La serie: Shōgun, del 2024 Creata da: Rachel Kondo, Justin Marks. Cast: Cosmo Jarvis, Hiroyuki Sanada, Anna Sawai. Genere: Storico. Durata: 55 minuti/10 episodi. Dove l’abbiamo visto: Su Disney+.
Trama: Anno 1600. Dopo una lunga traversata, il pirata inglese John Blackthorne raggiunge le coste del Giappone. Ben presto, si ritroverà invischiato in uno spietato gioco di potere che contrappone il daimyo Yoshii Toranaga agli altri reggenti di Osaka.
Quando nel 1980, sull’onda del successo editoriale dell’omonimo romanzo di James Clevell, sull’emittente americana ABC approdò la celebre miniserie Shōgun con Richard Chamberlain e Toshiro Mifune, il successo fu tale da lasciare il segno su un’intera generazione. L’idea di raccontare di nuovo la medesima storia nel 2024, anche se con i nuovi mezzi e il linguaggio televisivo della contemporaneità, presentava quindi un gran numero di sfide: per Hiroyuki Sanada e compagni, si trattava di fare i conti con un vero e proprio cult della televisione americana.
Come se non bastasse, a complicare le cose contribuiva anche l’esigenza di trovare un punto di equilibrio tra la narrazione romanzata di Clevell e la verosimiglianza storica.
Benché infatti, a rigore, nessuno dei personaggi che affollano le pagine di Shōgun (edito in Italia da Bompiani) sia realmente esistito, a ciascuno di loro corrisponde in realtà una controparte storica più che riconoscibile. Com’è andata? Scopriamo in questa recensione di Shōgun se la nuova serie FX (trasmessa in Italia da Disney+) ha saputo reggere alla prova dei tempi e tenere testa alle altre celebri serie in costume dedicate al mondo degli intrighi politici, da House of the Dragon a The Witcher… Buona lettura!
La trama: sangue, potere e intrighi nel Giappone del Seicento
L’anno è il 1600: nel castello di Osaka, fervono i complotti e gli intrighi. Il potente Taiko, dopo un lungo periodo di regno, è appena morto di vecchiaia, lasciando un bambino come unico successore. I cinque reggenti incaricati di garantire al Giappone una pacifica transizione sono a un passo dalla guerra: il più carismatico tra loro, lord Yoshi Toranaga, è minacciato dall’alleanza degli altri quattro, che complottano apertamente per eliminarlo. Il loro leader è il potente Ishido, ma una crepa sotterranea potrebbe minare la loro unione: Ishido è buddhista, mentre gli altri tre si sono convertiti al cattolicesimo, cedendo alle lusinghe dei portoghesi.
A lungo, infatti, il Portogallo ha mantenuto segreta la posizione geografica dell’arcipelago alle altre potenze europee, sfruttando il proprio monopolio commerciale per arricchirsi e condizionare sotterraneamente la politica giapponese. Tutto, però, è destinato a cambiare quando il pirata inglese John Blackthorne raggiunge le coste del Giappone: la nave è in pessime condizioni, il suo equipaggio è moribondo per le pestilenze, ma quell’episodio finirà comunque per rappresentare un punto di svolta epocale. Dopo essere sopravvissuto alla prigionia inflittagli da Yabushige, un infido signorotto della regione costiera, Blackthorne stringerà un’improbabile alleanza con lord Toranaga, e rimarrà invischiato nella lotta per il predominio sul Giappone.
I portoghesi, tuttavia, vedono nell’ascesa di Blackthorne una minaccia ai loro affari, e cospirano per eliminarlo. Per aiutarlo a destreggiarsi tra le minacce del “nuovo mondo”, Toranaga gli assegna come traduttrice di fiducia la bella lady Mariko: la donna, sposata con un violento guerriero della scorta del daimyo, ha appreso le lingue europee proprio dai portoghesi, e si è persino convertita al cristianesimo. Ben presto, quello straniero sfrontato e pieno di risorse la porterà a mettere in discussione molte delle sue convinzioni, e a intraprendere un cammino completamente nuovo.
Un autentico capolavoro narrativo
Inutile girarci intorno: Shōgun è un autentico capolavoro, sia sul fronte della meticolosa ricostruzione storica delle atmosfere del Giappone feudale che su quello dell’intreccio narrativo, che risulta davvero dinamico e avvincente. Gli equilibri interni al racconto funzionano nel migliore dei modi, e dopo un paio di episodi già ci troviamo catapultati in una fitta rete di complotti e giochi di potere a cui è davvero impossibile resistere. Alle solide basi offerte dal romanzo di Clevell, la serie aggiunge una grande chiarezza espositiva, che consente allo spettatore di orientarsi con discreta facilità nei molti rivoli della storia e gustarne la sua suggestiva ambientazione.
Certo, i nomi sono tanti, i volti pure, ma non c’è davvero alcun rischio di perdersi: la sceneggiatura gestisce sapientemente i vari personaggi, il loro background e le loro motivazioni, ricordandoci il fascino e l’equilibrio narrativo delle prime, memorabili stagioni de Il Trono di Spade. A fare da baricentro c’è un tema universale, ossia l’incontro tra due mondi e due culture radicalmente diverse: un’occasione di enorme arricchimento, che tuttavia può anche trasformarsi, nelle circostanze sbagliate, in un cataclisma di portata distruttiva.
Un intreccio davvero corale
Anche a una prima visione, Shōgun si distingue dal suo illustre predecessore del 1980 per la scelta di allargare di molto gli orizzonti, e non limitarsi all’angolo visuale del protagonista John Blackthorne. Com’è ovvio, lo spavaldo e intelligente pirata inglese continua a rappresentare per lo spettatore il naturale punto di partenza per esplorare il mondo giapponese, perché proprio come noi si ritrova a muovere i suoi primi passi in una realtà del tutto nuova. Questa volta, tuttavia, gli autori decidono di conferire molta più tridimensionalità ai molti personaggi giapponesi, lasciando respirare il racconto e articolandolo in più punti di vista narrativi.
In particolare, nella serie del 1980 veniva utilizzata la lingua giapponese senza alcun sottotitolo, così da calarci ulteriormente nei panni di John Blackthorne, costretto a districarsi tra traduzioni e frasi a lui incomprensibili. Qui, invece, i dialoghi in giapponese sono sistematicamente sottotitolati, e consentono di sviluppare molte interazioni tra personaggi primari e secondari senza che sia richiesta la fisiologica presenza del protagonista. Il risultato è una narrazione autenticamente corale e multifocale, capace di dare il giusto spazio a tutte le fazioni e a tutte le forze che si contendono la supremazia sul Giappone, e di far emergere le delicate dinamiche che legano o contrappongono i vari comprimari.
Il fascino immortale del Sol Levante
La chiave del successo di Shōgun – che a nostro avviso può dirsi nettamente superiore a tutte le altre serie in costume dedicate a sangue, potere, amore e complotti – sta però anche e soprattutto nella potenza della sua ambientazione. C’è ben poco da fare: i maestosi paesaggi naturali e gli scorci cittadini del Giappone tradizionale sono da sempre accompagnati da un alone di fascino indissolubile, che contribuisce a conferire alla miniserie di Disney+ un’identità forte, unica e inconfondibile. Dal maestoso castello di Osaka alle coste della regione di Kanto, passando per i piccoli villaggi tradizionali in legno, in Shōgun il Sol Levante emerge in tutto il suo inimitabile splendore.
Per la verità, tuttavia, i registi dei vari episodi non indugiano quasi mai sul paesaggio con virtuosismi e panoramiche, e lasciano che sia l’ambientazione stessa a emergere e svelarsi ogni qual volta risulti necessaria e funzionale alla trama. Si tratta di una scelta a nostro avviso lodevole, del tutto coerente con la volontà di raccontare il Giappone dall’interno, senza attenersi soltanto allo sguardo meravigliato del navigatore occidentale che vi fa scalo per la prima volta.
Hiroyuki Sanada, carisma e talento
Senza togliere nulla alla solida prova di Cosmo Jarvis nei panni di John Blackthorne, è però soprattutto il carisma e la presenza scenica del mitico Hiroyuki Sanada a lasciare il segno nella miniserie, plasmando un personaggio nobile, astuto, carismatico e davvero leggendario. L’attore di Lost, Westworld, Army of the Dead, Bullet Train e Helix è ormai un volto assai familiare sia sul piccolo che sul grande schermo, e nel corso della sua variopinta filmografia ci ha regalato ottime prove interpretative, dimostrando di essere senza alcun dubbio la persona giusta per vestire gli scomodi panni di Lord Toranaga.
Il suo personaggio, apertamente ispirato al personaggio storico di Tokugawa Ieyasu, è insieme a lady Mariko uno di quelli che più beneficiano del nuovo angolo visuale adottato dalla serie di Disney+, ed emerge fin dai primi minuti come una figura nobile e poliedrica, degna del ruolo che il nome Tokugawa effettivamente riveste nei libri di storia. Più in generale, il cast di Shōgun si rivela decisamente all’altezza della narrazione corale adottata dagli autori della serie, con performance convincenti e capaci di connotare in maniera solida i vari personaggi.
La recensione in breve
Shōgun vince la sfida, e reinventa il classico televisivo del 1980 con un linguaggio fresco e accattivante: tra amore, intrighi, politica e guerra, le atmosfere del Giappone feudale rivivono in un intreccio corale degno de Il Trono di Spade.
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