Anche l’Italia ha avuto il suo Unabomber ma, a differenza del criminale americano, non è mai stato identificato. Il bombarolo italiano ha agito tra il 1994 al 2006 in una zona circoscritta del nostro paese, il Veneto e Friuli, sull’asse Pordenone, Portogruaro e Lignano Sabbiadoro, negli anni ’90 e 2000. Per gli attentati le indagini e i sospetti si concentrarono su Elvo Zornitta, che in seguito fu prosciolto da ogni accusa.
La prima bomba del ‘nostro Unabomber’ esplode l’8 dicembre 1993 nei pressi di una cabina telefonica ma non ferisce nessuno. Il 21 agosto del 1994 a Sacile, alla sagra degli Osei, una madre e le due sue figlie restano ferite da un tubo bomba lasciato vicino ad una fontanella. Nello stesso anno, vengono rilasciati altri due ordigni, uno vicino alla Standa, il secondo davanti ad una chiesa, fortunatamente senza feriti. In questo periodo la stampa inizia a parlare di un Unabomber italiano.
A differenza dell’Unabomber americano, Theodore Kaczynski, l’attentatore italiano non rivendica mai le sue azioni, non scrive nessuna lettera. Gli investigatori seguono varie piste, dall’ecoterrorismo agli ambienti naziskin ma l’assenza di informazioni rende il loro lavoro difficile. Una lunga pausa dell’attentatore indusse gli inquirenti a credere che il colpevole fosse un militare statunitense di stanza alla base aerea di Aviano, trasferito nel Kosovo per la guerra nella regione balcanica tra il 1996 ed il 1999.
L’assenza di un movente, moltiplicò il numero dei possibili indiziati. Nel maggio del 2004 fu posto sotto indagine l’ingegnere Elvo Zornitta, il cui nome fu fatto da un’altra persona indagata. L’uomo aveva le competenze tecniche per costruire la bomba, si spostava molto per lavoro, e nella sua abitazione furono trovati oggetti compatibili con il materiale usato per gli attentati.
Nonostante non ci fossero prove concrete, l’uomo fu sorvegliato per due anni, durante i quali Unabomber colpì regolarmente e Zornitta aveva degli alibi confermati dagli inquirenti. Le forze dell’ordine, comunque, continuarono a sorvegliare Zornitta e, convinti dell’esistenza di un complice, sottoposero all’esame del DNA i suoi familiari, i suoi amici ed i suoi colleghi. Il 10 ottobre 2006, gli investigatori trovarono la compatibilità tra le lame di un paio di forbici sequestrate a casa Zornitta e i tagli sul lamierino dell’ordigno rinvenuto nella chiesa di Sant’Agnese a Portogruaro, quello esploso il 2 aprile 2004.
Il 17 gennaio 2007, l’avvocato Maurizio Paniz ipotizzò che una piccola striscia del lamierino fosse stata tagliata con le stesse forbici dopo il sequestro. Le nuove analisi confermarono questa supposizione, finì sotto inchiesta il poliziotto Ezio Zernar, che aveva truccato la prova allo scopo di incastrare Zornitta. L’ingegnere fu prosciolto da tutte le accuse. Ezio Zernar fu condannato in Cassazione a due anni per falso ideologico e frode processuale.
L’ultimo attentato di Unabomber risale al sei maggio 2006: a Porto Santa Margherita due fidanzati trovano una bottiglia che al suo interno sembra contenere un messaggio, ma in realtà è un ordigno. Massimiliano Bozzo resta ferito dall’esplosione. Da allora, il criminale non ha più colpito e non è stato mai identificato.