Giovanni Allevi ha commosso la platea del Festival di Sanremo 2024 assorta in un rispettoso silenzio di fronte alla testimonianza del pianista sulla sua malattia, il mieloma cronico, di cui soffre da circa due anni.
Con la voce rotta dalla commozione, Allevi ha raccontato al pubblico sanremese la sua esperienza con il tumore, vissuto come un “dono” in grado di rendere ancora più significativi tutti i più piccoli dettagli del mondo.
Travolto dall’emozione, e costantemente interrotto dagli applausi scroscianti del pubblico, Allevi inizia raccontando il senso di smarrimento provato nel momento in cui la malattia di Allevi si è manifestata, per poi essere in breve tempo diagnosticata; forte è stata allora anche la paura di non poter più tornare a essere quello di prima. Nel discorso, Allevi ha citato anche Kant.
“All’improvviso mi è crollato tutto. Non suono più il pianoforte, in pubblico, da quasi due anni. Nell’ultimo concerto alla KonzertHaus di Vienna il dolore alla schiena era talmente forte che sull’applauso finale non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello… e non sapevo ancora di essere malato.
Poi è arrivata la diagnosi: pesantissima. Ho guardato il soffitto con la sensazione di avere la febbre a 39 per un anno consecutivo. Ho perso molto, il mio lavoro, i miei capelli, le miei certezze. Ma non la speranza e la voglia di immaginare.”
Tutto questo dolore, però, ha anche un risvolto positivo, poiché porta il pianista a una consapevolezza maggiore della propria esistenza e della realtà che lo circonda
“Era come se il dolore mi porgesse anche degli inaspettati doni. Quali? Vi faccio un esempio. Non molto tempo fa, prima che accadesse tutto, durante un concerto in un teatro pieno ho notato una poltrona vuota. Mi sono sentito mancare.
Eppure quando ero agli inizi ho fatto concerti davanti a 20 o 30 persone ed ero felicissimo. Oggi dopo la malattia, non so cosa darei per suonare davanti a 15 persone…”
Allevi continua predicando l’unicità dell’essere umano, capace più di ogni altro di resistere e di apprezzare l’autentica bellezza del creato; ma i doni che la malattia fornisce non sono solo ‘egoistici’; Allevi infatti ringrazia accoratamente i medici che l’hanno curato, i suoi familiari che gli sono stati vicini, e i suoi compagni “pazienti”, in grado di infondergli coraggio con la loro voglia di combattere
I numeri non contano. Sembra paradossale detto da qui, perché ogni individuo è unico, irripetibile, nel suo modo infinito. Un altro dono: la gratitudine nei confronti della bellezza del creato. Non si contano le albe e i tramonti visti da quelle stanze d’ospedale. Il rosso dell’alba è diverso dal rosso del tramonto e se ci sono le nuvolette intorno è ancora più bello.
E poi ancora una altro dono, ovvero la gratitudine e la riconoscenza per il lavoro dei medici, degli infermieri, di tutto il personale ospedaliero. La riconoscenza per la ricerca scientifica, senza la quale non sarei qui a parlarne. Per il sostengo che ricevo dalla mia famiglia.
L’affetto, la forza e l’esempio che ricevo dagli altri pazienti. I guerrieri… vorrei trovare un altro termine ma non mi viene in mente nulla. Come promesso, vi ho portato qui con me sul palco, anime splendenti, esempio di vita autentica
Allevi conclude mettendo al centro l’individualità della persona come valore inestimabile e inscalfibile, al di là dei giudizi esterni, e lo fa citando il pensiero espresso dal filosofo tedesco Kant nella Critica della Ragion Pratica:
“Quando tutto crolla e resta in piedi solo l’essenziale, il giudizio che riceviamo dall’esterno non conta più. Io sono quel che sono, noi siamo quel che siamo. E come intuisce Kant alla fine della Critica della Ragion Pratica, il cielo stellato può continuare a volteggiare nelle sue orbite perfette, io posso essere immerso in una condizione di continuo mutamento, eppure sento che in me c’è qualcosa che permane!
Ed è ragionevole pensare che permarrà in eterno. Io sono quel che sono. Voglio andare fino in fondo con questo pensiero. Se le cose stanno davvero così, cosa mai sarà un giudizio dall’esterno? Voglio accettare il nuovo Giovanni. Come dissi in quell’ultimo concerto a Vienna, non potendo più contare sul mio corpo, suonerò con tutta l’anima.”
Prima di rimettere le mani sui tasti del pianoforte, Allevi chiosa, completamente travolto dall’affetto ricevuto: “Ho due vertebre fratturate, e tremore e formicolio alle dita. Nome tecnico: neuropatia. Proprio io che devo suonare il pianoforte! E il brano che suonerò si chiama Tomorrow, perché domani, per tutti noi, ci sia sempre ad attenderci un giorno più bello!“