La serie: Loro: La paura, 2024. Creata da: Little Marvin. Cast: Deborah Ayorinde, Luke James, Pam Grier. Genere: Horror. Durata: 50 minuti circa/8 episodi. Dove l’abbiamo visto: Su Prime Video in anteprima stampa, in lingua originale.
Trama: La Los Angeles dei primi anni Novanta è sconvolta da una serie di brutali omicidi: toccherà alla detective Dawn Reeve trovare l’assassino, ma nei quartieri più pericolosi della città si nasconde qualcosa di sovrannaturale che sembra averla presa di mira…
A chi è consigliato? Agli amanti dell’horror, sopratutto quello di critica sociale. Quindi a chi apprezza le opere di Jordan Peele, come Scappa – Get Out e Noi.
Con la sua prima stagione di Loro (Them), Little Marvin aveva messo in pratica uno stratagemma particolarmente diffuso nell’horror recente: utilizzare i topoi del cinema dell’orrore per raccontare il razzismo statunitense. L’illustrissimo predecessore di questo genere di narrazione è ovviamente Jordan Peele, che ha fatto della critica sociale a tinte horror la colonna portante della sua carriera di regista, suoi sono infatti Scappa – Get Out, Noi e Nope. La prima stagione della serie di Little Marvin ci aveva colpito per l’originalità delle svolte narrative e per l’immaginario unico e terrificante che è capace di creare: come vedremo in questa recensione di Loro: La Paura, l’autore riesce a ripetere l’operazione, creando un prodotto da brivido ma capace di puntare efficacemente il dito contro il marciume della società americana (e questo genere di storie, inutile negarlo, hanno sempre risonanza internazionale).
In questa seconda stagione della serie, che è solo apparentemente antologica (ma non vi sveliamo altro per non fare spoiler), le intenzioni di Little Marvin sono le stesse, ed il risultato si avvicina di molto a quello dei precedenti episodi, se non fosse per una parte finale che pare mettere da parte la ferocia della critica sociale in favore dell’horror. Non è un difetto, noi amanti del genere abbiamo comunque apprezzato, ma sembra andare contro quelle che dovrebbero essere le intenzioni dell’autore.
Una serie di terrificanti omicidi nella Los Angeles degli anni Novanta
Ci troviamo a Los Angeles, l’anno è il 1991. Dawn Reeve (Deborah Ayorinde) è una detective – donna e nera, e questo inutile dirlo è fondamentale per capire come viene trattata dai colleghi (maschi e bianchi) – che si trova ad indagare su un omicidio tra i più efferati della sua carriera: una donna anziana viene trovata letteralmente “accartocciata” sotto il lavandino di casa sua, in una posizione così innaturale e con così tante ossa rotte che la scientifica non è in grado di spiegarsi come sia stato fisicamente possibile ridurre così il suo corpo. Qualche giorno dopo, durante un sopralluogo nella zona più pericolosa della città, un uomo le confesserà di essere terrorizzato: qualcosa di orribile lo perseguita e vuole ucciderlo. Quando anche lui verrà trovato morto, nella stessa raccapricciante maniera, Dawn capisce che dietro gli omicidi potrebbe nascondersi un serial killer dal diabolico modus operandi, ma c’è qualcosa di più dietro quello che sta accadendo, qualcosa di legato al suo passato e soprattutto di sovrannaturale…
Intanto ci troviamo a seguire anche un altro personaggio, Edmund (Luke James), un ragazzo che sta passando una vera e propria crisi esistenziale: vorrebbe fare l’attore ma nessuno sembra volergli dare quella parte che potrebbe diventare la sua grande occasione. Il ruolo per lui potrebbe però essere quello di un serial killer, e il ragazzo decide di prepararsi al meglio per il provino…
Il trauma intergenerazionale
La chiave di lettura per questa storia è chiaramente esplicitata nel titolo: “la paura”. La paura diventa un’entità a sé stante nell’opera di Little Marvin, un morbo che si diffonde da generazione a generazione e prende forme spaventose e terribili. Se nella prima stagione si parlava di un terrore costante di essere uccisi semplicemente perché neri, la storia era ambientata tra la prima e la seconda metà del Novecento, qui le cose non sono molto diverse anche se si sono fatte leggermente più sottili. La violenza della polizia contro la popolazione di colore – ma più in generale di immigrati negli Stati Uniti, incontriamo infatti anche una famiglia messicana ed una coreana – è fuori controllo ed è impossibile ottenere giustizia se si vive in una certa parte della città. La lotta di Dawn per essere trattata alla pari dai suoi colleghi, e perchè certe indagini vengano svolte con una maggiore obiettività, sembra essere contro i mulini a vento, e per quanto lei cerchi di essere la migliore c’è sempre qualcosa che la tira indietro: il suo sesso ed il colore della sua pelle.
La paura è qualcosa che si passa da una generazione all’altra, un trauma che diventa vivo e torna per perseguitare le sue vittime: il killer mostruoso di questa serie – un uomo inquietante dai capelli rossi – è il risultato di un ambiente malsano, di una società malata e delle ferite inflitte a questa generazione, ma anche a quella precedente e a quella prima ancora. La prospettiva di Little Marvin è ancora una volta estremamente affascinante, e procede per allegorie e metafore così efficaci da toccare anche un pubblico lontano dal contesto culturale in cui la storia è ambientata.
L’ambientazione scelta dall’autore funziona alla perfezione per raccontare una storia come questa, se gli anni Cinquanta e Sessanta della prima stagione ci portavano in un contesto ben specifico e di enorme cambiamento per la popolazione nera degli Stati Uniti, il periodo a cavallo degli anni Ottanta e Novanta ci racconta una situazione molto diversa. Non siamo più nei sobborghi bianchi della periferia americana, ma in una metropoli sporca, affollata, in balia dei più famosi serial killer della Storia (vengono citati Manson, e Richard Ramirez, The Night Stalker), in quei quartieri popolati solo da neri ed immigrati, in cui se scompare qualcuno, se qualcuno viene brutalmente ucciso, non è poi un problema così grande…
Una storia horror
L’attenzione per la trama horror, come vi anticipavamo in apertura, diviene preponderante negli ultimi episodi della stagione, trascurando forse un po’ la critica sociale che era sempre stata alla base della narrazione. Non è necessariamente un difetto, in fin dei conti Loro: La paura è per prima cosa un racconto dell’orrore, ma il finale purtroppo perde un po’ di efficacia.
Sia Deborah Ayorinde (che nella prima stagione interpretava la protagonista Lucky) che Luke James reggono benissimo il peso della narrazione sulle proprie spalle, mostrando una grande versatilità interpretativa nel corso degli episodi. Anche Pam Grier nel ruolo della nonna Athena e il giovane Joshua J. Williams, figlio adolescente di Dawn, sono convincenti, e sono capaci di dare vita sullo schermo a quella paura che attanaglia sempre di più le loro vite.
Il finale chiude la trama orrorifica senza lasciare troppe domande in sospeso, ma si apre – legandosi alla stagione precedente – ad una possibile terza tranche di episodi. Il collegamento tra le due stagioni è piuttosto coerente al discorso di “trauma intergenerazionale” imbastito dall’autore, e attribuisce all’opera un’ulteriore complessità che abbiamo decisamente apprezzato. C’è da vedere come Little Marvin vorrà portare avanti la sua storia, se ripartiremo da dove si chiude la seconda stagione o se ci sarà un’ulteriore balzo temporale. C’è anche la possibilità che il colpo di scena finale resti fine a se stesso, in ogni caso ribadisce alla perfezione il messaggio della serie: la paura può trasformarsi in una malattia mostruosa, che si trasmette dai genitori ai figli, di generazione in generazione. È possibile interrompere questa terrificante catena di traumi? La serie non ci da una risposta, forse perché ad oggi ancora non abbiamo trovato il modo di liberare la società in cui viviamo da morbi come razzismo e discriminazione.
La recensione in breve
Loro: La Paura è un buon prodotto horror e di critica sociale: Little Marvin imbastisce un discorso coerente che però perde un po' di efficacia nel finale. Ottimi i protagonisti Deborah Ayorinde e Luke James.
Pro
- La trama horror è davvero coinvolgente
- La metafora sociale è molto efficace
- Il collegamento con la serie precedente è interessante...
Contro
- ...ma bisogna vedere se l'autore deciderà di approfondire
- Il finale non colpisce quanto dovrebbe
- Voto CinemaSerieTV