Dopo il passaggio in sala (lanciato dalla prima mondiale a Cannes) e quello televisivo, è arrivato anche su Netflix il nuovo progetto di Marco Bellocchio, Esterno notte. “Una serie”, recitano i titoli di testa, anche se lo si può (giustamente) ritenere un film per come ha debuttato e per come la poetica del regista non sia stata appiattita dalle logiche catodiche generaliste. Anzi, la durata estesa ha consentito a Bellocchio di essere ancora più spietato nella sua autopsia della società italiana di allora, con un risultato che per certi versi ha fatto molto più discutere della sua prima rielaborazione sullo schermo della vicenda di Aldo Moro, uscita nel 2003. Proviamo a capirne i motivi in questa nostra spiegazione del finale. Ovviamente, l’articolo contiene spoiler.
Tutto nel titolo
Già di suo è molto significativo il titolo del sesto episodio: dopo i precedenti capitoli che indicavano chi fosse la figura centrale (nell’ordine, Aldo Moro, il ministro degli interni, il Papa, i terroristi, ed Eleonora, ossia la signora Moro), l’ora finale del progetto arriva con un appellativo spiazzante, per quanto logico. Si chiama La fine. La fine del film (o della serie che dir si voglia), la fine del meccanismo narrativo messo in piedi da Marco Bellocchio, ma anche la fine di Moro, ineluttabile, quella che conosciamo tutti: il ritrovamento del cadavere dell’onorevole nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, dopo quasi due mesi di prigionia in un covo delle Brigate Rosse. L’episodio in cui tutti i nodi vengono al pettine, con le varie linee narrative che si intersecano nel momento in cui politici, famigliari e il pontefice si riuniscono per l’ultimo saluto al grande democristiano, ucciso proprio quando si pensava che la liberazione fosse vicina.
La tragedia di Aldo Mor(t)o
Quello di Moro è un autentico calvario, rappresentato anche da momenti onirici in cui lui, come se fosse una figura cristologica, si porta appresso la croce sulla quale verrà metaforicamente inchiodato. Dai brigatisti, certo, ma anche da sedicenti colleghi e amici. Vi è infatti il dubbio, espresso dalla famiglia (e forse all’origine della polemica della figlia dell’onorevole circa la veridicità dei fatti raccontati da Bellocchio), sulla sincerità delle intenzioni dei politici italiani, che dichiarano di voler salvare Moro – arrivando persino a rivolgersi a informatori stranieri per avere maggiori dettagli su come procedere – ma potrebbero in realtà aver deciso a porte chiuse che il leader della Democrazia Cristiana è un sacrificio accettabile per il bene della nazione. Ed è una conclusione alla quale arriva anche Moro nell’ultimo episodio, quando interrompe il prete convocato per confortarlo e, rinunciando alla sua tradizionale calma, esprime disprezzo per coloro che, in teoria, dovrebbero essere dalla sua parte. È la fine, come recita il titolo di quel capitolo conclusivo. Di Moro, ma anche, sembra dire Bellocchio, della recita messa in piedi da chi sosteneva di volerlo liberare a tutti i costi e poi, nel privato, forse era un po’ sollevato apprendendo la notizia della morte del collega.
Due versioni allo specchio
Nell’autunno del 2003 debuttava Buongiorno, notte e si parlava di Moro in tutt’altro modo. Un film quasi interamente al chiuso, all’interno dell’appartamento dove i brigatisti avevano rinchiuso l’onorevole, dove la principale scena all’aperto era quella che riscriveva la Storia e offriva uno spiraglio di speranza: Moro, ancora vivo, che usciva da quella casa e passeggiava, tranquillo, per le strade di Roma. A quasi vent’anni di distanza è arrivata la risposta con Esterno notte, che inizialmente sembra voler intraprendere una strada simile, con il primo episodio che si apre con Moro ricoverato in ospedale dopo essere fuggito; ma è solo una delle tante visioni beffarde che precedono l’inevitabile appuntamento con la morte.
Dall’approccio “terra terra” che sottilmente cedeva il passo al fantastico siamo arrivati al percorso inverso, dove l’irreale è solo una vistosa distrazione mentre si arriva inesorabilmente a quel finale che, questa volta, Bellocchio non può e non vuole riscrivere. Da quel punto di vista Esterno notte continua la riflessione vista nel documentario Marx può aspettare, nel quale il cineasta indaga il legame tra la propria vita, la Storia italiana e l’espressione cinematografica di entrambe. Si torna indietro per guardare avanti, abbracciando pienamente quella notte nerissima del titolo che, nel corso di due decenni, ha preso il sopravvento su ogni spiraglio di luce.