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Home » Personaggi » Perché Massimo Bossetti ha ucciso Yara Gambirasio, secondo i criminologi: “È un predatore sessuale”

Perché Massimo Bossetti ha ucciso Yara Gambirasio, secondo i criminologi: “È un predatore sessuale”

Ecco perché Massimo Bossetti avrebbe ucciso Yara Gambirasio, secondo criminologi e profiler, tra cui Roberta Bruzzone. C'è una motivazione principale e poi altre a seguire.
Fabio FuscoDi Fabio Fusco19 Luglio 2024Aggiornato:19 Luglio 2024
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Massimo Bossetti nel documentario Il caso Yara - oltre ogni ragionevole dubbio
Massimo Bossetti nel documentario Il caso Yara - oltre ogni ragionevole dubbio - fonte Netflix
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Le motivazioni per le quali Massimo Bossetti ha ucciso Yara Gambirasio, secondo criminologi e profiler, trovano riscontro nel fatto che il muratore sia un predatore sessuale di minori che potrebbe aver reagito ad un rifiuto della tredicenne di Brembate di Sopra. Oppure perché stava attraversando una fase critica del suo rapporto con la moglie e questo avrebbe tirato fuori le sue fantasie latenti sui minori. Di seguito esponiamo le motivazioni di alcuni criminologi, tra cui Anna Vagli e Roberta Bruzzone sul caso che dal 2010 continua a far discutere.

Yara Gambirasio si allena al centro sportivo
Yara Gambirasio al centro sportivo che frequentava

La criminologa forense e profiler Anna Vagli ha spiegato di recente su Il Giornale che Bossetti conosceva Yara e l’ha uccisa perché lei si era rifiutata di assecondare le sue fantasie. Per Vagli a quel punto, non c’era alternativa all’omicidio. Inoltre, spiega la criminologa, Yara aveva caratteristiche fisiche che rientravano nelle fantasie del muratore.

“Bossetti incarna, come anche cristallizzato in sentenza, le sembianze del predatore sessuale. Ha ucciso Yara perché si era rifiutata di dare seguito a una fantasia covata da tempo. Non gli restava altra strada diversa dall’omicidio: era a volto scoperto, frequentava abitualmente Brembate e Yara, in quel campo di Chignolo d’Isola, lo aveva visto bene in volto. Lo avrebbe riconosciuto”

“Sicuramente Yara presentava caratteristiche fisiche, come i capelli rossi, che rientravano nelle perversioni di Bossetti. Ma era la prima volta che Bossetti la vedeva. Lui frequentava la zona del centro sportivo, spesso si fermava a comprare le figurine per i figli proprio in un’edicola delle vicinanze. L’aveva sicuramente notata prima di quel maledetto 26 novembre 2010. Però, nonostante sul suo pc siano state rinvenute ricerche anche successive alla morte di Yara relative a ragazzine con i capelli rossi e in età prepuberale, non credo avrebbe colpito ancora. Quello della ginnasta è stato un omicidio d’impeto, ma non per questo meno crudele”.

Roberta Bruzzone
La criminologa Roberta Bruzzone

In un’intervista a Forensic News Roberta Bruzzone, che con Laura Marinaro, co-autrice di un libro sul caso dal titolo Yara. Autopsia di un’indagine (ed. Mursia) ha spiegato che Massimo Bossetti è un child molester regressivo, narcisista bugiardo patologico che oggi dal carcere manda avanti la narrazione di essere vittima di un errore giudiziario per mostrarsi accettabile agli occhi dei familiari e dell’opionione pubblica. RIguardo il termine child molester regressivo, Bruzzone ha spiegato a Il Giornale cosa significa:

“Si tratta di soggetti che non hanno un interesse sessuale esclusivo nei confronti dei minori, ma che conservano anche quella parte di fantasie che può emergere quando il soggetto affronta momenti di particolare criticità della sua vita normale, soprattutto quando affronta periodi di gravi problematiche a carico delle relazioni più significative”

Marita Comi nel documentario Il caso Yara - oltre ogni ragionevole dubbio
Marita Comi nel documentario Il caso Yara – oltre ogni ragionevole dubbio – fonte: Netflix

Bruzzone ha poi spiegato perché una crisi tra Massimo Bossetti e sua moglie Marita Comi potrebbe essere stata il punto di partenza dell’omicidio di Yara.

“Perché io mi sono orientata in questa direzione? Perché Bossetti, proprio nella settimana in cui è maturato l’omicidio di Yara Gambirasio, aveva un problema, una criticità enorme con la moglie. Non si parlavano praticamente, c’era un problema molto serio. Circostanza confermata anche dalla moglie di Bossetti: proprio in quella settimana avevano interrotto qualunque tipo di comunicazione. Questo è certificato anche dai tabulati telefonici. Quella settimana Bossetti era in difficoltà anche dal punto di vista emotivo. E a quel punto questa parte delle sue fantasie parafiliche è emersa prepotentemente”.

Inoltre, prima ancora che si parlasse del coinvolgimento di Bossetti il criminologo Carmelo Lavorino, aveva già tracciato un profilo dell’assassino, che sembra corrispondere a quello di Bossetti e lo aveva riconfermato anni dopo a il Giorno

“Il profilo era basato sull’analisi approfondita di una miriade di dati, provenienti dalle scene, dai luoghi e dai percorsi del crimine, dalla vittima e dal cosiddetto modus operandi dell’assassino. Nel caso di Yara si tratta del classico soggetto insospettabile, affettuoso e premuroso padre di famiglia. Un predatore sessuale che, di fronte al rifiuto della ragazzina, ha perso il controllo e non l’ha ammazzata freddamente, bensì lo ha fatto in modo compulsivo, dopo averla colpita alla testa. Poi non ha atteso che Yara morisse, ma se n’è andato via lasciandola morire per il freddo e gli stenti ed è tornato in famiglia a recitare la parte del padre modello e a proteggere la famiglia. Questo si chiama fuga dalla realtà, dalle responsabilità  e dalla crudeltà. Ha agito in modo calcolato, pianificato, organizzato”.

Lavorino spiegò che Yara poteva essere stata uccisa dopo un tentativo di stupro non riuscito, per timore che si venisse a sapere e l’assassino potesse perdere la reputazione di persona rispettabile.

“Ha perso il controllo e la sua rabbia distruttiva iniziata con il tentativo di stupro, è esplosa. Ha avuto il terrore di perdere la faccia, la stima sociale e la libertà, quindi ha ucciso per eliminare la vittima”.

Massimo Bossetti con la polizia penitenziaria
Massimo Bossetti con la polizia penitenziaria

Infine; Anna Vagli sul suo blog ha voluto fare chiarezza sulla questione delle indagini del DNA, messe in dubbio anche dal documentario Il caso Yara – oltre ogni ragionevole dubbio:

“Giusto per conoscenza, due pillole di genetica. A seguito di un’indagine faticosa, è stato isolato il DNA di Ignoto 1, ricondotto dopo innumerevoli campionamenti proprio a Bossetti. Il DNA si classifica in nucleare e mitocondriale. Il primo rappresenta il marchio di fabbrica di ciascuno di noi, contenendo i geni di entrambi i genitori, mentre il secondo indica esclusivamente la linea materna. E, tanto per dire, in genetica forense non si indaga mai il DNA mitocondriale in quanto, trasmettendosi solo da madre in figlio, non può reputarsi identificativo di un soggetto. Dunque, combaciando il nucleare isolato sugli slip con quello dell’assassino, non pare un atto di fede ma una certezza affermare che Yara è stata portata in quel campo dal Bossetti. Il DNA, anche se per alcuni può risultare difficile crederlo, non vola. Il resto sono favole.”

Nel documentario su Yara attualmente su Netflix, viene dato spazio anche alla figura della maestra di ginnastica ritmica di Yara Gambirasio, della quale fu individuata una traccia di sangue sul giaccone della ragazzina.

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