La serie: Barbari – Stagione 2, del 2022. Creata da: Arne Nolting, Jan Martin Scharf, Andreas Heckmann. Cast Jeanne Goursaud, David Schütter e Laurence Rupp. Genere: Storico, drammatico. Durata: 45 minuti ca./6 episodi. Dove l’abbiamo visto: Su Netflix, in anteprima stampa .
Trama: È il 10 dopo Cristo. A un anno dalla battaglia di Teutoburgo, le legioni romane attraversano il Reno e tornano in Germania, determinate a vendicare la sconfitta di Varus. Questa volta, tuttavia, a guidarle ci sono il comandante Tiberio e il suo figlio adottivo Germanicus. Di fronte alla nuova minaccia, Ari e Thusnelda tentano di unificare le tribù contro l’invasione, ma dovranno fare i conti con il potente Marbod, re dei Marcomanni, e con quanti desiderano sottomettersi agli oppressori. Intanto il fratello di Ari, Flavus, è rimasto fedele all’impero, e brama un’occasione per dimostrare la sua lealtà ai nuovi ufficiali romani.
A due anni esatti dal convincente successo della prima stagione, su Netflix torna Barbari – Barbaren, una produzione tedesca che racconta il conflitto tra Roma e le tribù germaniche al tempo dell’imperatore Augusto.
La vicenda storica è quella di Arminio, comandante romano di origini barbare che, di fronte all’invasione della sua terra natale, scelse di schierarsi con il suo popolo e tradire l’impero, provocando la clamorosa sconfitta delle legioni romane nella foresta di Teutoburgo e la morte del suo padre adottivo Publio Quintilio Varo.
Nella nuova stagione, Arminio e sua moglie Thusnelda si trovano costretti a fare i conti con le conseguenze della loro ribellione e con l’imminente vendetta di Roma, oltre che con le mille divisioni in seno alle tribù germaniche, ancora impreparate a far fronte comune contro l’impero.
Fatte le dovute proporzioni, una sfida altrettanto ambiziosa attendeva anche i produttori del telefilm: se la prima stagione aveva conquistato il favore della critica e del pubblico puntando i riflettori sull’evento più conosciuto di quell’epoca – ossia la battaglia di Teutoburgo – al secondo ciclo di episodi spettava l’ambizioso compito di traghettare la serie in un universo più vasto. A fronte di un primo arco narrativo che avrebbe ben potuto limitarsi a una miniserie autoconclusiva, il capitolo successivo era insomma chiamato a giustificare la propria esistenza sancendo un autentico punto di svolta, così da ampliare e approfondire la portata del racconto. L’obiettivo era tenere fede all’implicita promessa contenuta nel titolo stesso della serie, quel “Barbari” che, con l’uso del plurale, sembrava richiamare altre grandi storie corali della tv, come Vikings, I Borgia e I Tudor.
Del resto, come ben sanno gli appassionati di storia, la materia a disposizione non mancava affatto, dal momento che la storia di Arminio e della guerra tra Roma e le tribù germaniche prosegue ben oltre i fatti di Teutoburgo.
Ma Netflix sarà riuscita a emergere vittoriosa delle selvagge foreste situate al di là del Reno? Scopriamolo nella nostra recensione di Barbari 2.
La trama: il ritorno di Roma, le tribù divise e tanta confusione
È passato un anno dalla grande vittoria di Arminio sui romani, e l’impero è pronto a esigere la sua vendetta. Le legioni guidate dal comandante Tiberio e da suo figlio adottivo Germanicus, erede al trono imperiale di Augusto, si accampano nella foresta oltre il fiume Reno e attendono l’arrivo di altri rinforzi. Ari e Thusnelda, di fronte all’avvistamento degli invasori, pianificano un assalto preventivo e cercano di riunire le tribù germaniche con la suprema riunione del Thing.
Dopo la battaglia dell’anno precedente, ai Cherusci di Arminio sono rimasti appena 8.000 uomini, e oltre all’alleanza delle tribù minori servono anche i 70.000 soldati dell’esercito dei vicini Marcomanni, rimasti neutrali fino a quel momento. Alla loro testa c’è l’enigmatico reik Marbod, che tuttavia non pare affatto intenzionato ad aiutare i protagonisti, e sembra anzi tramare qualcosa nell’ombra con gli invasori romani.
Nel frattempo, nell’accampamento romano fa la sua comparsa Flavus, fratello di Arminio rimasto fedele ai romani, ma profondamente disprezzato da Germanicus e dagli altri soldati. Con lui c’è anche Gaius, un ragazzo inesperto e taciturno, destinato a incrociare la strada dei protagonisti, e a cambiare drasticamente le loro vite. Flavus brama di riacquistare l’onore perduto, e promette a Tiberio di consegnargli il traditore Arminio: a spingerlo è la disperazione, e la sua è solo la prima di una serie di iniziative disperate che lo porteranno ad anticipare lo scoppio di una nuova guerra tra Roma e i Germani.
Tra le tribù, tuttavia, continua a crescere il malcontento per l’ipotesi di un conflitto senza fine, e sono in molti a sostenere la proposta di Marbod, che suggerisce di stringere una pace duratura con l’impero. Anche lui, come Ari, ha trascorso l’infanzia a Roma, e cela più di un segreto alla vista di tutti coloro che lo circondano, inclusa la sua stessa moglie Oderike. Le cose, però, sono destinate a mutare drasticamente, e il precipitare degli eventi porterà Ari e Thusnelda a incrociare ancora una volta la strada con il loro vecchio amico Folkwin, che deciderà di stringere un inquietante patto con gli dèi per proteggere suo figlio Tumelico…
Nel corso dei sei episodi della nuova stagione, insomma, accade letteralmente di tutto, e probabilmente anche troppo. Il racconto ci propone una successione di continui colpi di scena, in una girandola di vecchi e nuovi personaggi tenuta insieme da un intricato tessuto di dinamiche narrative – amori segreti, rivelazioni, vendette, cambiamenti di fazione, maturazioni individuali e tanto altro ancora – che, a conti fatti, finiscono per scontrarsi ingloriosamente con un minutaggio troppo breve e una sceneggiatura decisamente non all’altezza.
Le buone idee non mancano, ma il loro numero è eccessivo rispetto ai tempi della narrazione, e la scrittura complessiva della serie non consente agli interpreti di trasporle sullo schermo in maniera fluida e naturale: i personaggi cambiano propositi e alleanze di continuo, e le loro motivazioni, anche quando a rigore dovrebbero essere valide e comprensibili, sembrano sempre appena abbozzate, alimentando una gran confusione nello spettatore.
La fretta degli sceneggiatori, peraltro, risulta del tutto incomprensibile, dal momento che la stagione non ha il compito di concludere la serie e risolvere anticipatamente tutte le linee narrative, bensì quello di spalancare le porte al ritorno di un potenziale terzo ciclo di episodi, alla quale, a rigore, potrebbe seguirne almeno un altro ancora. Perché non limitarsi ad approfondire a dovere alcune storyline e rinviare le altre alle prossime stagioni? Una scelta del tutto inspiegabile, che sembra volere per forza far convergere ogni cosa in una grande resa dei conti, senza che, peraltro, questa effettivamente si verifichi.
Il cast, tra luci e ombre
I personaggi della seconda stagione di Barbari – Barbaren, lo si è detto, sono decisamente troppi, e ciò non consente agli interpreti di sviluppare adeguatamente il loro background e le loro motivazioni.
Da questo punto di vista, partono inevitabilmente avvantaggiati i protagonisti della prima stagione, ossia Ari (Laurence Rupp), Thusnelda (Jeanne Goursaud) e Folkwin (David Schütter), che in quell’occasione avevano ricevuto ben altro trattamento narrativo, e si erano affermati come personaggi convincenti e profondamente umani.
Anche se del tutto privi di un arco narrativo adeguato, Rupp e compagni fanno un buon lavoro nel salvaguardare la credibilità dei loro personaggi e nel sostenere, per quanto possibile, le sorti della narrazione facendo leva sulla familiarità già costruita nei confronti dello spettatore. La seconda stagione, tuttavia, sembra avere molto poco da aggiungere all’evoluzione dei protagonisti, che finiscono inevitabilmente per appiattirsi su se stessi.
Più tempo, fortunatamente, viene dedicato all’unica figura davvero interessante della nuova stagione, ossia l’ambiguo Marbod, re dei Marcomanni, interpretato da Robert Maaser: anche lui, come Ari, è un “figlio dei due mondi”, nato in Germania, cresciuto a Roma e tornato oltre il Reno per guidare il proprio popolo, ma la sua attitudine e le sue convinzioni sono diametralmente opposte a quelle del protagonista. Sulle prime, Marbod è un fautore dell’accordo con i romani a ogni costo, ma con il procedere delle puntate emergeranno molti segreti e alcuni lati inattesi del personaggio, che dovrà mettere a dura prova le sue convinzioni.
Molto meno tempo a disposizione ha invece l’attore siciliano Giovanni Carta, interprete di Tiberio, che passerà agli annali come il secondo imperatore di Roma: tuttavia, nonostante i problemi narrativi e la generale tendenza della serie a enfatizzare la crudeltà fine a se stessa dei Romani, Carta fa un lavoro davvero eccellente nel rendere memorabile l’antagonista della stagione, che brilla per astuzia e per capacità politiche, facendo breccia con carisma e perfidia nell’universo della serie tv e lasciando un segno indelebile nel racconto.
Oltre alla delusione per il trattamento degli altri personaggi secondari, che, per mancanza di tempo, risultano inevitabilmente poco approfonditi a dispetto della loro grande importanza narrativa (è il caso di Flavus, di Gaius, della cartaginese Didone e degli altri leader germanici), segnaliamo come purtroppo la sorte peggiore sia toccata proprio al personaggio più atteso della nuova stagione: Caio Giulio Cesare Germanico. A dispetto di qualsiasi pronostico, la vera nemesi storica di Arminio, il comandante romano che affronterà le tribù germaniche nella grande battaglia finale di Idistaviso viene rappresentato in maniera incredibilmente scialba e poco convincente.
Germanicus, la delusione più cocente
Intendiamoci: nessuno si aspettava che il Germanicus televisivo incarnasse quel fulgido esempio di virtù delineato da Tacito nei suoi Annales e dal resto della letteratura latina, dal momento che la serie tv ha legittimamente scelto, fin dalla sua prima puntata, di raccontare i fatti dal punto di vista dei “barbari”, e di rappresentare i Romani come oppressori crudeli, sadici e sanguinari.
Quel che non convince, e lascia sbigottito qualsiasi amante della storia, è semmai il piatto grigiore che caratterizza la figura di Germanicus. La volontà dei registi e del suo interprete, Alessandro Fella, era probabilmente quella di mettere in scena un giovane ribelle, impetuoso e arrogante, incapace di adeguarsi alle astute strategie del suo padre adottivo Tiberio e sempre pronto a uno scontro sanguinario contro le tribù germaniche. Il problema, tuttavia, è che Germanicus non fa nulla di tutto ciò.
Il giovane prefetto si limita a dire e ripetere queste cose, peraltro svogliatamente e con poca convinzione, senza mai tradurle in un’iniziativa concreta. Nella prima scena in cui lo vediamo, il giovane erede al trono imperiale zittisce un soldato che si sta lamentando delle tattiche eccessivamente caute e attendiste di Tiberio, senza però condannarlo per la sua insubordinazione. È piuttosto evidente che Germanico non approvi la strategia del padre adottivo, ma nel corso delle sei puntate il prefetto si limita a battibeccare con Tiberio senza mai scontrarsi con lui o passare all’azione, salvo una sola circostanza, nella quale, peraltro, viene spinto a fare la propria mossa da Flavus. Non ci viene mai rappresentata la sua crudeltà, la sua furia omicida o la sua volontà di ribellione, e anche la resa dei conti con la donna che lo accusa di aver ucciso suo padre, Didone, risulta un episodio piatto e privo di emozioni, che si risolve in un clamoroso nulla di fatto.
Fin dai giorni dell’annuncio della seconda stagione , sono stati in molti a discutere sulla possibilità di vedere Germanicus sul piccolo schermo, e a interrogarsi sulla rappresentazione che sarebbe stata adottata dagli autori della serie. La critica italiana più nazionalista si aspettava un Superman con l’elmo e la lorica, mentre i più realisti erano pronti a un Joffrey Baratheon. Forse non sarebbe stato così male neppure un antagonista in chiaroscuro, con un giusto mix di fascino, grandezza e malvagità, come il Marco Licinio Crasso (Simon Merrels) e il Giulio Cesare (Todd Lasance) visti nella serie Spartacus (2010-2013).
Barbari – Barbaren, invece, non fa nulla di tutto ciò, e ci consegna un personaggio informe, trascurabile e completamente privo di identità, destinato a precipitare subito nel personale dimenticatoio di chiunque non conosca i fatti storici successivi.
Al termine della visione, viene seriamente da chiedersi quale miracolo potrà mai trasformarlo, in un potenziale terzo ciclo di episodi, nel grande nemico della serie, quel temibile “big bad” destinato a scontrarsi fatalmente con Arminio e Thusnelda, nonché a rubare la scena allo stesso Tiberio, innescando una spirale di complotti e rivalità nei ranghi imperiali.
Una regia incerta e poco efficace
Purtroppo anche la regia della seconda stagione risente dell’improvvisa accelerazione narrativa voluta dai produttori della serie, e il risultato risulta incredibilmente confuso e poco comprensibile. Le riprese rimangono emozionanti e suggestive nelle poche occasioni in cui descrivono il paesaggio incontaminato della Germania del primo secolo, o quando catturano dall’alto la meticolosa organizzazione dell’accampamento romano (si pensi a quella che apre l’ultimo episodio), ma risultano davvero inefficaci e persino poco chiare durante il resto della stagione. Alcune scelte registiche sembrano persino creare dei vuoti logici laddove, verosimilmente, non ce ne sono: a un certo punto, i romani tendono un agguato alle tribù germaniche in campo aperto approfittando del favore della notte, della conformazione del territorio e dell’effetto sorpresa, ma le riprese sembrano quasi suggerirci che i legionari fossero posizionati lì in bella vista da qualche tempo.
In seguito, uno dei personaggi principali viene addirittura pugnalato a morte dalla mano di un soldato romano caduto al suolo, che emerge di sbieco dall’esterno dell’inquadratura rendendo l’intera sequenza confusa e poco efficace. Si tratta di scelte registiche deboli e incerte, che non riescono a riscattare con l’immagine la debolezza del racconto, e anzi spogliano la narrazione di quella fondamentale componente visiva che gioca un ruolo centrale nel genere storico e che aveva contraddistinto la prima stagione.
Una fantasiosa e irragionevole deviazione dai libri di storia
Un altro importante rammarico sta nella scelta, del tutto opinabile, di deviare drasticamente dai fatti storici, che pure offrivano ottimi spunti per proseguire la narrazione dei fatti dopo la battaglia di Teutoburgo. La seconda stagione di Barbari – Barbaren sceglie di prendere tempo – i maligni direbbero “di allungare il brodo”, ma si tratterebbe di una sentenza ingiusta – e di concentrarsi sui fatti dell’anno immediatamente successivo, anziché balzare avanti di oltre un quinquennio e introdurre la vera resa dei conti con Roma. Una scelta di per sé condivisibile e prudente, orientata alla costruzione graduale della vicenda, che rinvia al finale della terza stagione, o forse anche oltre, la resa dei conti tra le tribù germaniche e le legioni imperiali di Germanico sul campo di battaglia di Idistaviso nel 16 dopo Cristo.
Le premesse iniziali sono buone: le legioni romane di Tiberio temporeggiano in attesa di rinforzi, e l’attenzione si concentra sulle divisioni interne al mondo dei Germani. Vengono introdotti il reik Marbod e il popolo dei Marcomanni, che avranno un ruolo decisivo nel prosieguo della vicenda, con strascichi e ostilità che proseguiranno anche dopo la grande battaglia del 16. Di punto in bianco, però, gli showrunner scelgono di premere bruscamente sull’acceleratore senza effettuare alcun salto temporale, e decidono di spettacolarizzare a tutti i costi le vicende storiche di un anno interlocutorio della guerra, facendo convergere tutte le storyline verso una battaglia completamente inventata, caratterizzata da un esito che, se mai si fosse verificato in quei termini, avrebbe finito per occupare un posto di primo piano in tutti i resoconti dell’epoca.
Più in generale, vien da chiedersi se sia assolutamente necessario concludere ogni stagione di una serie come Barbari – Barbaren con un grande e stereotipato finale, adottando stilemi più confacenti a un cinecomic che a un racconto a sfondo storico. Vikings, Marco Polo, Black Sails e altri telefilm del medesimo genere sembrano confermarci come effettivamente un’altra strada esista, votata alla costruzione di un racconto corale più ampio, graduale e approfondito. Tuttavia, anche nel caso contrario, gli autori avrebbero pur sempre avuto a disposizione la possibilità di effettuare un time jump e mettere in scena la battaglia di Idistaviso, anziché inventare uno scontro mai avvenuto, con il solo scopo di rinviare comunque ogni cosa alla stagione successiva.
Infine, come se quanto si è detto finora non fosse sufficiente, resta pure da capire anche dove possa condurre il sorprendente twist finale, che pare stravolgere ancora di più la cronologia degli eventi…
La recensione in breve
La seconda stagione di Barbari mette in scena un gran numero di fatti, nuovi personaggi e colpi di scena, ma finisce per proporre una narrazione frammentaria, caotica e per nulla ispirata che tradisce le proprie premesse e dimentica per strada il libro di storia.
- Voto CinemaSerieTV