La serie: E poi il silenzio. Il disastro di Rigopiano, 2024. Creata da: Pablo Trincia. Genere: Documentario, Cronaca, Drammatico. Durata: Circa 45 minuti a episodio/5 episodi. b>Dove l’abbiamo visto: Sky TG24, Sky Documentaries e NOW.
Trama: La docuserie ripercorre la tragedia del 2017 in cui una valanga travolse l’Hotel Rigopiano, analizzando i giorni prima e dopo l’evento. Attraverso testimonianze inedite e una rigorosa indagine giornalistica, esplora le responsabilità umane, le inefficienze istituzionali e il dramma delle vittime e dei sopravvissuti.
A chi è consigliato? A chi cerca una docuserie intensa ed emozionante, capace di approfondire temi di cronaca con rispetto e rigore, e a chi ha apprezzato opere come Veleno e Dove nessuno guarda. A chi ha ascolta il podcast omonimo realizzato sempre da Trincia.
È finalmente arrivata la docuserie E poi il silenzio. Il disastro di Rigopiano, firmata da Pablo Trincia e disponibile su Sky TG24, Sky Documentaries e NOW, perfetta controparte del podcast omonimo realizzato dall’autore. La serie di Trincia è un ottimo esempio di come il linguaggio audiovisivo possa raccontare il dolore, la resilienza e le ingiustizie senza mai cadere nel sensazionalismo. Al centro dell’opera vi è infatti uno dei capitoli più strazianti della recente cronaca nera italiana: la valanga che il 18 gennaio 2017 ha travolto l’Hotel Rigopiano, uccidendo 29 persone.
Articolata in cinque episodi, la serie non si limita a ricostruire i fatti ma esplora le sfaccettature umane e sociali di una tragedia che avrebbe potuto senza alcun dubbio essere evitata. Pablo Trincia, giornalista già noto per lavori come Veleno e Dove nessuno guarda (anche in questi casi sia podcast che docuserie), utilizza la sua profonda sensibilità narrativa per affrontare una storia dolorosa con il rispetto e la cura che merita. Il risultato è un’opera intensa, capace di toccare corde profonde e di stimolare importanti riflessioni nello spetta.
Un racconto che cattura sin dal primo episodio
La narrazione prende il via con Sembrava l’Alaska, un episodio introduttivo che trasporta lo spettatore nell’Abruzzo del gennaio 2017, paralizzato da un’ondata di maltempo senza precedenti. L’Hotel Rigopiano, situato ai piedi del Gran Sasso, diventa un simbolo di isolamento e impotenza: un luogo che, da rifugio di lusso, si trasforma in una prigione per ospiti e staff, tagliato fuori dal mondo a causa delle nevicate straordinarie. Ma il maltempo non è l’unico elemento a complicare la situazione: diverse scosse di terremoto getteranno nel panico chi si trova all’interno della struttura, che non sa come mettersi in salvo. La terra che trema è però solo il preludio di un incubo ancora maggiore: una valanga che travolgerà in pieno l’albergo.
Trincia costruisce una narrazione che non si limita alla cronaca degli eventi: attraverso testimonianze dirette, immagini d’archivio e ricostruzioni dettagliate, il pubblico è catapultato nel cuore di quel drammatico concatenarsi di eventi. I racconti dei sopravvissuti e dei soccorritori si intrecciano, dipingendo un quadro fatto di paure, scelte difficili e speranze che si infrangono. Ma soprattutto di momenti che sarebbero potuti andare diversamente: se solo quella turbina in avaria fosse stata aggiustata prima, se solo quelle chiamate ai soccorsi fossero state prese seriamente, se solo quelle strade innevate fossero state chiuse prima. La forza delle voci dei testimoni è tale che, anche senza sensazionalismi, l’impatto emotivo del loro racconto risulta davvero straordinario.
Oltre la tragedia naturale: un’indagine sulle responsabilità umane
Se il maltempo e la valanga rappresentano gli elementi ineluttabili della natura, E poi il silenzio spinge lo spettatore a interrogarsi su quanto di umano ci sia dietro questa tragedia. Nel secondo episodio, Un silenzio assordante, emerge infatti con chiarezza il ruolo cruciale delle inefficienze istituzionali e dei ritardi nei soccorsi; le segnalazioni di pericolo, arrivate prima del disastro, che sono state come dicevamo sottovalutate; le risposte, tardive e soprattutto disorganizzate, che hanno aggravato la situazione.
Il terzo episodio, I vincitori del festival, pone poi il focus sul lavoro dei soccorritori, eroi spesso invisibili che hanno affrontato condizioni climatiche estreme e una macchina organizzativa non all’altezza. L’angoscia di chi ha scavato tra le macerie, la difficoltà di coordinare le operazioni di salvataggio, e il peso emotivo di dover comunicare notizie strazianti ai familiari. Questi uomini e donne diventano testimoni di un sistema che avrebbe potuto – e dovuto – fare di più.
L’ultimo episodio, I mostri nel cassetto, è forse il più doloroso ma anche il più necessario. Qui, Trincia esplora il lato più oscuro della tragedia: le responsabilità politiche e amministrative. Attraverso documenti e testimonianze, la serie analizza le scelte sbagliate e le mancanze che hanno contribuito a trasformare un’emergenza assolutamente gestibile in una vera e propria catastrofe.
Una narrazione rispettosa e immersiva
Uno degli aspetti più impressionanti di E poi il silenzio è l’equilibrio tra il coinvolgimento emotivo e il rigore giornalistico della narrazione. Le immagini d’archivio e i materiali inediti, uniti a una colonna sonora discreta ma evocativa, costruiscono un’esperienza immersiva che trasporta lo spettatore dentro l’Hotel Rigopiano e tra le macerie lasciate dalla valanga.
La scelta di evitare qualsiasi forma di retorica o sensazionalismo si rivela vincente. Ogni scena, ogni intervista, ogni dettaglio visivo è pensato per rispettare la memoria delle vittime e il dolore dei loro familiari. La narrazione non cerca di “accusare” per forza ma si interroga, cerca risposte, dà voce a chi non ce l’ha più. Questo approccio fa sì che la serie non sia solo un racconto ma anche un atto di memoria e di necessaria giustizia.
Pablo Trincia, con il suo lavoro di inchiesta e narrazione, riesce a trasformare una tragedia in una lezione di umanità e consapevolezza. La serie non si limita a raccontare cosa è accaduto ma pone interrogativi fondamentali: cosa possiamo fare per evitare che simili disastri si ripetano? Quali responsabilità siamo disposti ad accettare come società? Il racconto giudiziario, ancora in corso, si intreccia con le storie personali, creando un mosaico di dolore, resilienza e ricerca di verità. Alla fine, ciò che rimane è un’opera che commuove, educa e invita a non dimenticare.
La docuserie E poi il silenzio. Il disastro di Rigopiano si distingue per la capacità di affrontare una tragedia complessa con sensibilità narrativa e rigore giornalistico. Attraverso cinque episodi, offre un racconto che bilancia l’impatto emotivo con l’analisi critica delle responsabilità umane. La serie non si limita a ricostruire i fatti, ma esplora le inefficienze istituzionali e il contesto sociale, spingendo lo spettatore a interrogarsi sul rapporto tra natura e negligenza umana. Con un linguaggio visivo rispettoso e coinvolgente, evita sensazionalismi e privilegia una narrazione empatica e documentata.
Pro
- Un’indagine approfondita che analizza cause e responsabilità del disastro, andando oltre la cronaca
- Il lavoro di Pablo Trincia valorizza le testimonianze senza retorica, rispettando la memoria delle vittime
- L’uso di immagini d’archivio e materiali inediti rende la visione immersiva e toccante
- La serie stimola una riflessione sulle inefficienze istituzionali e sul rapporto tra uomo e natura
- C'è grande rispetto per le vittime e per le persone coinvolte
Contro
- il racconto può risultare molto impattante per lo spettatore, rischiando di essere difficile da affrontare per i più sensibili
- L’attenzione si concentra più sulle responsabilità umane, lasciando in secondo piano gli aspetti geologici e naturali
- Alcuni episodi, focalizzati sull’indagine e sulla ricostruzione, potrebbero apparire meno dinamici per un pubblico abituato a narrazioni più rapide
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