La serie: The Program: rompere il silenzio, 2024. Creata da: Katherine Kubler. Genere: Drammatico, documentario. Durata: 60 minuti ca. /3 episodi. Dove l’abbiamo visto: su Netflix in lingua originale.
Trama: Le testimonianze di alcuni sopravvissuti ci portano alla scoperta di un programma di “rieducazione” per giovani ribelli in cui violenze ed abusi erano all’ordine del giorno.
Prendete una struttura in una località isolata, riempitela di adolescenti difficili, ritenuti troppo ribelli e “problematici” dai propri genitori, e mettete le loro vite completamente in mano ad un gruppo di adulti non qualificati, a cui viene affidata la loro “rieducazione” senza che gli vengano fatte domande. Quale potrebbe essere l’unico risultato possibile? L’abuso, in tutte le sue possibili forme, da quello fisico a quello emotiva, passando, purtroppo, per quello sessuale.
Come vedremo in questa recensione di The Program: Rompere il silenzio, la nuova docuserie Netflix ci mostra proprio uno di questi luoghi che, a raccontarli si fa davvero fatica a credere che potessero essere reali, ma che esistevano davvero. A raccontare la propria storia è Katherine Kubler, una ragazza sopravvissuta più di un anno all’interno di uno di questi programmi rieducativi, insieme a lei alcuni compagni di disavventura che, ripercorrendo l’inferno vissuto insieme esorcizzano in qualche modo un trauma che, ancora oggi, da adulti, non li ha abbandonati. Kubler realizza e dirige un ottimo prodotto documentario, la cui visione per lo spettatore risulta tutt’altro che semplice: come è possibile che siano stati proprio i genitori di questi ragazzi a costringerli a tali torture? Come hanno fatto ad andare avanti per anni, senza che nessuno riuscisse a denunciare? La storia a cui assistiamo è sconvolgente sotto ogni punto di vista, gli adolescenti venivano sottoposti a livelli di violenza e manipolazione che ricordano quelli dei culti più oscuri e delle sette religiosi.
Il programma di Ivy Ridge
Il programma rieducativo di Ivy Ridge, come tanti altri di quelli gestiti dalla stessa associazione, la WWASP, ebbero un particolare successo negli USA dei primi anni Duemila. Genitori preoccupati per i propri figli, considerati ribelli, troppo vivaci, sceglievano di mandarli ad Ivy Ridge nella speranza di salvarli da quello che ritenevano un percorso autodistruttivo, peccato che li costringevano così a qualcosa di ben più infernale: mesi e mesi di abusi fisici e psicologici, torture di ogni tipo e un lavaggio del cervello simile a quello che si trova nelle peggiori sette. Ma anche i genitori venivano a loro modo manipolati, sia con false foto e report dal programma, che con l’obbligo di partecipare ad incontri che reiteravano i pregi dell’esperienza per i loro figli.
I ragazzi all’interno del programma venivano controllati 24 ore su 24, senza la possibilità si stringere legami tra loro o addirittura scambiarsi sorrisi, pena la perdita di punti (più punti si ottenevano più c’era la possibilità di ottenere piccoli miglioramenti nella qualità della vita, tipo poter tenere i capelli sciolti) o ulteriori punizioni. Le punizioni da parte degli adulti “responsabili” erano sia fisiche che psicologiche, finendo per rendere i ragazzi completamente compiacenti e incapaci di reagire a quello a cui venivano sottoposti.
Dietro al proliferare di questi programmi, ovviamente, c’era il desiderio di guadagno di chi li aveva ideati e li portava avanti: i genitori degli studenti di Ivy Ridge, come delle altre strutture, dovevano infatti pagare migliaia e migliaia di dollari per il privilegio di mandarvi i loro figli, in cui – una volta entrati – venivano fatti restare il più a lungo possibile (mentendo anche sui loro progressi e sul loro stato mentale), così da estorcere alle famiglie rette sempre più esose.
Un documentario profondamente toccante
La docuserie realizzata da Katherine Kubler è ben strutturata e sviluppata, la presenza delle vittime di Ivy Ridge a raccontare i fatti per come li hanno vissuti rende l’esperienza di visione ancor più immersiva, capace di colpire nel profondo lo spettatore che viene trasportato all’interno di quei corridoi, di quelle mura opprimenti. Ad arricchire il documento, oltre alle testimonianze di terzi (come avvocati, parenti delle vittime, ex impiegati della struttura) ci sono poi documenti, foto e addirittura filmati video, ritrovati dai ragazzi, ormai diventati adulti, negli edifici abbandonati di Ivy Ridge.
Kubler dirige in maniera intelligente e consapevole la narrazione, immergendoci sempre di più nella vicenda, trascinandoci in un “rabbit hole” fatto di situazioni sempre più assurde, in cui gli abusi a cui quegli adolescenti venivano sottoposti sono talmente gravi che risulta quasi impossibile pensare che i loro carcerieri non siano mai stati denunciati. Il parallelo con i metodi manipolatori delle sette, poi, è particolarmente efficace, quando assistiamo agli estremi a cui questi adolescenti venivano costretti, una serie di indicibili umiliazioni che, più passavano i mesi all’interno della struttura, rendevano per loro sempre più difficile ribellarsi.
La recensione in breve
Un documentario ben realizzato ed estremamente immersivo che racconta una vicenda sconvolgente.
- Voto CinemaSerieTV