La serie: House of the Dragon (id.) del 2022. Creata da Ryan J. Condal e George R. R. Martin Cast: Paddy Considine, Emma D’Arcy, Matt Smith, Olivia Cooke, Milly Alcock, Emily Carey, Steve Toussaint, Eve Best, Rhys Ifans.
Genere: fantasy, drammatico Durata 60 minuti/10 episodi. Dove lo abbiamo visto: i primi sei episodi in anteprima stampa, in lingua originale. Dove vederlo: dal 22 agosto in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW in contemporanea assoluta con gli Stati Uniti.
Trama: Viserys Targaryen siede sul trono di spade ma non ha ancora un erede maschio: a contendersi il potere suo fratello Daemon e la figlia Rhaenyra, che vorrebbe essere la prima regina dei Sette Regni. La situazione si fa più complicata quando entrano in gioco nuovi possibili successori e, tra intrighi di palazzo e lotte intestine, la situazione ad Approdo del Re si fa sempre più intricata.
Il Trono di Spade è una tra le serie che, nell’ultimo decennio (il primo episodio andò in onda nel 2011) ha segnato maggiormente l’avvicinamento del pubblico di tutto il mondo alla serialità televisiva di “nuova generazione”, quella dal grande budget, dal grande cast, capace di trasformarsi – alla messa in onda – in vero e proprio evento.
Qualsiasi cosa si dica dell’ottava ed ultima stagione – la cui conclusione ha deluso molti dei fan dello show – la serie ispirata ai romanzi di George R. R. Martin e creata da David Benioff e D. B. Weiss è diventata, negli anni, un vero e proprio fenomeno di culto. Un fenomeno che ha portato milioni di spettatori a sintonizzarsi su HBO (oltreoceano) e su Sky (qui da noi), all’uscita di ogni nuovo episodio, pregando perché il proprio beniamino (che fosse Jon Snow, la regina dei draghi Daenerys Targaryen o colui che “beve e sa cose” Tyrion Lannister) potesse arrivare illeso, ancora una volta, ai titoli di coda.
Proprio per questo, visto il genere di coinvolgimento emotivo che Il Trono di Spade ha scatenato nel pubblico di tutto il mondo, pensare ad un prequel/spin-off della saga originale è già di per sé un’idea particolarmente ambiziosa, capace di tirarsi addosso critiche anche solo per il fatto che “non può essere più la stessa cosa”: poco importa se dietro la creazione dello show c’è sempre George R. R. Martin, se le vicende si basano su quanto da lui narrato in Fuoco e sangue, se alla regia di alcuni episodi (e come showrunner!) troviamo Miguel Sapochnik (che ha diretto un piccolo capolavoro come La battaglia dei bastardi) e se – ci tocca ancora sottolinearlo – i fan si sono accomiatati dall’ultima stagione non proprio nel migliore dei modi, tanto che una sorta di “redenzione” della saga potrebbe sembrare quasi necessaria. Tornare a Westeros dopo così poco tempo (l’ultimo episodio dell’ottava stagione è andato in onda “solo” tre anni anni fa), anche se con una storia ambientata quasi duecento anni prima di quella precedente, a molti è sembrata quasi un’eresia.
Come vedremo nella nostra recensione de House of The Dragon, Ryan J. Condal e lo stesso Martin (creatori di questo nuovo capitolo della storia) fanno a monte una scelta piuttosto intelligente, ossia quella di sottolineare il legame con il passato (anche se dovremmo dire il futuro, visto la collocazione temporale della vicenda), distaccandosene però sia dal punto dello sviluppo narrativo che della costruzione dei personaggi. La sensazione che prova lo spettatore, immergendosi nella visione, è di fare ritorno in un mondo ben conosciuto – di cui riconosce i riferimenti culturali, religiosi, i nomi delle casate più importanti, dei luoghi che erano al centro di altre avventure – ma di trovarsi in un contesto a suo modo completamente inedito, in cui quello che accadrà man mano sullo schermo non potrà che essere una sorpresa. Una scelta a nostro parere molto furba, che fa sì che la serie parta con il piede giusto.
La trama: la successione al trono
Sempre di problemi di successione al Trono si tratta. Ben 172 anni prima della nascita di Daenerys Targaryen, la Casata dei Draghi detiene il potere assoluto sui Sette Regni. Ma un potere di questo genere non è mai al sicuro, soprattutto se il re – in questo caso Viserys Targaryen (Paddy Considine) – non ha ancora avuto eredi maschi a cui passare il peso della corona. I possibili contendenti – per ora – sono due: la figlia adolescente di Viserys e della regina Aemma (Sian Brooke), Rhaenyra (Milly Alcock), e il fratello minore del re, Daemon (Matt Smith), la testa calda della famiglia.
Se questo è lo spunto da cui prende via il primo episodio, la trama si fa progressivamente più intricata: molte delle famiglie più prestigiose di Westeros anelano il potere e la “vicinanza” al trono, tra loro in particolare si distinguono Otto Hightower (Rhys Ifans), Mano del Re e rappresentante di una delle più potenti famiglie del Continente Occidentale, e Lord Corlys Velaryon (Steve Toussaint), a capo della casata dei Velaryon che, come i Targaryen, affonda le sue radici nell’antica Valyria.
Non solo uomini in questi giochi di potere tra casate nobiliari, anche – e soprattutto – le donne svolgono le proprie macchinazioni e cercano di affermarsi in una realtà estremamente patriarcale: abbiamo la già citata Rhaenyra, che ambisce ad essere la prima regina dei Sette Regni; la principessa Rhaenys (Eve Best), anche conosciuta come la “Regina Che Non Fu Mai”, che sarebbe dovuta salire al trono ma le venne preferito Viserys, perché uomo. Infine troviamo la giovane ed ingenua Lady Alicent Hightower (Emily Carey), amica d’infanzia di Rhaenyra e pedina nelle mani di suo padre Otto, che la vede come un mezzo con cui conquistare sempre più potere.
Il legame con Il trono di spade
Come vi accennavamo in apertura, il legame con la “serie madre” è volutamente evidente, fin da subito viene sottolineato che ci troviamo 172 anni prima della nascita di Daenerys e che l’inverno è ancora lungi dall’arrivare (ma qualcuno sa già del pericolo in agguato). Lo spettatore si trova a ritornare in un mondo che gli è familiare, tra i nomi delle casate riconosciamo alcuni di quelli che ci hanno accompagnato per otto stagioni (Baratheon, Stark, Lannister…), il contesto culturale e religioso (la fede nei Sette) è lo stesso e i luoghi che vengono di volta in volta citati li abbiamo già “visitati” in altre occasioni, dalla Barriera a Dorne, dalla Valle fino alle Città libere di Essos.
In House of the Dragon, però, difficilmente abbandoniamo Approdo del Re, tutta la storia è infatti incentrata sulle vicende della famiglia Targaryen (e di chi le è più vicino, come gli Hightower), e non è più frammentata e dislocata come era il marchio di fabbrica de Il Trono di Spade. Questo tipo di narrazione racchiude l’intera storia in una dimensione più raccolta, forse dalle aspirazioni meno epiche, ma comunque capace di catturare lo spettatore in una serie di situazioni complesse ed avvincenti.
La forza dei personaggi femminili: Rhaenyra e Allicent
Una storia che si concentra ad Approdo del Re permette un diverso approfondimento dei personaggi principali che, a differenza di quanto accadeva ne Il Trono di Spade, non è più diluito su più stagioni, su decine e decine di episodi. Nel confronto, però, sentiamo un po’ la mancanza di quei personaggi così carismatici e affascinanti – pensiamo a Tyrion, a Cersei e Jamie, allo stesso Ned Stark – capaci di creare un legame emotivo con lo spettatore e di farsi fin da subito amare o, al contrario, odiare profondamente.
Ciò non vuole dire che in House of the Dragon non ci siano personaggi interessanti. Colpisce infatti particolarmente il cast femminile, che ruota attorno alle figure di Rhaenyra e Alicent, interpretate (da giovani) da Milly Alcock e Emily Carey, e rappresentanti due modelli di donna completamente diversi: da una parte Rhaenyra, che si vuole affermare in un mondo maschile, che vuole eccellere in quelle aree – come la politica – tendenzialmente non destinate al suo genere; dall’altra abbiamo Alicent, che si adatta al modello che è stato tracciato per lei: donna nobile e colta, ma al contempo ingenua ed innocente, un personaggio a metà strada tra Cersei Lannister (per come viene inizialmente manipolata dal proprio padre ed usata come una pedina) e Sansa Stark, per il percorso di crescita e rinnovata consapevolezza che le vediamo pian piano compiere sullo schermo.
Il ruolo delle donne nella società ad ispirazione medioevale creata da Martin è uno degli snodi fondamentali di House of the Dragon: si tratta di tematiche che comunque venivano toccate nella serie precedente (il personaggio di Daenerys era paladino della rivalsa femminile ne Il Trono di Spade), ma in questo caso diventano centrali, fungendo da spunto per le diverse storyline che prendono forma episodio dopo episodio. Può una donna essere regina e non solo consorte? Rhaenyra è pronta a lottare per quello che è il suo diritto di nascita, e dalla sua parte anche la non indifferente potenza di fuoco del suo drago, Syrax.
Colpisce la scelta di cambiare cast dal sesto episodio, dopo un consistente avanzamento temporale, le attrici scelte per il ruolo di Rhaenyra e Alicent cambiano per fare spazio ai volti più maturi di Emma D’Arcy e Olivia Cooke, che nel passaggio di testimone danno vita a due personaggi che hanno perso l’innocenza della gioventù e si sono fatti più cinici, disillusi e calcolatori.
Viserys e Daemon
Per quanto riguarda i personaggi maschili è particolarmente interessante il contrasto tra Re Viserys, interpretato da un convincente Paddy Considine, e suo fratello minore Daemon. Il primo è un uomo pacato, innamorato della propria moglie e impegnato a mantenere la pace a tutti i costi nei Sette Regni; così preoccupato di conservare il precario equilibro che lui ed i suoi antenati hanno costruito che spesso finisce per farsi manipolare da chi lo circonda (Otto Hightower in particolare), ritrovandosi con il tempo sempre meno capace di prendere decisioni in autonomia.
Dall’altra parte troviamo Daemon, che rappresenta maggiormente quel modello di principe Targaryen – folle, violento, sconsiderato e crudele – che ci era stato tramandato nelle narrazioni di epoca successiva, quel filone di sangue Targaryen che porterà poi alla caduta della famiglia con il regno del Re Folle. Se Viserys è guidato dalla volontà di mantenere pace ed equilibrio, il Daemon di Matt Smith (altrettanto sorprendete nella parte) pensa solo ai propri interessi, non fermandosi davanti a nulla pur di raggiungere l’obiettivo di diventare re.
Un trono che uccide
La lotta per impadronirsi del trono, come abbiamo più volte sottolineato, resta quindi il tema centrale di House of The Dragon, non più tra le diverse casate di Westeros ma interna alla famiglia Targaryen, mostrandoci come anche quando il potere sembra essere una realtà più solida che mai, resti invece un concetto effimero, che può essere rubato e riassegnato con grande facilità.
Colpisce la rappresentazione stessa del potere, ossia il Trono di Spade come oggetto, che in questa serie è più grande ed imponente, e diventa un simbolo ancor più evidente della forza dei Targaryen e dell’eredità (gli eroi del passato, come Aegon il Conquistatore, che viene spesso citato) che ognuno di loro porta sulle spalle. Un trono che rappresenta gesta epiche e conquiste, ma che è un’arma a doppio taglio anche per chi ci si siede sopra, ferendo il corpo dei sovrani con le sue lame (Viserys stesso è consumato dai tagli ormai incancreniti) e separando le famiglie dall’interno, facendo marcire tanto la carne come i legami tra amici d’infanzia, fratelli e sorelle, genitori e figli.
La recensione in breve
Con House of the Dragon torniamo a Occidente, durante il duraturo regno di casa Targaryen: la scelta vincente della serie, creata da Ryan J. Condal e da George R. R. Martin, è quella di riportare il pubblico in un mondo conosciuto, raccontando però una storia nuova, ambientata quasi 200 anni prima delle vicende de Il Trono di Spade. Limitare in parte la narrazione ai conflitti interni alla famiglia Targaryen permette uno sviluppo narrativo meno frammentato (cosa che era invece il marchio distintivo del più epico Il Trono di Spade) e una diversa caratterizzazione dei personaggi. Molto interessanti i personaggi femminili e ottime le scelte di cast, in particolare Milly Alcock e Emily Carey.
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