentano la seduttività e la natura femminile.
In un intervento televisivo a Porta a Porta del 2012, poi, la Bruzzone ha evidenziato anche delle anomalie che non erano state prese in considerazione durante il processo al fidanzato di Simonetta Cesaroni. In particolare la criminologa fa riferimento alle tracce di sangue di gruppo A. Queste non appartengono a Simonetta e nemmeno al ragazzo. Inevitabilmente, dunque, sono da attribuire all’assassino che, durante l’esplosione di violenza, si è ferito lasciando traccia su di una maniglia e sul telefono.