La serie: Hot Skull, 2022. Creata da: Mert Baykal. Cast: Osman Sonant, Şevket Çoruh, Hazal Subaşı. Genere: Thriller, Distopico. Durata: 50 minuti circa/8 episodi. Dove l’abbiamo vista: Su Netflix, in anteprima stampa.
Trama: Il mondo è sconvolto da una follia epidemica che si diffonde attraverso il linguaggio e la parola. L’unico a esserne misteriosamente immune è Murat Siyavus, un ex linguista che si è nascosto per un lungo periodo, ma che ora deve lasciare il suo rifugio, inseguito dalle spietate autorità anti epidemia.
Venerdì 2 dicembre sbarca su Netflix la miniserie turca Hot Skull, creata dallo sceneggiatore, regista e showrunner Mert Baykal e tratta da una storia originale capace di parlare con grande potenza all’oggi che stiamo tutti vivendo. Tratteggiando una Turchia invasa da una condizione pandemica in cui un misterioso virus sembra propagarsi tramite il linguaggio, Baykal riflette sulla condizione delle società occidentali di oggi, tra ammiccamenti neanche troppo velati alla crisi sanitaria causata dal Covid e la libertà di parola e di manifestazione nella nazione europea.
Nella nostra recensione di Hot Skull affronteremo proprio questi temi così importanti, analizzando anche quanto la miniserie di Mert Baykal sia il prodotto audiovisivo perfetto per esorcizzare ai giorni nostri l’incubo della pandemia imperante e l’ascesa di governi e amministrazioni totalitarie ed intransigenti nel Vecchio Continente.
La trama: ode ai deliranti
Istanbul, una terribile pandemia è scoppiata in tutto il mondo; nonostante sia ancora incerta l’origine di tale ceppo infettivo, contagia con grandissima facilità l’organo uditivo a causa di un disturbo del linguaggio che colpisce le vittime: se una persona inizia a delirare o a pronunciare frasi sconnesse e senza apparente senso logico, è probabile che sia stata infettata. Per questo motivo chi non vuole farsi contagiare dal virus sonoro indossa cuffie o tappi per le orecchie con estrema frequenza; proprio come fa Murat Siyavus, un ex-linguista che però è ricercato dalla tirannica istituzione dell’IBE perché assolutamente immune alla malattia: che sia nel suo DNA la chiave per scoprire una cura e porre fine alla pandemia globale?
Un incipit di certo parecchio intrigante quello di Hot Skull, una miniserie di produzione turca e distribuita da Netflix che di certo farà molto parlare di sé al suo debutto sulla piattaforma di streaming. Questo perché riesce con originalità e grande senso del racconto dinamico a parlare alla nostra quotidianità rivoluzionata dalla pandemia del Covid. E non solo.
Copritevi bene le orecchie
“Parliamo di meno per vivere più in sicurezza”. Così recita uno degli slogan dell’IBE, istituzione amministrativa e di controllo turca che, dopo lo scoppio del virus uditivo nel paese europeo, ha piegato a sé la condizione di grande instabilità socio-economica ed ha preso letteralmente il controllo delle vite e della regolamentazione societaria della Turchia. Uno slogan che incita a coprirsi bene le orecchie che, a onor del vero, ricorda molto da vicino quello che ha caratterizzato il lungo periodo della quarantena causata dal Covid: “Restiamo a distanza per poterci riabbracciare domani.”
Non è difatti un caso che la miniserie distopica di Mert Baykal parli con estrema facilità e medesima potenza ad un pubblico di spettatori piuttosto trasversale: da una parte l’audience generalista e meno smaliziata, in cerca di un prodotto super-godibile e capace di appassionare grazie alla sua trama in equilibrio tra fantascienza e realtà; dall’altra, un pubblico più sensibile e preparato, capace di cogliere le stratificazioni più profonde dell’ambizione di Hot Skull.
Un passato ingombrante
La chiave per comprendere appieno il prodotto seriale targato Netflix sta nel ritratto del suo complesso ed enigmatico protagonista, il professor Murat Siyavus, interpretato dall’attore turco di grande successo popolare in terra natia Osman Sonant. Perché Murat è braccato così insistentemente dagli organi oppressivi dell’IBE? Per quale motivo il suo organismo sembra essere immune al virus del linguaggio?
Domande che ovviamente riceveranno risposte adeguate nel corso degli otto episodi che costituiscono Hot Skull, ma che sono sufficienti al nostro personaggio per aprire ancora una volta il cassetto dei suoi ingombranti ricordi: ex-collega di Osgur, un neurolingista ritenuto morto da tempo, Murat dovrà proteggere le informazioni preziose che anni prima erano trapelate in laboratorio, quando lui e il suo collega scomparso stavano studiando alcuni casi di deliranti per cercare una cura al virus. Il viaggio interiore che dovrà affrontare Murat lo condurrà letteralmente in luoghi pericolosissimi, in cerca di risposte che forse potrebbero salvare il mondo dalla pandemia.
Hot Skull parla della Turchia odierna?
Ma Hot Skull è una miniserie che, dietro al suo accattivante velo da prodotto distopico, cela una critica più o meno formale all’assetto socio-politico dell’odierna Turchia? A noi verrebbe da dire di sì, divisa com’è tra ambizioni da esorcismo collettivo della paura globale esacerbata dal Covid e aspra polemica all’amministrazione governativa della nazione europea, sempre in precario equilibrio tra (poca) libertà democratica e repressione della legittimità di espressione.
Forse è proprio questo che è Hot Skull, oltre le apparenze da prodotto facilmente vendibile: un originale ed appassionante inno alla comunicazione umana, a partire dalla sua forma più quotidiana a quella utilizzata per veicolare opinioni, esprimere sentimenti, confrontarsi con la diversità umana. Una miniserie che in definitiva tratta il linguaggio come uno dei beni più preziosi da custodire. Costi quel che costi.
La recensione in breve
Hot Skull, miniserie televisiva turca targata Netflix, sorprende per ritmo, inventiva e aderenza alla quotidinanità socio-economica. Il prodotto seriale creato da Mert Baykal parla dell'oggi mettendo in ballo la pandemia globale del Covid-19 senza dimenticare la situazione politico-sociale della Turchia attuale. Il risultato è uno show televisivo appassionante, fresco e stratificato.
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Voto CinemaSerieTV