Esattamente dieci anni fa, il 10 ottobre 2012, sull’emittente americana The CW debuttava Arrow, serie tv dedicata alle avventure del supereroe DC Comics Oliver Queen, alias Freccia Verde.
Con il passare delle stagioni, il successo del telefilm – andato evidentemente molto al di là delle iniziali aspettative di Warner Bros – ha portato alla creazione di un vero e proprio universo fumettistico condiviso. Si fa riferimento, ovviamente, all’Arrowverse, un curioso progetto narrativo che, negli ultimi anni, ha collegato in maniera organica e coerente una pletora di altri prodotti televisivi: oltre alla serie capostipite, hanno fatto parte del filone – a vario titolo –The Flash, Constantine, Legends of Tomorrow, Supergirl, Black Lightning, Batwoman e Superman and Lois.
Un autentico “Marvel Cinematic Universe in miniatura” che, seppur frenato da mille limitazioni economiche e qualitative, attraverso la formula dei crossover annuali tra le varie serie tv ha saputo forgiare solidi legami tra i vari eroi protagonisti, e regalarci memorabili eventi trasversali come “Invasion!”, “Crisis on Earth-X”, “Elseworld” e “Crisis on Infinite Earths”, riuscendo nell’impresa di trasporre per la prima volta su schermo molti dei maggiori cicli fumettistici DC Comics.
I meriti di Arrow, però, non si fermano certo qui: malgrado le critiche dei suoi detrattori e alcuni innegabili cali di tono, la serie creata da Greg Berlanti, Marc Guggenheim e Andrew Kreisberg ha rappresentato un’autentica pietra miliare nella storia dei cinecomic e si è rivelata capace di esercitare una forte influenza anche sulle produzioni cinematografiche di settore, lasciando un segno indelebile nell’immaginario degli spettatori.
In occasione dei dieci anni dal debutto di Arrow, ripercorriamo la storia della serie per capire in cosa consiste l’eredità dell’Oliver Queen televisivo interpretato da Stephen Amell.
L’anno zero dei cinecomic
Il lungo viaggio di Arrow sul piccolo schermo, lo si è detto, inizia nel 2012: una data molto particolare, quasi simbolica, che nella storia dei cinecomic segna un autentico “anno zero”, uno spartiacque tra due epoche differenti.
Al cinema si è conclusa da un anno la trilogia del Cavaliere Oscuro diretta da Cristopher Nolan, e solo nel 2013 farà il suo debutto il primo film del nuovo corso, ossia Man of Steel di Zack Snyder, capostipite del tormentato e perennemente incompiuto DC Extended Universe. Dal punto di vista creativo, il brand DC Comics ha insomma di fronte a sé un proverbiale foglio bianco, con possibilità creative potenzialmente illimitate.
Nelle sale cinematografiche debutta The Avengers, lungometraggio Marvel destinato a cambiare per sempre il mondo dei cinecomic e a diffondere per la prima volta la nozione di un universo cinematografico condiviso, proponendo l’ambiziosa idea di una trasposizione sistematica e corale delle saghe a fumetti nella loro interezza.
Nel frattempo, sul piccolo schermo si è conclusa da un anno l’epopea a tinte young adult di Smallville, e non esistono altre serie tv fumettistiche di marca DC o Marvel. I tempi sembrano ormai maturi per un approccio radicalmente nuovo al mondo dei supereroi: proprio per sancire questo nuovo inizio, i produttori di Arrow scelgono di affidare la parte del protagonista all’interprete canadese Stephen Amell, anziché riportare davanti alle telecamere Justin Hartley, che già aveva incarnato Oliver Queen nelle ultime stagioni di Smallville. La scelta si rivela vincente, e segna l’inizio di un’avventura che si protrarrà per 8 stagioni e 170 episodi, destinata a originare un intero universo narrativo.
La trama: due linee narrative per raccontare la genesi di un eroe
“Il mio nome è Oliver Queen. Per cinque anni sono rimasto bloccato su un’isola con un solo obiettivo: sopravvivere. Ora esaudirò il desiderio di mio padre in punto di morte: userò la lista di nomi che mi ha lasciato e colpirò tutti quelli che stanno avvelenando la mia città. Per fare questo, devo diventare qualcun altro. Devo diventare qualcos’altro”.
La storia, ben riassunta dal caratteristico monologo che apre i vari episodi della serie, è quella del ritorno a casa di Oliver Queen, giovane miliardario americano dato per morto dopo il naufragio del suo yacht nel mare cinese orientale, e sopravvissuto per cinque anni sulla remota isola di Lyan Yu. Durante la sua lunga scomparsa, il protagonista si è visto costretto a svestire i panni del playboy per affrontare un intenso percorso iniziatico che, sotto la guida di vari mentori, l’ha condotto a trasformarsi in un arciere formidabile e un giustiziere spietato.
A livello interiore, la spinta al cambiamento è giunta soprattutto dal suicidio di suo padre Robert che, dopo il naufragio dello yacht, ha scelto di porre fine alla propria vita per consentire al figlio di sopravvivere a bordo della zattera di salvataggio. Prima di morire, Robert ha affidato a Oliver il compito di rimediare ai suoi errori, consegnandogli una lista dei molti ricchi malfattori che tormentano la città di Starling City.
Le prime cinque stagioni della serie giocano sull’alternanza di due linee narrative, ripercorrendo in parallelo i cinque anni trascorsi dal naufrago Oliver sulla remota isola di Lyan Yu (ma anche nei bassifondi di Shangai e in Russia) e, nel presente, le avventure successive al suo ritorno a casa, dapprima in veste di giustiziere mascherato e successivamente come eroe al servizio della città.
La scelta di seguire entrambe le linee narrative, anziché limitarsi a sporadici flashback, consente agli sceneggiatori di sviluppare in profondità il personaggio di Oliver e delinearne l’evoluzione, propiziando anche alcuni convincenti colpi di scena rappresentati dalla ricomparsa nel presente di alcune vecchie conoscenze incontrate su Lyan Yu, come il mentore e antagonista Slade Wilson e l’ex amante Sara Lance.
Nelle ultime tre stagioni, concluso l’arco narrativo legato al passato, la serie continuerà a proporre due linee temporali parallele, accostando al presente una storyline dedicata al futuro della città nel 2040, e alle avventure dei figli dei protagonisti.
La continua alternanza di più piani cronologici è sicuramente uno dei fattori di successo del telefilm, e dimostra come anche il genere del cinecomic possa trarre giovamento da architetture narrative complesse e da una pianificazione del racconto a lungo termine.
Eroi, comprimari e antagonisti: un cast convincente
Parallelamente alla maturazione di Oliver Queen, nel corso delle otto stagioni della serie assistiamo anche a quella del suo interprete.
Stephen Amell, inizialmente non avvezzo a produzioni di grosso calibro, esordisce nelle prime puntate con una performance decisamente sottotono, ma con il passare delle stagioni entra sempre più nella parte, fino a regalarci numerose prove attoriali convincenti e vari momenti di sorprendente intensità (si pensi, ad esempio, all’intenso arco narrativo che apre la settima stagione, che vede Oliver imprigionato nel carcere di Slabside insieme ai suoi più acerrimi nemici).
Un contributo fondamentale al successo della serie giunge anche e soprattutto dai comprimari, ossia dagli interpreti di quello che nel gergo dei fan è diventato il “Team Arrow”. Si segnalano, in particolare, le valide performance di David Ramsay nei panni dell’ex militare John Diggle, destinato a diventare il migliore amico del protagonista, di Emily Bett Richards nel ruolo di Felicity Smoak, dapprima assistente e aiutante di Oliver sul fronte informatico, e in seguito amante e moglie dell’eroe, di Katie Cassidy nei panni dell’avvocato Laurel Lance (alias Black Canary), che inizia la serie come love interest dell’eroe e, successivamente, diventa la sua più fedele alleata nella lotta contro il crimine, di Rick Gonzalez, interprete dello scapestrato vigilante Wild Dog, sempre pronto a mettere in discussione l’autorità del protagonista e, infine, di Willa Holland e Colton Haynes, rispettivamente nei panni di Thea, sorella minore di Oliver, e del suo fidanzato Roy Harper.
A dispetto del titolo, necessariamente focalizzato sulla sola figura del protagonista, Arrow è una serie che trova nella componente corale del racconto uno dei suoi maggiori punti di forza: nel corso degli episodi, la serie riesce a delineare organicamente un folto gruppo di protagonisti e comprimari, eroi e sidekick, facendo propria la lezione di The Avengers e del Marvel Cinematic Universe in maniera molto migliore di quanto purtroppo non accadrà, con ben altri budget, per le sfortunate produzioni DC Comics sul grande schermo.
A rubare la scena e, talvolta, a sorreggere le sorti dell’intera narrazione, sono però soprattutto i carismatici antagonisti della serie, che in più di un’occasione sembrano compensare una sceneggiatura non certo priva di difetti con prove attoriali davvero pregevoli: è il caso del Malcolm Merlyn di John Barrowman, del Ricardo Diaz di Kirk Acevedo, dell’Adrian Chase di Josh Segarra e, soprattutto, del memorabile Slade Wilson interpretato dal neozelandese Manu Bennett (Spartacus, Lo Hobbit, The Shannara Cronicles).
Quella di Arrow, in definitiva, è una galleria di villain convincenti, ben delineati nella loro genesi e nelle loro motivazioni, che non si limitano a incarnare l’archetipo del “doppio oscuro” dell’eroe teorizzato da Christopher Vogler, ma finiscono per brillare di luce propria, e a rappresentare figure tragiche talora persino più affascinanti degli stessi protagonisti.
Una lezione destinata a fare scuola anche oltre i confini dell’universo DC, come ci ha dimostrato l’avvento del Thanos cinematografico di Josh Brolin nel Marvel Cinematic Universe.
Una fonte inesauribile di spunti per il mondo cinematografico
Un aspetto forse non così conosciuto, ma fondamentale per comprendere appieno il peso dell’eredità di Arrow e del resto dell’Arrowverse, è rappresentato dall’enorme influenza che queste serie televisive hanno esercitato sulle produzioni cinematografiche DC Comics. Molto spesso, infatti, il grande schermo ha attinto a piene mani agli spunti vincenti dei telefilm, nel tentativo (più o meno riuscito) di farli propri.
Arrow e The Flash, ad esempio, hanno introdotto il tema del multiverso con molti anni di anticipo sia rispetto ai film Marvel che a quelli DC.
Due formazioni di supereroi comparse nel corso della seconda stagione di Arrow – la Suicide Squad e le Birds of Prey – fino a quel momento sconosciute al grande pubblico, sono poi approdate sul grande schermo dopo il successo riscosso in tv. Lo stesso vale per molteplici personaggi dei fumetti, emersi nel corso delle otto stagioni del telefilm: è il caso di Black Canary, interpretata al cinema da Jurnee Smollett-Bell, di Deadshot, uno dei primi avversari di Oliver Queen, trasposto sul grande schermo con il volto di Will Smith, e soprattutto del mercenario Slade Wilson/Deathstroke, introdotto nella scena post credit di Justice League del 2016 con il volto di Joe Manganiello dopo il successo televisivo riscosso dal personaggio nelle prime due stagioni di Arrow.
Arrow ha insomma rappresentato per otto anni una miniera inesauribile di spunti originali per le produzioni cinematografiche, svolgendo un ruolo fondamentale nel portare per la prima volta all’attenzione degli spettatori un gran numero di personaggi dei fumetti fino a quel momento relegati nell’oscurità.
Purtroppo, tuttavia, la gestione globale del brand DC non ha certo brillato per riconoscenza nei confronti della sua serie di punta, rifiutandosi di accordarle un budget all’altezza delle sue ambizioni narrative e, soprattutto, ostacolandone a più riprese gli sviluppi narrativi, con l’apposizione di continui veti sull’utilizzo di determinati personaggi.
È il caso di Bruce Wayne/Batman, la cui apparizione nella serie è stata pure più volte invocata dai fan, da molti attori e dagli stessi produttori: il suo dualismo con il cupo e caparbio Oliver Queen televisivo avrebbe sicuramente creato dinamiche molto interessanti, ampliando di molto le potenzialità narrative della serie tv. La DC, tuttavia, ha sempre ritenuto che un’apparizione del Cavaliere Oscuro nella serie televisiva avrebbe potuto in qualche modo “diluirne l’immagine” e “creare confusione negli spettatori”, vista la simultanea presenza di un’altra versione del personaggio sul grande schermo. Una scelta senz’altro legittima, che però confligge con l’apparizione di molteplici versioni di Bruce Wayne in varie altre serie tv (Gotham, Titans, Batwoman) nonché al cinema (il personaggio sarà interpretato contemporaneamente da Ben Affleck, Robert Pattinson e, a breve, persino da Michael Keaton, senza contare la sua apparizione come bambino nel Joker di Todd Philips).
Ma, soprattutto, a limitare le sorti di Arrow è stata la decisione – decisamente opinabile – di rimuovere forzatamente dal racconto tutti i personaggi che, nel corso degli anni, sono stati selezionati per apparire più o meno fugacemente sul grande schermo, senza alcun riguardo per la preesistente versione già introdotta sul piccolo schermo. È così che i produttori della serie si sono visti costretti ad allontanare frettolosamente dai riflettori Deadshot, la Cacciatrice, Amanda Waller, Katana, un’appena abbozzata Harley Quinn e lo stesso Slade Wilson, che pure nelle prime due stagioni aveva rappresentato uno dei personaggi più riusciti della serie.
Scelte che risultano del tutto incomprensibili – soprattutto alla luce della decisione di collocare le avventure di Oliver Queen in un mondo parallelo e completamente indipendente rispetto a quello cinematografico – ma che non hanno impedito agli sceneggiatori della serie di fare di necessità virtù, e di valorizzare altri personaggi minori, dando vita a una saga ben più longeva e coerente di quella dei film.
I benefici della longevità
Diciamolo apertamente: Arrow non è certo una serie perfetta. A causa dell’elevato numero di episodi che compongono le sue otto stagioni, non sono certo mancate alcune puntate filler, alcune evoluzioni narrative prive di reale impatto sulla trama principale e alcune eccessive concessioni nei confronti della fanbase (sì, stiamo parlando proprio della famigerata love story tra Oliver e Felicity). Difetti tipici, tuttavia, della stragrande maggioranza delle serie tv broadcast che hanno preceduto l’avvento dello streaming, articolate su un numero particolarmente elevato di episodi, e animate dal tentativo di accompagnare lo spettatore durante l’intera durata dell’anno.
Si sono registrate anche alcune cadute di stile di portata più estesa, come quella rappresentata dalla malriuscita quarta stagione, funestata da un eccessivo accumulo dei difetti appena evidenziati e da una scrittura di fondo evidentemente poco ispirata.
Anche da questo punto di vista, tuttavia, si può paradossalmente affermare che Arrow rappresenti un modello virtuoso di cinecomic e un prezioso punto di riferimento, soprattutto se si traccia un confronto con quanto avvenuto sul grande schermo.
Proprio come nel caso delle saghe a fumetti, gli adattamenti seriali e cinematografici dedicati ai supereroi richiedono tempo per essere raccontati a dovere, e in numerosi casi finiscono per acquistare valore e significato proprio per via del progressivo accumularsi di vicende, vicissitudini e peripezie, non tutte necessariamente di qualità impareggiabile. Le avventure del vecchio Wolverine del Logan di James Mangold, o l’epico sacrificio di Iron Man al termine di Avengers: Endgame, ad esempio, assumono un enorme significato per lo spettatore proprio perché sanciscono un climax, un vertice “epocale” dopo molti anni di narrazione.
Fatte le dovute proporzioni, parecchi archi narrativi della serie tv, come l’ascesa del vendicativo villain Prometheus (le cui origini risalgono al primo anno di attività di Oliver come vigilante), il breve ritorno di Deathstroke al termine della quinta stagione, la prigionia del protagonista nel carcere di Slabside in compagnia dei suoi nemici giurati e il suo epico sacrificio nel corso della battaglia cosmica contro l’Anti-Monitor finiscono anch’essi per acquisire una carica enfatica decisamente notevole proprio per via di tutto il tessuto narrativo che li precede.
Lo stesso, purtroppo, non avviene per nessuno dei personaggi cinematografici del marchio DC, la cui evoluzione risulta clamorosamente penalizzata da continui reboot, recast e cambiamenti di rotta, nel tentativo di inseguire la perfezione qualitativa a ogni costo, a discapito della continuità e della longevità del racconto.
Per tacere di Superman, personaggio che più di ogni altro ha pagato il prezzo dell’assenza di uno sviluppo cronologico sul grande schermo, si pensi anche solo al caso di Batman: malgrado la realizzazione di ben otto film “monografici” dedicati alla figura del Cavaliere Oscuro e di un nono dedicato alla figura della sua nemesi, Joker, il mondo cinematografico DC Comics continua a reiterare senza sosta le medesime dinamiche e i medesimi archi narrativi – quante volte abbiamo visto morire i poveri Thomas e Martha Wayne? – senza mai riuscire a sviluppare altre celebri storie a fumetti altrettanto celebri e meritevoli (“A Death in the Family”, “The Killing Joke”, “Batman: Son of the Demon”, “Batman Beyond” e “Metal”, per citarne alcune), dal momento che questi racconti richiederebbero un elevato grado di costruzione pregressa del personaggio e della sua biografia.
Arrow, con la sua incredibile longevità e la sua capacità di effettuare correzioni di rotta dopo i fisiologici incidenti di percorso, rappresenta pertanto un prezioso punto di riferimento anche per il mondo del cinema: alla già citata debole quarta stagione, ad esempio, ne seguì una quinta radicalmente diversa, che si dimostrò capace di convincere e riconquistare un gran numero di spettatori senza cadere nell’errore di premere il comodo tasto “reset”.
Una politica che, evidentemente, molto avrebbe giovato al DC Extended Universe cinematografico dopo il clamoroso flop del famigerato Justice League del 2016, inizialmente diretto da Zack Snyder e poi pesantemente rimaneggiato da Joss Whedon, ma anche ad altre serie tv dello stesso brand, come Constantine (2014) e Swamp Thing (2019), ingiustamente cancellate al termine della prima stagione, molto prima di raggiungere il loro pieno potenziale.
La DC televisiva dopo Arrow: un testimone troppo pesante?
“Io ho acceso la scintilla, ora voi trasporterete la fiamma”. È con questa frase che Oliver Queen, durante l’evento crossover Crisis on Infinite Earths del 2020, si congeda dagli altri eroi dell’universo condiviso televisivo DC Comics prima dell’epico sacrificio che sancirà la fine della sua storia. Una sorta di testamento spirituale che, fuor di metafora, sembra esortare gli altri telefilm dell’Arrowverse a proseguire il racconto, e portare avanti per almeno un altro decennio l’eredità narrativa della serie madre.
Purtroppo, a distanza di appena due anni, tocca constatare come qualcosa sia inequivocabilmente andato storto: complici il lungo stop agli eventi crossover imposto dalla pandemia, la nuova linea politica adottata da Warner Bros Discovery, la cessione a Nextstar dell’emittente The CW e alcune vicissitudini personali che hanno visto protagonisti vari attori-chiave dell’universo televisivo (Ruby Rose, Carlos Valdes, Hartley Sawyer, Melissa Benoist), tutte le serie tv dell’Arrowverse sono state drasticamente concluse o cancellate, e l’universo televisivo nato esattamente dieci anni fa è destinato a concludersi definitivamente nel 2023 con la nona e ultima stagione di The Flash.
Al di là dei rovesci della sorte e dei pesanti cambiamenti ambientali imposti dal nuovo management di Warner Bros, occorre comunque constatare come gli altri telefilm dell’universo televisivo non si siano affatto rivelati all’altezza di raccogliere il testimone di Arrow, proponendo spesso storyline, attori e personaggi non in grado di rivaleggiare con i migliori momenti della serie madre.
Allargando la prospettiva, l’avvento di un nuovo modello di serialità – rappresentato dalle serie tv supereroistiche prodotte dalle piattaforme streaming Disney Plus, Amazon e Netflix, con valori della produzione e qualità infinitamente più elevati – ha sancito il precoce invecchiamento dell’Arrowverse, che è stato frettolosamente abbandonato da Warner Bros senza che venissero messi in produzione nuovi titoli di livello superiore ambientati nello stesso universo, ma senza neppure delineare un’alternativa convincente con le nuove serie tv di nuova generazione sulla piattaforma Hbo Max (è notizia di quest’estate che le serie tv Titans e Doom Patrol sarebbero anch’esse destinate alla cancellazione al termine della prossima stagione, e che molti nuovi prodotti televisivi di marca DC Comics, come Strange Adventures, Constantine e Madame X sarebbero stati cancellati prima ancora del lancio).
Questa debacle generalizzata e apparentemente irreversibile della DC televisiva, tuttavia, non fa che enfatizzare i meriti di una serie come Arrow che, anche attraverso le sue propaggini collaterali, ha saputo rimanere sulla cresta dell’onda per un decennio, e rappresentare un punto di riferimento per tutti gli altri prodotti del settore.