La serie: Django – la serie, 2022. Regia: Francesca Comencini. Cast: Matthias Schoenaerts, Noomi Rapace, Nicholas Pinnock, Lisa Vicari. Genere: Western. Durata: 60 minuti ca./10 episodi. Dove l’abbiamo visto: Alla Festa del Cinema di Roma 2022.
Trama: Nel Texas del 1972 la libera comunità di New Babylon, fondata da ex-schiavi, prostitute e reietti, guidata dall’ex-schiavo John Ellis si contrappone alla cittadina timorata di Dio Elmdale, guidata dalla fanatica Elizabeth. In questo contesto si inserisce il pistolero Django in cerca della figlia perduta.
Il primissimo piano degli occhi spauriti di una bambina che guardano inorriditi il massacro della sua famiglia costituisce il potente incipit del primo episodio della serie, prodotta da Sky e Canal+, supervisionata e diretta in parte (i primi 4 episodi) da Francesca Comencini, che si ispira al celebre cult di Sergio Corbucci del 1966 con Franco Nero nell’iconico ruolo del pistolero con bara e mitragliatrice al seguito. Immaginiamo che quegli occhi di bambina siano gli stessi con cui la giovane Comencini guardava i western di rottura degli anni ’60 ’70, sia quelli italiani di Leone, Corbucci e Tessari, sia quelli crepuscolari di Peckinpah, in particolare Il mucchio selvaggio, titolo che la regista ha chiamato maggiormente in causa come ispirazione per il progetto.
Vedremo dunque, nel corso di questa nostra recensione di Django – la serie, in che modo questo nuovo prodotto seriale, scritto da Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2022, dialoghi con un immaginario di riferimento molto potente e cosa introduce di nuovo in esso.
La trama: comunità libere contro il fanatismo
Prima di proseguire va detto che, per ora, abbiamo potuto visionare soltanto i primi due episodi di una serie che si sviluppa in ben 10 corpose puntate, di un’oretta ciascuna. È inevitabile dunque che le valutazioni che possiamo dare siano necessariamente parziali, avendo visto solo un quinto del prodotto completo. Si parlava degli occhi della piccola Sarah, che ritroviamo adulta e combattiva nella comunità di New Babylon. Questa è una delle novità della serie, e cioè l’importanza dei ruoli femminili, in linea con la sensibilità moderna. L’indomita Sarah e la timorata di Dio Elizabeth sono i due poli femminili attorno cui si coagulano le due comunità, sebbene Babylon sia retta formalmente da John Ellis, e siamo sicuri che, nel corso della serie, le due donne si fronteggeranno in modo sempre più diretto.
L’altro tema introdotto in modalità inedita è quello del razzismo che, se ai tempi del cult di Corbucci si esplicava nei confronti dei messicani, oggi, in linea anche con l’exploitation tarantiniana dello stesso titolo, si concentra sulla schiavitù appena abolita e dunque sulle condizioni degli afroamericani. Infine la contrapposizione tra la libertà di pensiero, e di comportamenti, di New Babylon e il fanatismo di Elmdale richiama in qualche modo la graffiante ironia di Peckinpah, che ne Il mucchio selvaggio prendeva bellamente in giro la bigotta Lega della Temperanza.
Un’operazione commerciale non limpida
Ma in che modo tali tematiche si inseriscono nell’immaginario di riferimento che viene chiamato in causa dall’ingombrante titolo di Django? In modo goffo e forzato, nel momento in cui Django viene relegato a comprimario e il racconto diventa corale, con i vari personaggi di cui, pian piano, vengono esplorati i vissuti, tramite gli immancabili flashback che arricchiscono, ma diluiscono anche, le moderne narrazioni seriali. Lì dove il film di Corbucci era conciso e diretto (all’opposto dei tempi leoniani, e questo ne faceva una declinazione interessante dello spaghetti-western), qui invece la narrazione si frammenta in innumerevoli rivoli che distolgono dal centro della trama.
Si potrebbe obiettare che in una serie tutto questo è normale, ma avremmo gradito allora un prodotto totalmente originale, come la bella serie Netflix Godless, in cui pure si introduceva il tema del ruolo femminile nel western, ma non si sfruttava il nome di un cult, in questo caso Django, portatore di un immaginario ben preciso di riferimento, per contrabbandare un prodotto che è tutt’altra cosa e che avrebbe potuto essere valido come opera autonoma. Invece l’operazione di Sky sembra improntata proprio a sfruttare solo commercialmente e superficialmente la saga inaugurata da Corbucci, dando giusto qualche piccolo contentino a chi amava l’originale, come per esempio il recupero dell’iconica bara, qui utilizzata solo come deposito delle armi sequestrate a chi entra a New Babylon. Più che un omaggio sembra uno schiaffo in faccia a Corbucci.
Standard rispettati
Al netto di tutto questo la serie segue gli standard delle produzioni Sky degli ultimi anni, con un livello produttivo piuttosto alto e un look – con fotografia desaturata, regia dinamica e montaggio serrato – che ricalca i prodotti precedenti, con la differenza che qui la messa in scena si apre, di tanto in tanto, a spettacolari cavalcate al tramonto e all’alba, riprese in campo lungo sottolineate da movimenti di macchina a volo d’uccello.
Come accennavamo, anche l’utilizzo del flashback è tipico della serialità attuale, con il progressivo disvelamento di segreti e relazioni tra personaggi che, nei primi due episodi, viene soltanto sfiorato. Il cast è valido, a cominciare dalla giovane Vicari che rivaleggia per carisma con la navigata Rapace. Ciò che rimane in ombra, almeno per ora, è paradossalmente Django, interpretato da un Matthias Schoenaerts che, nella sua laconicità, non riesce a bucare lo schermo come faceva all’epoca Franco Nero con altrettante poche battute.
Passaggi narrativi critici
Alcuni passaggi della trama non reggono, come per esempio nel momento in cui i figli di Ellis, che fino al giorno prima avrebbero impiccato Django, lo liberano e gli forniscono anche un’arma per salvare Ellis e Sarah che si sono ficcati in un pasticcio, senza il timore che lo sconosciuto pistolero, svelto di mano, li ammazzi in un soffio. Ricollegandoci al pasticcio di cui sopra, stupisce inoltre la totale di ingenuità di Ellis e Sarah che, consci dell’odio che la comunità di Elmdale nutre nei loro confronti, entrano mano nella mano nel paese della fanatica Elizabeth come se nulla fosse, e si recano in banca a proporre un affare al gestore dell’istituto, chiaramente colluso con la stessa Elizabeth. E infatti scatta subito la trappola.
Queste e altre svolte narrative non convincono affatto, facendo perdere credibilità all’insieme. Infine una scena come quella in cui Elizabeth si masturba nottetempo pensando a Ellis e poi si punisce immergendosi in una tinozza d’acque fredda è decisamente greve.
Un prodotto comunque godibile
Ci rendiamo conto però che, mancando ancora 8 episodi, la serie potrebbe prendere pieghe inaspettate e tutto potrebbe ribaltarsi, ma le modalità di racconto stabilite nei primi due episodi sono quelle e sulla bontà dell’operazione in origine rimaniamo decisamente freddi. Rimane comunque uno spettacolo godibile che, siamo sicuri, non mancherà di avvincere chi lo seguirà in tutto il suo sviluppo. Ci chiediamo però anche se la diluizione del racconto in ben 10 episodi sarà giustificata o meno.
La recensione in breve
Django - la serie, show voluto da Sky, sfrutta il nome del cult di Sergio Corbucci per contrabbandare un prodotto che poco c’entra con l’originale e che segue pedissequamente i canoni della serialità attuale. Il cast femminile è molto valido e la serie avvincerà certamente gli spettatori abituati alle serie odierne, ma alcuni passaggi narrativi minano la credibilità complessiva.
- Voto CinemaSerieTV