La serie: The Witcher: Blood Origins, del 2022 Creata da: Declan de Barra, Lauren Schmidt Hissrich. Cast: Laurence O’Fuarain, Michelle Yeoh, Sophia Brown. Genere: Fantasy. Durata: 50 minuti ca./4 episodi. Dove l’abbiamo visto: Su Netflix, in anteprima.
Trama: Un’entità misteriosa affida a Dandelion il compito di narrare al mondo il mitico racconto della congiunzione delle sfere e le origini del primo Witcher. La storia è quella di sette eroi che sfidarono la tirannia di un impero, e affrontarono i primi mostri apparsi nel Continente…
Nel ciclo di romanzi di Andrzej Sapkowski compare un evento remoto, perso nelle nebbie dei tempi, che prende il nome di “congiunzione delle sfere”. Non ci è mai dato, tuttavia, saperne di più.
Soltanto esplorando i tre superlativi videogiochi che hanno fatto conoscere il nome di Geralt di Rivia in tutto il mondo è possibile carpire qualche informazione aggiuntiva, ma la vicenda rimane comunque avvolta dal mistero.
A quanto pare, circa 1.200 anni prima delle avventure di Geralt, si verificò un cataclisma multiversale che fece collidere tra loro vari mondi paralleli.
È così che sul Continente, fino a quel tempo popolato soltanto da nani ed elfi, fecero per la prima volta la loro comparsa gli uomini, giunti fin lì da un altro pianeta, e i mostri, originatisi a loro volta su un terzo mondo a sé stante.
Nel tentativo di espandere la portata del franchise, Netflix ha deciso di svelare il mistero una volta per tutte, e raccontarci come tutto abbia avuto inizio.
E così, dopo l’ottimo film d’animazione Nightmare of the Wolf, dedicato alle origini di Vesemir, sulla piattaforma fa ora il suo debutto un nuovo spin-off della serie principale, questa volta sotto forma di una miniserie live action autoconclusiva articolata in quattro episodi.
Com’è andata? Scopriamolo nella nostra recensione di The Witcher: Blood Origins.
Una trama avvincente, ma troppo affrettata
Circa 1.200 anni prima di Geralt, tre regni elfici si contendono il dominio sul Continente: Xin’trea (la futura Cintra), Pryshia e Darwen.
A protezione delle monarchie si ergono i clan, formidabili corporazioni guerriere votate alla salvaguardia delle vite dei re e delle loro famiglie.
Nel frattempo, due reietti vagano senza meta nelle terre del Nord: Éile, detta l’Allodola Nera, ha abbandonato la propria confraternita per diventare una cantastorie e incarnare la voce del popolo, mentre Fjall, figlio del leader del clan del Cane, porta il marchio dell’infamia dopo essere stato sorpreso a letto con la principessa Merwyn di Xin’trea.
Entrambe le loro vite vengono stravolte quando la stessa Merwyn, per sottrarsi alla prospettiva di un matrimonio sgradito, usurpa i troni dei tre regni e si proclama imperatrice.
Dietro il precipitare degli eventi c’è un sinistro piano ordito dall’ambizioso mago Balor, che intende aprire alcuni antichi portali che conducono in altri mondi e conquistare per sé un potere straordinario.
Per fermare le loro macchinazioni e salvare l’intera stirpe elfica, Éile e Fjall dovranno mettere da parte le loro rivalità, e assemblare una compagnia di sette eroi.
Gli ingredienti per una grande avventura, insomma, ci sono davvero tutti, e la prima puntata fa sperare per il meglio, introducendo tanti personaggi, intrighi e fazioni, che risultano ben accessibili a chi si accosta per la prima volta al mondo di The Witcher.
Purtroppo, però, i tre episodi successivi spingono senza alcun criterio sul pedale dell’acceleratore, e gettano alle ortiche ogni buona premessa con una costruzione narrativa incomprensibilmente frettolosa.
Le idee restano buone, ma gli eventi si susseguono freneticamente senza alcuna soluzione di continuità, e anche i migliori colpi di scena non trovano mai la giusta enfasi.
Inutile girarci intorno, The Witcher: Blood Origins è davvero una delusione cocente.
Un taglio imperdonabile alla sceneggiatura originale
Quel che lascia l’amaro in bocca, è il fatto che in origine The Witcher: Blood Origins era formato da sei episodi.
Non stiamo parlando soltanto della previsione iniziale di Netflix, riportata in tutti i comunicati stampa, ma anche del materiale effettivamente girato durante le riprese.
Passando all’ultimo minuto da 6 a 4 episodi, in sala montaggio è stato tagliato addirittura un terzo della serie, senza neppure estendere la durata delle puntate residue: eccetto il primo episodio, che dura poco più di un’ora, gli altri tre atti della serie non superano i 50 minuti.
Per lo showrunner Declan de Barra, “tagliando quei due episodi, il risultato è quello di un pugno in faccia, così che non si possa mai togliere lo sguardo o si abbiano momenti di vuoto nello show“.
A nostro avviso, il pugno in faccia ha ben altra natura: il taglio priva la serie della propria identità distintiva, relegandola al rango un fantasy qualsiasi.
Con ogni probabilità, insieme ai “momenti di vuoto” sono stati gettati via tutti quei momenti dedicati alla costruzione del racconto e all’approfondimento dei personaggi e degli equilibri relazionali, privando completamente di peso l’intera vicenda.
Così facendo, il cammino dei sette eroi fluisce sempre rettilineo e inarrestabile, senza mai una battuta d’arresto o un autentico momento di crisi.
I due protagonisti, in particolare, passano da eterni rivali a compagni e addirittura amanti senza alcuna evoluzione graduale, e lo stesso avviene per le loro motivazioni.
Anche il percorso dei due villain, e soprattutto quello della principessa Merwen, finisce per mutare troppo rapidamente e risultare del tutto implausibile, riducendo l’intera serie a una rapida girandola di cospirazioni, battaglie ed effetti speciali (peraltro, neppure sempre così curati dal punto di vista artistico!).
Quanta fretta, ma dove corri?
Evitando, come di consueto, di addentrarci negli spoiler, segnaliamo soltanto come purtroppo a fare maggiormente le spese di questa superficialità narrativa siano proprio i due momenti più attesi dagli appassionati, ossia la creazione del primo Witcher e la congiunzione delle sfere.
La mitica “ricetta” che porta alla creazione del primo precursore di Geralt entra addirittura in scena già pronta e quasi preconfezionata, senza alcun bisogno di effettuare alcuna ricerca in proposito.
La situazione – oltre a banalizzare in maniera vergognosa un punto di svolta epocale nella storia del mondo di The Witcher – risulta pure del tutto assurda, se si tiene conto del fatto che fino a quel momento nessun abitante del Continente aveva mai visto un mostro!
Come può esistere già un rimedio “cotto e mangiato”? La fretta, in questo caso, gioca davvero un brutto scherzo agli sceneggiatori, che finiscono per gettare nella mischia un’innovazione che avrebbe meritato ben altro percorso.
Per effettuare un facile confronto, è come se i leggendari Anelli del Potere, nell’omonima serie trasmessa da Prime Video, venissero forgiati tutti insieme e dall’oggi al domani, senza alcuna premessa e alcuna ricerca in proposito.
La stessa, precipitosa fretta affligge – ma qui, davvero, non possiamo dire di più! – l’incidente finale che provoca la rottura dello spazio-tempo e innesca la leggendaria congiunzione delle sfere, su cui pure gravitava la maggior parte della ragion d’essere di questo prequel.
Il nostro suggerimento, quindi, è quello di ridimensionare drasticamente le attese.
Il cast fa del suo meglio, ma semplicemente non c’è tempo
Si è già detto di come la plausibilità delle dinamiche che legano Fjall (Laurence O’Fuarain) ed Éile (Sophia Brown), che pure nel primo episodio entrano in scena come personaggi molto promettenti, si perda completamente per strada nella fretta della narrazione.
Le cose non vanno meglio per il resto del cast: la superlativa Michelle Yeoh fa del suo meglio per rendere memorabile la sua Scian della Tribù Fantasma, ma anche lei deve fare i conti con lo scarso minutaggio a sua disposizione.
Lo stesso vale per la bella prova di Francesca Mills nei panni della nana assassina Meldof, che pure lasciava intravedere il potenziale di un personaggio potenzialmente davvero iconico.
Gli altri tre eroi della compagnia, invece, entrano in scena semplicemente troppo tardi per avere qualsivoglia rilevanza. La sfida è aperta: a visione ultimata, scommettiamo che non saranno in molti a ricordarsi le loro origini, o anche soltanto i loro nomi.
Queste tessere del puzzle erano veramente necessarie? Non sarebbe valsa la pena utilizzare quel tempo per approfondire un po’ meglio Fjall, Éile, Scian e Meldof?
Un discorso analogo vale per il campo degli antagonisti: l’attore inglese Lenny Henry fa davvero di tutto per rendere convincente il subdolo e spregiudicato Balor, mosso dalla cieca ambizione che deriva dalle sue umili origini, ma anche in questo la sceneggiatura finisce per appiattirne la figura a una caricatura bidimensionale.
Una sorte ancora peggiore tocca al personaggio potenzialmente più interessante, ossia a Merwen e al suo passaggio da timida principessa a tirannica imperatrice. Non convince fino in fondo neppure la sua attrazione per Fjall, che avrebbe quantomeno caricare di intensità la resa dei conti dell’ultimo episodio.
Ma questo Blood Origins era davvero necessario?
Ormai dovrebbe essere chiaro: purtroppo la nuova miniserie Netflix non funziona affatto, soprattutto a causa dei gravi tagli inflitti a una sceneggiatura di per sé potenzialmente interessante.
Ma a prescindere da questo brutto scivolone di percorso, e dalle cupe nuvole che si addensano sul futuro della serie principale a causa del delicato cambiamento dell’attore protagonista da Henry Cavill a Liam Hemsworth, resta in sospeso una domanda di importanza capitale per il futuro del franchise: un prodotto come Blood Origins era davvero necessario?
Non sarebbe stato meglio investire queste risorse per curare al meglio la terza e la quarta stagione?
A nostro avviso, questo tipo di spin-off aveva fin da subito decisamente poca ragion d’essere, e i fatti sembrano purtroppo averci dato ragione. Certo, viviamo nell’età d’oro dei prequel, tra House of the Dragons, Gli Anelli del Potere, Star Wars: Andor e Better Call Saul, ma è anche vero che non tutti i misteri devono per forza essere svelati ed esplicitati sullo schermo.
Se nei primi due casi citati poc’anzi già esisteva un solido spunto letterario a disposizione, e negli altri due era quantomeno presente un solido potenziale narrativo, nel caso della saga di Andrzej Sapkowski la mitica “congiunzione nelle sfere” rappresentava invece un evento suggestivo che, per la sua natura volutamente elusiva, avrebbe fatto meglio a rimanere perso nelle nebbie di un remoto passato.
Per chi ha familiarità con la saga di Dune, la storia di Blood Origins è un po’ l’equivalente del mitico Jihad Butleriano, ossia la grande guerra tra l’umanità e le macchine senzienti, che il figlio di Herber avrebbe fatto meglio a non narrare mai per esteso.
A volte, in definitiva, hanno ragione gli sceneggiatori di Boris: il “lo dimo” è davvero la via maestra.
La recensione in breve
The Witcher: Blood Origins prende le mosse da una premessa molto promettente, ma rovina ogni cosa con un passo narrativo decisamente troppo rapido e una sceneggiatura priva di profondità. Gli ingredienti di partenza sono buoni, gli attori anche, ma il risultato finale è davvero deludente, e ci porta a mettere in dubbio la stessa ragion d'essere di questo prequel.
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Voto CinemaSerieTv