La serie: Fabrizio De André – Principe libero, 2018. Regia: Luca Facchini. Genere: Biografico, musicale, drammatico. Cast: Luca Marinelli, Valentina Bellè, Ennio Fantastichini, Elena Radonicich, Davide Iacopini, Tommaso Ragno, Gianluca Gobbi, Anna Ferruzzo. Durata: 2 episodi da 90 minuti. Dove l’abbiamo visto: Netflix, Rai Play.
Trama: La sera del 27 agosto 1979, l’anonima sequestri rapisce il cantautore Fabrizio De André e la sua compagna, la cantante Dori Ghezzi, presso la tenuta sarda dell’Agnata, nei pressi di Tempio Pausania, dove la coppia di artisti si era da poco stabilita a vivere. Parte da qui il racconto della storia di Faber.
Lo diciamo senza troppa vergogna. Rivedere Luca Marinelli nei panni di Fabrizio De André è una vera gioia per gli occhi. Perché al netto di qualche momento eccessivamente didascalico, la miniserie in due puntate di Luca Facchini, Principe libero, dedicata a Faber, è un ottimo modo per avvicinarsi a quel gigante che è stato De André. Il quale, ne siamo certe, davanti ai nostri aggettivi esagerati avrebbe storto il naso, mandandoci a quel paese, ma tant’è. Nato come film TV in due puntate per Rai 1, dov’è approdato dopo una due giorni speciale al cinema, e successivamente arrivato su diverse piattaforme streaming (ora è su Netflix), Principe libero soffre a volte del difetto della vecchia fiction da prima serata. Dove si ricorre alla semplicità per ricostruire la complessità di una storia densa. A salvarlo (e a dargli una vera ragion d’essere) è però l’interpretazione di Marinelli. E il fascino indubbio di uno dei nostri cantautori più amati. Proviamo a scriverlo nella recensione di Fabrizio De André – Principe libero.
All’ombra dei caruggi
Agosto 1979. Fabrizio De André e la sua compagna Dori Ghezzi vivono felici in una tenuta vicino a Tempio Pausania. Un posto costruito pazientemente dove accolgono amici e familiari. Proprio nella loro casa, una notte, un gruppo di malviventi li rapisce, tenendoli in ostaggio per diversi mesi. Inizia così Principe libero. E da questo momento, arrotola all’indietro il nastro della storia fino agli anni giovanili di De André, secondogenito di una famiglia benestante. Suo padre Giuseppe è un apprezzato professionista, vicesindaco di Genova, severo, ma amorevole sia con Fabrizio che con l’altro figlio Mauro.
È proprio lui a regalare a Bicio la prima chitarra. Anche se non comprende fino in fondo quel ragazzo poco incline alle regole, che ama la poesia, i bordelli nascosti tra i caruggi, il whisky e le sigarette. Fabrizio si avvicina al mondo della musica e delle parole e grazie all’amico Paolo Villaggio compie il primo salto importante, con la pubblicazione delle prime canzoni. Si sposa negli anni ’60 con Enrica Rignon, detta Puny, madre del primo figlio Cristiano. Nel ’72 conosce la cantante Dori Ghezzi con cui inizierà una lunga relazione, culminata nel matrimonio nel 1989.
Storia d’amore e di libertà
La storia, scritta da Giordano Meacci e Francesca Serafini (con la collaborazione del regista Luca Facchini), si dipana dal rapimento del ’79 in Sardegna a ritroso. Vediamo il giovane De André studente talentuoso ma svogliato, interessato alle donne, alla musica e alla poesia, più che ai testi di scuola. Eppure, sempre attratto dagli ultimi, dagli umili, da quelli che l’uomo Gesù è venuto a salvare. De André corre per i carrugi della sua Genova e si riempie gli occhi di vita a cui poi darà parole.
Bellissimo in tal senso il confronto col padre all’indomani dell’esecuzione da parte di Mina de La canzone di Marinella. “Hai ridato dignità a quella ragazza” gli dice il padre, parlando della protagonista del pezzo, una giovane prostituta uccisa da un uomo violento, un re senza corona. Marinella, Bocca di rosa, donne violate, escluse, dileggiate, ma libere. Donne amate da De Andrè che forse in tutta la sua vita di cantautore a loro si è rivolto per raccontare l’amore.
Ho visto Faber volare
Fabrizio De André – Principe libero già dal titolo pone l’accento sulla libertà di Fabrizio De André, l’impossibilità di essere rinchiuso in una gabbia ideologica, filosofica o di qualsiasi altro tipo. Certi esseri umani sono speciali, vedono quello che può essere il mondo e riescono già ad abitare quel luogo. Anche da soli se necessario. O con al proprio fianco un pugno di prediletti.
È un’opera bifronte, tanto didascalica nella prima parte, quanto commovente e tenera nella seconda, che trova il suo centro nel rapimento di De André e Ghezzi in Sardegna. Anche sotto le minacce dei suoi rapitori De André non perde mai la sua umanità, anzi. Non giudica i suoi carnefici né li condanna, ma non per una sorta di Sindrome di Stoccolma, quanto per la sua inconsapevole capacità di leggere nel cuore degli altri. Sempre sommersa da tonnellate di ironia, anche feroce.
L’Hotel Supramonte
Nell’ultimo capitolo della miniserie emerge l’unicità di un artista e di un uomo che davvero non conosceva prigioni. La cui libertà è sostenuta, compresa, amata da una compagna di vita dalla grande identità. Il rapporto con Dori Ghezzi è raccontato in maniera molto delicata ma profonda, senza dichiarazioni solenni, ma con piccoli gesti di infinita dolcezza. L’abbraccio che lei gli dà quando Faber decide di smettere di bere, le risate, i confronti mai recriminatori. Di bello ci sono anche i dialoghi col padre, con gli amici di una vita (Tenco, Nanda Pivano, Paolo Villaggio, un bravissimo Gianluca Gobbi), e come detto la forza dell’amore con Dori Ghezzi.
Questa parte riesce a risollevare una serie che ha faticato, al contrario, a mostrare il processo creativo di De André. Illustrato in maniera un filo piatta, con i blocchi di appunti buttati lì tra bicchieri vuoti e mozziconi. E con le canzoni extra diegetiche a sottolineare in maniera superflua ogni momento della vita dell’artista. Ci ha pensato Luca Marinelli, però, a dissipare ogni dubbio. L’attore intelligentemente, che ha anche cantato alcuni pezzi. non è diventato il clone di De André. La sua recitazione è intensa, senza essere esagerata, tanto a volte da dare quasi l’illusione Faber sia lì, davanti a noi. Ma brava è stata anche Valentina Bellè (Dori Ghezzi) a interpretare una donna innamorata, capace di comprendere il compagno in ogni sua più piccola sfumatura. Principe libero va visto per ripensare a uno dei cantautore italiani più importanti. Poeta e non poeta, perché parole e musica non si potevano scindere in De André. Ciò che resta è la grandezza di Faber, un autore che dovremmo ascoltare sempre. Senza riverenze o religiosità. Solo per amore della bellezza.
La recensione in breve
Fabrizio De André - Principe libero è un biopic bi-fronte con qualche ombra e tante luci, che però ci restituisce tutta la forza e l'ironia di un genio musicale come Fabrizio De André. Con un Luca Marinelli superlativo.
- Voto CinemaSerieTV