La serie: That Dirty Black Bag, del 2022. Creata da: Mauro Aragoni Cast: Douglas Booth, Dominic Cooper, Travis Fimmel. Genere: Spaghetti western. Durata: 50 minuti ca./8 episodi. Dove l’abbiamo visto: Su Paramount Plus, in lingua originale.
Trama: Red Bill è un cacciatore di taglie in cerca di vendetta, che vaga per il West lasciandosi alle spalle una scia di cadaveri decapitati. Il suo viaggio lo porta a Greenvale, dove entrerà in rotta di collisione con lo sceriffo Arthur McCoy. Nel frattempo, Steve e la sua famiglia si ostinano a coltivare un lotto di terra su cui ha messo gli occhi il signor Thompson, deciso a scavare alla ricerca dell’oro.
Su Paramount Plus ha finalmente fatto il suo debutto That Dirty Black Bag, una curiosa serie tv che cerca di far rivivere l’antica magia del genere spaghetti western.
Il creatore è Mauro Aragoni, a produrre è la compagnia italiana Palomar, ma il cast comprende molti grandi nomi della tv angloamericana, da Douglas Booth (Great Expectations) a Dominic Cooper (Preacher), e da Aiden Gillen (Game of Thrones) a Travis Fimmel (Vikings).
A marzo 2022, anziché debuttare in Italia, la serie ha esordito negli Stati Uniti su AMC, prestigiosa emittente che ha dato i natali a Breaking Bad e The Walking Dead, e approda solo ora in patria, con quasi un anno di ritardo.
Le peculiarità, però, non si fermano qui: in un momento in cui, da Yellowstone a Tulsa King, le atmosfere western in chiave contemporanea sembrano essere tornate alla ribalta, Aragoni punta invece coraggiosamente alla fonte, ci riporta nel tardo Ottocento e attinge a piene mani al cinema di Sergio Leone, Sergio Corbucci e altri grandi classici del filone.
Flop o geniale intuizione? Scopriamo di più con la nostra recensione di That Dirty Black Bag.
La trama: sangue, oro e vendetta nel West
Il cacciatore di taglie Red Bill è alla disperata ricerca di un uomo con un coltello con un occhio inciso sull’elsa, e giustizia sommariamente tutti i ricercati che non sappiano aiutarlo.
Il suo viaggio lo conduce nel villaggio di Greenvale, dove il pigro sceriffo Arthur McCoy continua a rifiutarsi di difendere i suoi concittadini dalle scorrerie del fuorilegge Quinn, nonché di prestare assistenza alla famiglia di Steve, minacciata dalle ambizioni del signor Thompson.
Red Bill e McCoy entrano ben presto in rotta di collisione, e le cose degenerano quando il cacciatore di taglie commette un imperdonabile sgarbo a danno di McCoy.
Lo sceriffo, però, dovrà scegliere tra la vendetta e la ricchezza quando gli si presenterà un’incredibile occasione di rivoluzionare la propria vita: durante la caccia a Quinn, infatti, McCoy si imbatterà negli ultimi superstiti della famigerata banda di Bronson, reduci da un assalto un convoglio federale, e recupererà un bottino dal valore inestimabile.
Da parte sua, però, Bronson è pronto a tutto pur di riprendere il proprio tesoro, e ha ancora parecchi uomini a disposizione per uccidere lo sceriffo e riprendersi la refurtiva perduta.
Nel frattempo, la ricca proprietaria del bordello di Greenvale, Eve non vuole che la sua bella Simone abbandoni il proprio lavoro per sposarsi con Nathan, il violento vice di McCoy che, evidentemente, non la ama.
La favola di Mauro Aragoni
Nel panorama delle serie tv, lo si è detto, That Dirty Black Bag rappresenta un autentico UFO, che sfreccia ad anni luce da qualsiasi altro titolo attualmente disponibile in streaming.
Il nuovo telefilm di Paramount Plus, infatti, è uno spaghetti western fuori tempo massimo, orgogliosamente démodé, con radici italiane e cast americano.
Per il suo creatore, Mauro Aragoni, la serie è però – anche e soprattutto – un sogno che diventa realtà. Nel 2015, con poco più di duemila euro di budget, il giovane regista italiano presentava al Roma Web Fest una webseries indipendente, intitolata Quella Sporca Sacca Nera.
L’opera, interamente girata in Sardegna e realizzata con l’ausilio di una manciata di collaboratori, nasceva come un omaggio al cinema di Sergio Leone, e, malgrado i mille limiti imposti dalla totale mancanza di mezzi adeguati, riuscì comunque a lasciare a bocca aperta molti addetti ai lavori.
Quella Sporca Sacca Nera si trasformò poi un film, e con questa nuova veste riuscì a catturare l’attenzione di importanti produzioni internazionali.
E così, da una collaborazione tra l’italiana Palomar e gli americani Bron Studios (produttori di Joker), il “diamante allo stato grezzo” di Mauro Aragoni diventa ora una serie italo-americana di serie A, orgogliosamente fiera della proprie radici e della propria identità.
Le riprese, non a caso, si sono svolte in Spagna e in Marocco, ma anche in Puglia, tra Altamura, Gravina, il circondario barese e il Parco Nazionale dell’Alta Murgia.
Insomma, anche la stessa vicenda produttiva di That Dirty Black Bag ricorda la storia del genere spaghetti western e le imprese dei visionari registi italiani che si lanciarono alla conquista dell’America.
Spaghetti western, tra omaggio e innovazione
Un assassino attende in silenzio nel presbiterio di una chiesa tra i cadaveri delle sue vittime e, con un rapido movimento del dito, intrappola una mosca nella canna della pistola.
Fin dalla sua prima scena, That Dirty Black Bag ci propone un’esplicita citazione ai grandi classici del filone: la medesima prodezza – ricorderanno gli amanti dello spaghetti western – viene infatti compiuta da Snaky (Jack Elam) in C’era una volta il West.
Come se non bastasse, a un paio di minuti di distanza entrambi i personaggi vengono poi uccisi da un pistolero ancora più abile, e l’intera sequenza permette così di enfatizzare l’eccezionale maestria del nuovo arrivato.
Seguendo il sentiero tracciato con questa chiara dichiarazione di intenti, That Dirty Black Bag arricchisce i suoi otto episodi di vari omaggi alla grande tradizione del genere spaghetti western, per culminare in un classico duello tra pistoleri.
Al tempo stesso, però, Aragoni è ben consapevole che gli anni Sessanta sono passati da un pezzo, e rivoluziona l’immaginario del filone attingendo a piene mani al cinema pulp e ultra-violento di Quentin Tarantino.
Non si tratta certo dell’unica variante sul tema: attraverso il formidabile personaggio di Eve (magistralmente interpretata da Liv Sultan, protagonista di Tehran), anche l’identità femminile ha una componente molto più indipendente e anticonvenzionale rispetto ai classici del filone.
Sul piano estetico fanno la loro comparsa varie armi insolite, come una curiosa ascia estensibile e una stravagante pistola steampunk che si attiva sfruttando la pressione sanguigna di colui che la impugna.
L’intera serie, infine, è pervasa da un’inedita componente di mistero e di occultismo, con tinte quasi horror.
Insomma, non facciamoci condizionare dalle apparenze: That Dirty Black Bag è una serie fresca e innovativa, che cita i classici per poi ricollocarli in uno scenario decisamente originale e ricco di elementi innovativi.
Un racconto in crescita: non spegnete la tv!
La sceneggiatura di That Dirty Black Bag delinea purtroppo un percorso in salita, e non parte certo nel migliore dei modi: durante i primi episodi entrano in scena un numero eccessivo di personaggi, e i loro percorsi narrativi sembrano apparentemente paralleli e disarticolati.
A livello narrativo, la serie impiega qualche puntata a trovare il giusto passo, e sulle prime sembra indugiare un po’ troppo sulle dinamiche cittadine di Greendale.
Malgrado queste caratteristiche rappresentino indubbiamente un difetto, e rischino inevitabilmente di annoiare gli spettatori meno appassionati alle atmosfere del Far West, esortiamo caldamente tutti i lettori a proseguire la visione: con il passare degli episodi, e in particolare dopo la quarta puntata – che ci propone un lungo flashback dedicato alle origini di Arthur McCoy e Red Billy – le cose si fanno sempre più interessanti, e il ritmo aumenta, in un crescendo di emozioni e colpi di scena.
La seconda metà della serie riscatta ampiamente ogni esitazione iniziale, e ci proietta in un’avventura particolarmente riuscita e convincente, scritta e tradotta sullo schermo con grande abilità.
Aragoni, insomma, vince la propria scommessa, anche se con qualche tentennamento iniziale di troppo: il genere spaghetti western non è affatto morto, e può avere ancora molto da dire, sia al cinema che sul piccolo schermo.
Brutti, sporchi e cattivi: un cast eccellente
Fin dalle origini, uno dei tratti caratteristici del filone spaghetti western è stata la scomparsa della dicotomia tra buoni e cattivi, e l’introduzione dell’archetipo dell’antieroe, un personaggio grigio e amorale, che cerca di sopravvivere in un modo senza legge.
That Dirty Black Bag fa tesoro di questo immaginario, e lascia da parte qualsiasi retorica eroica per proporci una galleria di personaggi spezzati, stanchi della propria vita e pronti a tutto pur di avere una possibilità di ricominciare.
C’è chi brama una nuova vita lontano dal West, chi vuole vendetta per la propria famiglia perduta, chi vuol abbandonare il lavoro per mettere su famiglia e chi è pronto ad ammazzare chiunque si ponga sulla sua strada pur di ottenere il riscatto sociale.
Tutti bramano un nuovo inizio, una nuova innocenza, o quantomeno un momento di pace, ma qualsiasi valore è ormai perduto da tempo: nonostante le illusioni di Steve, Dio ha abbandonato Greenvale, e a regnare sono soltanto l’anarchia e la legge del più forte.
In That Dirty Black Bag il fine giustifica sempre i mezzi, che si tratti di sparare alla schiena a un ragazzino, massacrare centinaia di indiani per conto del governo o lasciarsi alle spalle una scia di cadaveri decapitati, perché alla fin fine, quando si tratta di riscuotere una taglia, “le teste pesano meno dei corpi”.
A rendere estremamente coerente questo cupo scenario all’insegna della disillusione e della violenza è la prova collettiva di un cast davvero eccezionale che, con le prove di Douglas Booth, Dominic Cooper, Aiden Gillen e Travis Fimmel, riesce a rendere concreta e tangibile l’aridità morale dei personaggi.
Non che ci fossero molti dubbi, vista la statura delle star di Preacher, Game of Thrones, Vikings e dintorni, ma è sempre un piacere constatare il talento e la versatilità di questi ottimi interpreti.
La recensione in breve
That Dirty Black Bag prova a far risorgere il filone dello spaghetti western, arricchendolo di tonalità pulp e di tinte horror. Incespica un po' nei primi episodi, con tante storyline e qualche pausa di troppo, ma grazie ai suoi interpreti e alla coraggiosa visione del suo ideatore, raggiunge comunque l'obiettivo nel migliore dei modi.
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