Fin dalla nostra recensione di Shogun, il nuovo capolavoro targato Disney Plus ambientato nel Giappone feudale del 1600, vi avevamo fatto notare come, paradossalmente, la storia dell’anjin John Blackthorne, di lady Mariko e di lord Toranaga risultasse un erede de Il Trono di Spade assai più convincente dello stesso House of the Dragon.
Ora che la miniserie ha finalmente raggiunto la sua epica conclusione, ci sentiamo di fare un passo oltre. È ora di essere sinceri e ammetterlo: Shogun è nettamente migliore de Il Trono di Spade.
Prima di aprire le polemiche, lasciatelo dire a noi: siamo ben consapevoli che si tratta di un confronto problematico, sicuramente improprio sotto numerosi punti di vista. Le ambientazioni e i generi sono differenti, dal momento che Shogun è pur sempre una serie ad ambientazione storica, mentre Il Trono di Spade è un fantasy. Anche il formato è diverso: Shogun è una storia autoconclusiva articolata in un singolo romanzo, mentre Il Trono di Spade (o meglio, A Song of Ice and Fire) è una saga ponderosa e articolata in più libri. Pertanto, l’adattamento targato Disney Plus ha assunto la veste di una miniserie autoconclusiva da 10 episodi, mentre la saga di Westeros è approdata su HBO sotto forma di 8 stagioni, per un totale di 73 episodi. Come se non bastasse – e questo è il terreno più delicato! – Shogun è un prodotto appena uscito, mentre Il Trono di Spade si è ormai ritagliato un posto d’onore tra i cult della televisione.
Ciò nondimeno, entrambe le storie ci propongono una contesa per il potere senza esclusioni di colpi, che intreccia politica, guerra, amore e avventura in un orizzonte feudale popolato da fazioni e culture differenti. Se si usa il giusto metro, un confronto è senz’altro possibile: proviamo ad approfondire la questione!
Un sistema di valori più sofisticato
Iniziamo da quello che tradizionalmente è considerato un punto di forza dell’universo di Westeros.
Come tutti sanno, Il Trono di Spade deve larga parte del suo successo a un sistema valoriale che non contrappone bianco e nero, ma esplora differenti sfumature morali in un universo grigio e ambiguo. Ciò nonostante, la logica di fondo resta alquanto semplicistica: incontriamo personaggi onorevoli, come Ned Stark e Jon Snow, e figure pronte a tutto per raggiungere il potere, come Ditocorto e Cersei. Di conseguenza, le dinamiche si rivelano ben presto alquanto prevedibili: i personaggi onorevoli giocano al “gioco dei troni” secondo le regole, mentre gli spregiudicati le ignorano, e ottengono effimeri successi.
Gli unici a sapersi destreggiare sono coloro che, come Tyrion, posseggono una solida bussola morale ma non si lasciano limitare dalle regole, e utilizzano l’astuzia per ottenere ciò che desiderano. A prescindere dalle loro origini geografiche, però, tutti pensano sempre allo stesso modo e “giocano allo stesso gioco”. Pertanto, per ravvivare le sorti della storia devono via via entrare in gioco nuove figure e fazioni.
Da parte sua, Shogun batte il Trono di Spade proprio sul suo terreno privilegiato: anziché utilizzare sempre il medesimo sistema di valori, la miniserie Disney fa incontrare visioni del mondo del tutto differenti e inconciliabili, giocando sullo scontro tra culture, obiettivi e mentalità del tutto diverse. Benché nobili d’animo, ad esempio, Blackthorne e Toranaga hanno concetti di “onore” quasi contrapposti, e persino villain quali Ishido e Ochiba seguono regole e codici morali assai più sofisticati del semplice utilitarismo. Anche Yabushige, che più di chiunque altro parrebbe un doppiogiochista “alla Game of Thrones”, cela una profondità insospettabile, come scopriamo fin dal primo episodio. Sul fronte della tridimensionalità e della complessità morale, insomma, Shogun è un autentico “Trono di Spade 2.0”!
Un racconto più solido
Passiamo, invece, al punto debole de Il Trono di Spade: la coerenza narrativa. Come noto, inizialmente la serie getta basi narrative maestose, ma con il passare delle stagioni perde forza fino ad approdare a un finale obiettivamente affrettato e insoddisfacente. A pesare è indubbiamente il passaggio di testimone tra lo scrittore George R. R. Martin – che non ha ancora pubblicato il sesto e il settimo volume della saga – e gli showrunner Benioff e Weiss, incapaci di gestire con la medesima maestria una matassa estremamente densa e complicata.
Ad ogni modo, Shogun beneficia di una coerenza e di una lucidità narrativa che Il Trono di Spade non possiede: proprio perché molto più concisa ed essenziale, la contesa per il predominio sul Giappone che vede protagonisti Toranaga, Ishido, Ochiba, i signori cristiani e i gesuiti portoghesi viene delineata dall’inizio alla fine con una chiara visione di insieme, così come la storia di Blackthorne e Mariko.
Ogni episodio, ogni sequenza e ogni personaggio secondario ha un ruolo ben definito, senza sfociare in rivoli narrativi che non conducono da nessuna parte.
È indubbio che la coesione di Shogun sia figlia di una scala architettonica meno articolata e ambiziosa di quella di Game of Thrones, ma come si è detto nel paragrafo precedente è anche vero che la saga di Westeros sembra avere costante necessità di rilanciare con nuovi personaggi e nuove fazioni proprio per arricchire uno status quo altrimenti tutto sommato alquanto semplicistico. Gettare nella mischia decine e decine di personaggi, culture e fazioni non è necessariamente un pregio, se non si ha fin da subito un’idea chiara di cosa farsene nel corso della serie.
Un adattamento più consapevole
Paradossalmente, possiamo affermare che Shogun è una serie di qualità superiore rispetto a Il Trono di Spade proprio perché non propone un adattamento fedele della sua fonte letteraria di partenza, ma la reinventa in maniera consapevole e coerente, rigenerandone il messaggio anche alla luce della cultura contemporanea e del medium audiovisivo di oggi. Ce n’eravamo già accorti con Il Signore degli Anelli di Peter Jackson, e ce l’ha ricordato di recente il magistrale adattamento del Dune di Frank Herbert realizzato da Denis Villeneuve, che non di rado riscrive anche radicalmente la sua fonte, pur nel pieno rispetto del suo spirito di fondo (qui un’analisi delle maggiori differenze dal romanzo in Dune: Parte Uno e Dune: Parte Due). È il caso di ammetterlo: la trasposizione letterale dei romanzi in formato cinematografico non funziona quasi mai. Le opere di successo sono quelle che ci propongono, semmai, una reinvenzione ragionata che mantiene intatto il cuore dell’opera di partenza e ne reinventa la forma.
Sotto questo punto di vista, Shogun è un altro ottimo esempio di adattamento maturo e consapevole di un’opera letteraria, ed è proprio questa una delle maggiori chiavi del suo successo. Il Trono di Spade, invece, dopo aver preso le mosse da una trasposizione fin troppo letterale dei romanzi di George R. R. Martin, finisce per perdersi nei rivoli di una narrazione strepitosa sul piano cartaceo, ma troppo spesso confusionaria e difficile da seguire sullo schermo.
Personaggi femminili più convincenti
Non si tratta di adottare un’ottica femminista, o di possedere una particolare sensibilità: la gestione delle donne ne Il Trono di Spade è estremamente problematica, e poggia in maniera quasi esclusiva sul concetto di “explotation“, ossia di sfruttamento del loro corpo. Certo, è legittimo replicare che l’obiettivo degli autori era proprio quello di riflettere le dinamiche del medioevo occidentale, delineando un mondo cupo e oscuro in cui l’ingiustizia sociale e di genere è all’ordine del giorno.Del resto, siamo ben consapevoli che le donne delle case da tè giapponesi godessero di uno status assai più elevato di quello delle prostitute occidentali, ed è pertanto ragionevole che le due serie le trattino in maniera radicalmente diversa.
Ma non è questo il punto. Anche se si sorvola sulla gratuità delle scene di sesso o sulla talora discutibile sensibilità degli autori della serie HBO, spicca comunque una gestione molto archetipale e stereotipata dei personaggi femminili, che anche laddove ottengono il potere sono mosse da istinto e impulsività al limite della caricatura. Senza neppure addentrarci nella cattiva gestione dell’arco tragico del personaggio di Daenerys nelle ultime stagioni della serie, la regina dei Draghi risulta comunque un personaggio assai più prevedibile e stereotipato di lady Mariko, lady Ochiba e lady Kiri in Shogun.
Lasciamo per un attimo le implicazioni socio-politiche fuori dalla porta: anche soltanto rimanendo sul piano dell’approfondimento caratteriale e narrativo, le donne della miniserie Disney risultano molto più umane e convincenti delle loro controparti di Westeros.Per quanto breve, ad esempio, il flashback dedicato alle origini di Mariko e Ochiba è molto più coinvolgente e rilevante della storia pregressa di Cersei Lannister, pure approfondita da Il Trono di Spade.
Per dirla in breve, le donne di Shogun sono veri esseri umani, e non semplici stereotipi stilizzati.