La serie: Tulsa King, del 2022 Creata da: Taylor Sheridan, Terence Winter. Cast: Sylvester Stallone. Genere: Crime. Durata: 35 minuti ca./10 episodi. Dove l’abbiamo visto: Su Paramount Plus.
Trama: Dopo aver scontato 25 anni di prigione, il gangster Dwight Manfredi si ritrova in un mondo completamente nuovo ed estraneo. Per lui non c’è più spazio a New York: il suo futuro è a Tulsa, nello stato rurale dell’Oklahoma, dove potrà costruire dal nulla un impero criminale.
Con l’eccezione di alcune brevi comparsate sul piccolo schermo, Sylvester Stallone non aveva mai recitato in una serie tv.
A convincere “Sly” a fare il grande passo c’è voluta una proposta a firma di un binomio artistico d’eccezione: Taylor Sheridan, creatore di Yellowstone e sceneggiatore di Sicario, e Terence Winter, padre di I Soprano e Boardwalk Empire, nonché premio Oscar con la sceneggiatura di The Wolf of Wall Street.
I due hanno invitato il celebre attore italoamericano a coronare un suo sogno nel cassetto, e vestire per la prima volta i panni di un gangster.
Diversamente da quel che ci si aspetterebbe, però, Tulsa King, non è affatto una serie noir ambientata nel passato, bensì un’ironica avventura contemporanea.
Dwight Manfredi, l’aspirante “re di Tulsa”, è infatti un criminale della scorsa generazione che si trova catapultato al tempo di Uber e degli iPhone, e – un po’ come lo stesso Stallone! – deve lottare per stare al passo con le mille novità del mondo contemporaneo.
Oltre oceano, il responso è stato molto positivo: la prima puntata ha battuto persino l’atteso debutto di House of the Dragon, ed è già arrivato il rinnovo per una seconda stagione.
Purtroppo in Italia abbiamo dovuto aspettare oltre un mese, ma ora, finalmente, l’attesa è finita: ecco la nostra recensione di Tulsa King, disponibile su Paramount Plus.
La trama: un nuovo inizio per Dwight Manfredi
Dopo aver scontato venticinque anni di carcere senza mai dire una parola che potesse contribuire a incriminare l’amato boss Pete Invernizzi, il gangster Dwight Manfredi ora è finalmente libero.
Il suo senso dell’onore è rimasto integro, ma il mondo, ormai, non è più lo stesso: il volto di New York è completamente trasfigurato, le carte di credito hanno rimpiazzato il contante, Uber ha sostituito i taxi e, nella famiglia Invernizzi, a gestire gli affari adesso è Chickie, il figlio di Pete.
Il ritorno a casa, insomma, non è certo quello che aveva immaginato: per Dwight, a quanto pare, non c’è più posto in città, nonostante il suo sacrificio e la sua incrollabile lealtà.
Più con le cattive che con le buone, e dopo aver sferrato un pugno di troppo, Dwight viene inviato nella città rurale di Tulsa, in Oklahoma: un luogo sperduto e decisamente più “a misura d’uomo” della caotica New York, dove avrà l’opportunità di ricostruirsi un impero criminale.
Il protagonista abbraccia rapidamente la nuova sfida. Dal punto di vista degli affari, tutto sommato, Tulsa è davvero terra vergine: in Oklahoma la criminalità quasi non esiste, e l’unico vero business è quello dell’erba, venduta nel negozio di Bodhi e acquistata dalla vicina riserva indiana.
E così, affiancato dal giovane tassista Tyson e dallo stesso Bodhi, Dwight cercherà di ritagliarsi un posto in questo nuovo mondo, muovendo i primi passi per diventare un improbabile “re di Tulsa”.
Oltre a ricostruirsi un’identità da gangster, tuttavia, Dwight dovrà anche fare i conti con i fantasmi del passato, dopo essersi lasciato alle spalle una ex moglie e una bambina che, ora, è ormai adulta.
Sulla sua strada, però, farà anche la comparsa la bella Stacy Beale, reduce da una difficile separazione e con un’occupazione lavorativa davvero imprevedibile…
Il formidabile personaggio di Dwight è già un’icona
Dal punto di vista narrativo, Tulsa King è uno show corale, che dà voce a una pluralità di personaggi interessanti e molto ben delineati.
Al di sopra di tutti loro risplende però l’astro luminoso di Sylvester “Sly” Stallone, fulcro del racconto e star incontrastata della serie, che anche all’età di 76 anni si conferma un interprete a dir poco formidabile, con una voce, un carisma naturale e una presenza scenica davvero inimitabili.
Poco importa se l’interprete di Dwight è oggi decisamente più bolso, vecchio e appesantito rispetto ai tempi di Rocky, Rambo e Dredd: il ruolo che deve interpretare non è certo quello del giovane leone, bensì quello del vecchio dinosauro, sempre riluttante ad adattarsi all’attualità e pervicacemente deciso a far sì che, semmai, sia il mondo intero ad adattarsi a lui.
Già dai primi due episodi, possiamo intuire senza tema di smentita come la scommessa iniziale sia stata vinta a mani basse.
Grazie all’eccellente scrittura di Winter e Sheridan, che confezionano per Stallone un abito su misura davvero perfetto, “Sly” si getta a capofitto nella parte, si diverte e dà prova di essere tremendamente a proprio agio in un ruolo che pare già destinato a diventare iconico.
C’era una volta un gangster nel selvaggio West…
Messa in questi termini potrebbe quasi sembrare l’inizio di una barzelletta, e forse, a ben vedere, è proprio così.
Per Tulsa King, l’equazione “crime+western” era quasi automatica: da I Soprano a Boardwalk Empire, Terence Winter è sinonimo di mafia, mentre Taylor Sheridan (che oltre a Yellowstone e ai suoi spinoff è anche il creatore di Hell on High Water) è il padre di un nuovo immaginario western.
Eppure, oltre a boss mafiosi, cavalli, famiglie criminali e riserve indiane, nella nuova serie con Sylvester Stallone c’è anche molto spazio per l’ironia.
Tulsa King non è certo un telefilm comico, e neppure una black comedy alla Fargo, ma il tono del racconto si rivela fin da subito ben più leggero e scanzonato di quanto ci si sarebbe potuti attendere. Siete avvisati: fin dalla prima puntata c’è tanto da ridere, e davvero di gusto.
Vietato, quindi, attendersi una rivisitazione contemporanea in salsa western del Padrino: pur essendo una crime story dura e autentica, Tulsa King non si prende mai troppo sul serio, ed è ben consapevole di rappresentare il punto di incontro tra due filoni vecchi e poco originali e, oltre tutto, di gravitare attorno a un’icona dell’epoca reaganiana.
Nessun lifting o restyling può nascondere le rughe del racconto: pertanto, Winter e Sheridan fanno esattamente l’opposto, e le mettono in piena vista, puntando deliberatamente i riflettori su quest’eroe fuori dal mondo e sulla sua lotta con la contemporaneità, che lo trasforma quasi in un moderno Sisifo.
In perfetta antitesi con l’immaginario woke di Ryan Murphy e Shonda Rhimes, Tulsa King è un telefilm impregnato dalla nostalgia per un’altra era, che non fa mistero della sua identità conservatrice e che, tuttavia, non commette mai l’errore di rimpiangere i “gloriosi tempi che furono”, scegliendo invece di prendersi in giro con grande intelligenza.
Una sceneggiatura avvincente
È innegabile: Tulsa King non fa davvero nulla per incarnare l’attuale archetipo della “serie di qualità”, e di certo non piacerà a tutti.
Tra i critici americani, c’è chi si è lamentato del fatto che la nuova serie di Paramount Plus assomiglia a un “hamburger servito a un cliente che abbia invece ordinato un piatto di spaghetti con i frutti di mare”.
Verrebbe da replicare che, a quanto pare, lo sprovveduto avventore non solo non ha fatto attenzione alle insegne, ma non si è neppure accorto della calda e accogliente atmosfera del pub che lo circondava!
Fuor di metafora, Tulsa King è una serie tv consapevolmente popolare e di intrattenimento, che non rinnega le origini cinematografiche dello stesso Sylvester Stallone, e neppure aspira ad essere il nuovo Boardwalk Empire.
A conti fatti, però, il nostro hamburger risulta decisamente gustoso, curato e con tratti persino gourmet, al punto da farci rimpiangere i pregi della serialità e del cinema di un tempo.
Al tempo stesso, Tulsa King non è neppure una meteora, che cerca di fare colpo con i suoi primi due episodi per poi adagiarsi sugli allori e confidare sul solo carisma di Stallone: la sceneggiatura di Terence Winter ha molti assi nella manica, e pur regalando fin da subito una piacevole esperienza narrativa, tiene in serbo davvero un gran numero di sorprese per il prosieguo della stagione.
Senza fare alcuno spoiler, possiamo anticipare come i toni leggeri delle prime puntate vengano via via rivoluzionati da un’improvvisa svolta drammatica, che non snaturerà il tono del racconto ma al contrario finirà per arricchirlo, innalzando la posta in gioco e conferendo un’inattesa profondità alle avventure del nostro Dwight.
Vietato, insomma, abbandonare la visione: Tulsa King ha tutto il potenziale per diventare un autentico gioiello televisivo.
La recensione in breve
Facendo incontrare crime e western con la giusta ironia, e senza mai scadere nella farsa, la prima serie tv da protagonista per Sylvester Stallone è sospinta dalla monumentale performance di Sly nei panni di Dwight Manfredi e da una sceneggiatura solida e convincente. Impossibile non provare un po' di sana nostalgia.
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