La serie: Silo, del 2023 Creata da: Graham Yost. Cast: Rebecca Ferguson, Rashida Jones, David Oyelowo, Common. Genere: Fantascienza, distopico. Durata: 50 minuti/10 episodi. Dove l’abbiamo visto: Su Apple Plus.
Trama: In un futuro imprecisato, l’umanità ha perso ogni traccia della propria storia. La superficie non è più abitabile e l’ultima civiltà superstite sopravvive in un gigantesco silo, una struttura sotterranea articolata in centinaia di livelli. Qualcosa, però, non è come sembra…
“Non sappiamo perché siamo qui. Non sappiamo chi ha costruito il silo. Non sappiamo perché il mondo fuori dal silo è com’è. Non sappiamo quando sarà sicuro andare fuori: sappiamo solo che quel giorno non è oggi“. É questa la suggestiva premessa da cui prende le mosse Silo, la nuova serie distopica di Apple Tv+ tratta dall’omonima una trilogia di romanzi di Hugh Howey.
Com’era prevedibile, sono stati in molti a tracciare un superficiale parallelismo con l’iconica “botola di Desmond” vista in Lost. Non facciamoci ingannare, però: le suggestive somiglianze con la serie cult si fermano soltanto alla veste esteriore.
Sotto i riflettori non c’è la sorte di un solo uomo o di un pugno di rifugiati, bensì quella di un’enorme civiltà che sopravvive da oltre 140 anni sotto la superficie terrestre.
Quella di Silo è una complessa, misteriosa e affascinante metafora sociale, che evoca piuttosto le atmosfere di Snowpiercer e i grandi classici della letteratura distopica come 1984, Farenheit 451 e Il mondo nuovo.
Tra segreti, complotti, controllo delle nascite e manipolazione della realtà, la serie tv sfida gli spettatori a mettere in dubbio l’apparenza e a esercitare il pensiero critico.
Scopriamo di più nella nostra recensione di Silo, su Apple Tv+.
La trama: un futuro senza storia e senza libertà
Sono passati 140 anni dalla Grande Rivolta, in cui un anonimo gruppo di ribelli ha distrutto ogni traccia della storia del genere umano. Nessuno sa da quanto tempo l’umanità viva sotto la superficie terrestre nel silo, una gigantesca struttura articolata in centinaia di livelli: è scomparsa ogni traccia del passato, e non si sa perché la superficie del pianeta sia ridotta a un’arida desolazione dove nessuna specie organica riesce a sopravvivere.
Nessuno è tenuto prigioniero nel silo: se non si crede all’esistenza della contaminazione – ben testimoniata dalla sola telecamera che riprende il mondo esterno e trasmessa su giganteschi maxischermi – è sufficiente chiedere di uscire, e si verrà accontentati. Tutti i negazionisti che vengono condotti nel mondo esterno, tuttavia, puliscono l’obiettivo della telecamera e poi si accasciano al suolo senza vita.
Eppure, qualcosa sembra davvero fuori posto: l’impersonale regime totalitario dei giudiziali requisisce qualsiasi “reliquia” che rappresenti una testimonianza del passato, quasi come se ci fosse qualcosa da nascondere.
Come se non bastasse, nei livelli inferiori le nascite sono soggette a un ferreo controllo demografico: nell’organismo di ogni donna viene impiantato un dispositivo che impedisce la riproduzione, salvo alle coppie che vengono periodicamente sorteggiate. Eppure, lo sceriffo Holston e sua moglie Allison proprio non riescono a concepirne, e il loro anno di permesso volge al termine. C’è forse qualcuno che non vuole che abbiano figli? E perché?
Dopo il ritrovamento di un antico hard disk, Allison decide di uscire all’esterno e muore di fronte alla telecamera, sotto gli occhi sconcertati del marito. Trascorso qualche tempo – dopo la morte accidentale di George, l’uomo che per primo ha ritrovato l’hard disk – anche lo sceriffo tenterà la sorte e perderà la vita. A indagare sulla vicenda sarà Juliette, una donna del reparto tecnico che ha condiviso con Holston gli ultimi mesi della sua vita…
Una sceneggiatura magistrale ci tiene incollati allo schermo
Tra cospirazione e paranoia, mistero e distopia, sono davvero tanti gli spunti che potremmo citare per ricostruire il background di Silo, a partire dal già citato 1984 di Orwell per arrivare alla recente saga cinematografica di Matrix.
La serie tv, tuttavia, riesce a scacciare nel migliore dei modi la minaccia del “già visto” proponendoci un intreccio inedito, vivace e sapientemente delineato, che centellina le informazioni e alimenta nello spettatore un costante desiderio di saperne di più.
Partendo in media res e riavvolgendo il nastro durante l’intera prima puntata, la serie tv evita di cadere nell’ormai consumato cliché del piccolo mondo apparentemente perfetto, dietro le quinte del quale si cela un sinistro mistero: che nella società di Silo qualcosa sia fuori posto è molto chiaro fin dai primi minuti, ma per scoprire di che si tratti ci toccherà seguire con pazienza le disavventure dei nostri personaggi in un mondo dove tutto è osservato e controllato.
La sceneggiatura è magistrale, e riesce ad alimentare un vivido senso di mistero facendo propria la grande lezione di un altro capolavoro di casa Apple Tv+, Scissione. A completare l’opera contribuisce anche una regia decisamente ispirata, che con le suggestive inquadrature del silo, le ambientazioni claustrofobiche e un taglio volutamente enigmatico riesce a tenerci sempre incollati allo schermo.
Nei primi episodi funziona davvero tutto nel migliore dei modi, ed è davvero difficile trovare sbavature nella narrazione.
Se dopo il mezzo disastro cinematografico rappresentato dal mediocre Don’t Worry Darling di Olivia Wilde avete pensato che questo filone non avesse più nulla dire, Silo è qui per smentirvi!
Platone incontra Orwell nei bassifondi del silo
La nuova serie tv di Apple Tv+, tuttavia, non è soltanto un avvincente giocattolo narrativo ben oliato, o una suggestiva ambientazione claustrofobica che lascia il segno strizzando l’occhio prima a Lost e poi all’epoca del Covid: dietro l’ottima veste di Silo c’è molto di più, e fin dalle sue prime puntate lo show ci fa viaggiare con la mente tra le grandi utopie della storia dell’uomo, rivisitandole con un linguaggio e un piglio quanto mai attuali.
Il gigantesco e oscuro silo sotterraneo – dal quale è possibile osservare il mondo esterno solo attraverso le immagini filmate da una telecamera e ritrasmesse su un grande schermo – non può non farci pensare alla caverna descritta da Platone, all’interno della quale i prigionieri sono indotti a scambiare per oggetti reali le “ombre delle cose“.
Non si tratta di un’allusione casuale: l’intera società del silo, suddivisa in tre macro-livelli, regolata da norme immutabili e soggetta a un ferreo controllo delle nascite che orienta la scelta genetica di chi può avere figli rappresenta una sinistra e post-apocalittica rivisitazione della dell’utopia sociale descritta proprio da Platone nella sua Repubblica.
Al tempo stesso, è anche molto forte l’eco dell’impersonale Grande Fratello di George Orwell: nei bassifondi del silo nessuno conosce chi sia realmente a tirare le fila della società, né ricorda chi abbia istituito questo sistema totalitario e perché.
La società è cementata da grandi rituali di massa come il Giorno della Libertà e dall’odio per un nemico senza volto (i ribelli), mentre ogni tentativo di sovversione è reso nullo dalle desolanti immagini di morte che compaiono sugli schermi e dall’incessante vigilanza dei guardiani, i “giudiziali”. Come se non bastasse, nel silo non c’è alcun dio, e la religione è stata sostituita dalla tecnocrazia.
Siamo davvero in un prossimo futuro, o nel 1984 orwelliano?
Rebecca Ferguson ruba la scena
Malgrado la forza di Silo risieda soprattutto nell’ambientazione, nella sceneggiatura e nella regia, l’ottimo lavoro svolto dal suo cast risulta tutt’altro che secondario.
Con un ruolo ridotto a una singola sequenza nel primo episodio, ma destinato a diventare ben presto centrale nel prosieguo della stagione, a rubare la scena è soprattutto la Juliet di Rebecca Ferguson, già vista in Mission Impossible e Dune, ma anche nell’eccellente miniserie The White Queen.
La sua performance energica, intensa e coinvolgente riesce a rendere quasi tangibile la tenacia di Juliet e la sua disperata ricerca della verità. Ormai non ne siamo neppure più sorpresi: quello di Rebecca Ferguson è un talento cristallino, e Silo non fa altro che fornircene l’ennesima conferma.
Fanno un ottimo lavoro anche le due star del primo episodio David Oyelowo e Rashida Jones, che malgrado il loro ruolo complessivamente marginale hanno la funzione fondamentale di introdurci all’universo della serie e aprire per noi le porte del silo, facendoci scoprire le dinamiche dell’oscuro mondo nato dalla mente di Hugh Howey: molto del fascino dello show sta anche nella loro bravura nel conferire credibilità alla storia fin dalle sue prime battute.
La recensione in breve
Tra mistero, paranoia e distopia, Silo rinfresca l'immaginario postapocalittico con una magistrale gestione della propria struttura narrativa e radici molto profonde, che si addentrano nel sottosuolo fino a incontrare Orwell e Platone. Ciliegina sulla torta un'eccellente perfomance di Rebecca Ferguson.
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Voto CinemaSerieTv