La serie: The Curse, 2023. Creata da: Nathan Fielder, Benny Safdie. Cast: Emma Stone, Nathan Fielder, Benny Safdie. Genere: Commedia. Durata: 10 episodi/60 minuti circa. Dove l’abbiamo visto: Su Paramount+, in anteprima stampa.
Trama: Una presunta maledizione complica la relazione di una coppia appena sposata che cerca di concepire un bambino.
I primi episodi di questa corrosiva miniserie erano stati presentati con ottimo successo di pubblico e critica di settore al New York Film Festival, adesso invece The Curse si prepara a dominare il panorama dell’offerta in streaming di fine anno debuttando in Italia in esclusiva su Paramount+, da sabato 11 novembre. Prodotta da A24 Television e distribuita in Usa da Showtime, la serie ideata in tandem dal comedian statunitense Nathan Fielder e l’attore e regista Benny Safdie è un caustico commentario sociale che tocca moltissimi nervi scoperti della contemporaneità occidentale, incluse tutte le sue contraddittorietà.
Nella nostra recensione di The Curse ci addentreremo proprio nei contenuti e nei temi che questa provocatoria serie mette in campo, a partire innanzitutto dai suo ottimi interpreti, tra cui figura (oltre ai due stessi showrunner Nathan Fielder e Benny Safdie) l’attrice premio Oscar Emma Stone, alla sua seconda partecipazione in una serie tv dai tempi del poco apprezzato Maniac su Netflix.
La trama: c’era una volta a Santa Fe, New Mexico
La serie si concentra sulle vicende di Whitney e Asher Siegel (rispettivamente, Emma Stone e Nathan Fielder), una coppia appena sposata che lotta per realizzare realizzare alloggi ecologici per persone e famiglie meno abbienti nella piccola comunità di Española, a Santa Fe, in New Mexico. Tuttavia, i loro sforzi si complicano quando un produttore televisivo eccentrico e maligno, l’imprevedibile Dougie (Benny Safdie), vede un’opportunità nella loro storia. Successivamente, la coppia si trova però presto intrappolata in una misteriosa rete di zone etiche e morali grigie ed indefinite, il tutto mentre cerca di mantenere viva la loro relazione, di concepire un bambino pur non facendo sesso, e di scongiurare una terribile maledizione lanciatagli da una bambina.
The Curse è la prima serie televisiva ideata dal comico statunitense Nathan Fielder (qui, anche regista di alcuni episodi, co-sceneggiatore ed interprete maschile principale) assieme al genio e alla sregolatezza di Benny Safdie, che nella serie su Paramount+ veste i panni di Dougie. Un ibrido destinato al piccolo schermo ricco di causticità e provocazione sociale, una bomba ad orologeria a lentissimo rilascio che, al termine dei suoi dieci episodi, fa tutti prigionieri e stimola la discussione. Ed anche il senso di colpa.
Riflessi distorti
Tutto il senso di questa curiosa black comedy televisiva potrebbe essere racchiuso nelle primissime scene dell’episodio 1: la coppia formata da Asher e Whitney Siegel si appresta a registrare una puntata del loro reality show “Flipanthropy”, destinato al rinnovo e alla costruzione di alloggi interamente ecologici all’interno della periferia di Española, in New Mexico. Un quartiere satellitario che da decenni si porta dietro una storia difficile di povertà e difficoltà economiche, abitato principalmente da cittadini provenienti dal Centro e dal Sud America. Uno di questi alloggi ecologici è realizzato in pannelli esterni lucidi e riflettenti, che in vicinanza di oggetti o persone distorcono irrimediabilmente la loro forma.
Una distorsione di forme, cose, oggetti e persone che riflette (qui sia a livello letterale che ad una maggiore lettura iper-stratificata del prodotto di Fielder e Safdie), la contraddittorietà della visione del mondo della coppia protagonista di The Curse. Due giovani di belle speranze, spostati da un anno, alla disperata ricerca di una gravidanza, e volti televisivi di un reality show che ha a cuore le difficoltà economiche e lavorative degli abitanti meno abbienti della periferia. Ma le hanno veramente a cuore oppure i loro gesti, i loro progetti di costruzione e rinnovazione di alloggi fatiscenti in case all’avanguardia e carbon-free cela qualcosa di più sinistro dietro?
Segnali di appropriazione culturale
In realtà, nulla di tutto questo, né la serie su Paramount+ ha l’ardire di mescolare parossisticamente troppi toni e linguaggi narrativi, eppure The Curse, partendo proprio dal suo ambiguo titolo, sembra voler raccontare molto altro dietro alla velata coltre di caustica ironia. In fin dei conti, la travagliata e grottesca storia di Asher e Whitney è quella di un tentativo universalizzato da parte della cultura e della società di etnia bianca di appropriarsi di culture, costumanze e tradizioni non proprie, favorendo un processo di agglomerazione che dal fenomeno della globalizzazione occidentale per antonomasia si sposta pericolosamente sempre di più verso i pericoli insiti nella gentrificazione e nella lotta di classe odierne.
Una disparità sociale che The Curse enfatizza nell’ambiguità etica e morale dei suoi protagonisti; fermamente convinti di fare del bene nei confronti degli abitanti di Española e di regalare una seconda possibilità di vita ai cittadini in povertà e di etnia e cultura differenti dalla loro, Whitney ed Asher cadono irresponsabilmente nel gorgo fatale del gioco perverso al quale loro stessi scelgono (in)consapevolmente di partecipare con il loro distorto reality show. Che regalando allo spettatore sul piccolo schermo di casa false storie di povertà e redenzione, ne celebra invece sottilmente le grigie aree morali di una white culture che metterebbe addirittura in scena un falso gesto di generosità economica verso una bambina di colore pur di salvarsi la reputazione e sciaquare la propria coscienza dalla colpa.
The Curse è una serie sui pericoli della gentrificazione
Una “colpa bianca” che nella serie ideata da Nathan Fielder e Benny Safdie si concretizza in un racconto dai toni grotteschi e disagevoli, sempre in coscienzioso equilibrio tra tragicommedia di stampo ironico e stratificato e narrazione di una misteriosa maledizione da sciogliere che porterà i destini dei due giovani protagonisti ad intrecciarsi nel periglioso tessuto dei limiti e delle contraddizioni insite nella moralità della società occidentale. Una serie televisiva su più livelli di lettura ed analisi che lascia addirittura spazio alla lotta di classe e al razzismo di ritorno che da tempo dà colore e caratterizza il white guilt verso popolazioni ed etnie diverse eppure vicine.
Un puro e fortuito caso che The Curse stia debuttando in tv in contemporanea con la presenza nelle sale di tutto il mondo del Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese. Che, pur con un format, con toni e con ambizioni artistiche agli antipodi rispetto a quelle di Fielder e Safdie, sembra voler parlare allo spettatore attuale di una società, quella americana di ieri e di oggi, in cui i processi del razzismo, della sopraffazione, della colpa e della (finta?) espiazione verso le vittime ne sono i controversi mattoni fondanti.
La recensione in breve
La serie comedy creata da Nathan Fielder e Benny Safdie è tra i prodotti televisivi più provocatori e polarizzanti dell'anno. Tra suggestioni alla Drag Me To Hell di Sam Raimi e il Nightcrawler con Jake Gyllenhaal, The Curse è un perfetto commentario sociale sulla gentrificazione occidentale e i valori pseudo-liberali su cui si fonda. Con una sempre bravissima Emma Stone.
- Voto CinemaSerieTV