La serie: La vita sul nostro pianeta (Life On Our Planet), 2023. Regia: Adam Chapman, Gisle Sverdrup, Sophie Lanfear, Barny Revill, Nick Shoolingin-Jordan. Cast: Morgan Freeman.
Genere: documentario. Durata: 50 minuti ca. /8 episodi Dove l’abbiamo visto: su Netflix, in lingua originale.
Trama: Una panoramica delle varie forme di vita che hanno dominato la Terra, con ricostruzioni in CGI e riprese live-action.
Da qualche anno, uno dei generi più gettonati su Netflix è il documentario sulla natura, complice la popolarità di David Attenborough che ha portato sulla piattaforma il suo marchio di informato intrattenimento che da decenni lo rende uno dei nomi di punta della BBC. Non sorprende, quindi, che il gigante dello streaming abbia deciso di collaborare con la Amblin Television di Steven Spielberg su un altro progetto dall’impostazione simile, senza Attenborough (il cui fratello Richard, ironia della sorte, recitò per Spielberg nei primi due Jurassic Park) ma con l’unico attore americano la cui voce può competere con quella dell’esperto inglese: Morgan Freeman. Da tutto questo è nata la miniserie in otto parti di cui parliamo nella nostra recensione de La vita sul nostro pianeta.
La trama: da un’estinzione all’altra
Come si è evoluta la vita sul pianeta Terra? È la domanda a cui la serie cerca di rispondere nel corso di otto episodi. Anzi, sette: il primo è sostanzialmente un riassunto a grandi linee di ciò che verrà approfondito nei capitoli successivi, dalla dominazione dei microcosmi acquatici alla successiva migrazione sulla terraferma, dall’ascesa dei dinosauri alla successiva affermazione dei mammiferi come gruppo dominante sulla superficie. Il tutto intervallato dai vari eventi di estinzione di massa e condito da riflessioni su quale possa essere il destino della vita sul pianeta oggi, con materiale girato in loco che si alterna con ricostruzioni in CGI di ciò che accadeva eoni fa.
Il cast: la voce ideale
È dal 1994, con l’uscita de Le ali della libertà, che Morgan Freeman si è affermato come la voce perfetta per narrazioni di ogni genere (a pari merito con James Earl Jones, il quale però è più o meno ufficialmente in pensione per sopraggiunti motivi anagrafici), inclusa una precedente collaborazione con Steven Spielberg per La guerra dei mondi (dove le sue tonalità aggiornavano ai giorni nostri le parole del romanzo originale di H.G. Wells). Insieme a lui, l’altro elemento artistico imprescindibile è il compositore Lorne Balfe (autore, tra le altre cose, delle musiche dei due episodi più recenti di Mission: Impossible), i cui brani contribuiscono all’atmosfera epica di una viaggio nel tempo che ripercorre miliardi di anni con grande ambizione.
La vita posticcia
Come abbiamo accennato in apertura, il termine di paragone inevitabile è l’opera omnia di David Attenborough, talmente onnipresente che all’ultima Mostra di Venezia era persino protagonista di una delle esperienze immersive nell’apposita sezione dedicata alla realtà virtuale. E se sul piano della divulgazione non c’è nulla da obiettare, grazie a Freeman che non ha nulla da invidiare alle doti oratorie di Attenborough, dove il progetto scricchiola più volte è nello squilibrio tra riprese reali, quelle sì effettivamente mozzafiato, e l’uso della CGI, che alterna momenti molto riusciti (quasi usciti dalla saga giurassica di Spielberg) e altri a dir poco dozzinali che altro non fanno che sottolineare la natura derivativa di una miniserie che sfrutta il trend della docuserie per spiccare tra le offerte dell’algoritmo di Netflix. Nel migliore dei casi, un divertimento sufficiente per l’abbonato medio che non è particolarmente selettivo; nel peggiore, la pallida fotocopia di un modello ben più ricco e appagante.
La recensione in breve
La nuova docuserie di Netflix diverte il giusto, grazie soprattutto alla voce narrante di Morgan Freeman, ma è piuttosto discontinua sul piano visivo.
- Voto CinemaSerieTV