Cucine da incubo 9 è ai nastri di partenza. Lo show di Sky Uno, disponibile in streaming solo su NOW, in cui chef Antonino Cannavacciuolo aiuta i ristoratori in crisi a uscire dall’empasse riparte domenica 2 aprile con un’edizione ricca di emozioni. Ed è stato proprio lo chef di Vico Equense a parlarci di questa nuova avventura che terminerà il prossimo 14 maggio. Un lungo tour de force emotivo che inizierà da Casalbertrame, un paesino in provincia di Novara dove si trova il ristorante ‘L Civel.
«Forse è la puntata che ricorderò di più», ha raccontato Cannavacciuolo durante l’incontro con i giornalisti. Una chiacchierata informale e molto divertente durante la quale ha toccato diversi temi, dalle difficoltà incontrate dai ristoratori durante la pandemia, all’amore viscerale verso le nuove generazioni. Senza dimenticare qualche bacchettata nei confronti di coloro che proprio non riescono a capire quanto sia importante svolgere bene la professione di cuoco.
Il vero incubo? L’improvvisazione
Antonino Cannavacciuolo è un generoso e si vede da ogni risposta che dà. Non c’è domanda che non sia stata sviscerata in ogni suo punto o lasciata inevasa. Ad esempio il nostro quesito su quale sia il vero incubo per un amante della cucina (e imprenditore di successo) come lui: la pizza all’ananas o il ristoratore improvvisato? «Sui gusti non metto mai bocca. Se ti piace la pizza all’ananas devi poterla presentare. Perché proporre un cibo che non piace non è cucina. Mi fanno incazzare quelli che pensano di poter fare i cuochi perché a casa fanno bene un piatto di pasta e le uova. A volte mi chiedo ‘Ma è possibile che nella ristorazione tutto è permesso?’ Non mi sveglio al mattino e dico ‘Apro un’officina meccanica’, mentre tutti pensano di poter fare il ristoratore… Questo vuol dire che tante persone prendono sottogamba il lavoro e mi dispiace. Questo è un lavoro difficile, è un lavoro che ha bisogno di professionisti. Il cuoco, lo chef, ha il compito di creare un team. E portarlo al massimo, fino a raggiungere determinati obiettivi. Pensare di avere un ristorante di successo solo perché sai fare le scaloppine è sbagliato», ci ha detto.
Cucine da incubo 9, focus su famiglia e giovani
La pandemia ha messo a dura prova il settore della ristorazione e Antonino Cannavacciuolo lo sa benissimo. Ecco perché, in molti casi, vedere intere famiglie di ristoratori in crisi ha colpito lo chef pluri stellato. «La prima puntata di quest’anno mi ha dato qualcosa a livello personale, perché poi pensi alla tua famiglia, ai tuoi figli e a quello che stanno vivendo avendo un papà così devoto al lavoro. Alla fine sono famiglie italiane e appartengono a tutti noi. Ci si riconosceranno tutti. Se con questo programma possiamo dare una mano e far ripartire un locale in crisi è la mia felicità», ha raccontato.
Aggiungendo: «Sono anni che diciamo come fare per far andare avanti un ristorante. In particolare abbiamo fatto un lavoro più mirato sull’aspetto estetico dei ristoranti e della struttura, che è un fattore decisivo. E abbiamo alzato l’asticella sui piatti. Volevamo far capire che prosciutto e melone è buono, ma chi va al ristorante cerca qualcosa di più. Gli ultimi anni non sono stati felici. Hanno avuto dei problemi i ristoranti che andavano bene, figuriamoci quelli da incubo».
E i giovani? Sono tutte e tutti da ammirare. «Faccio il tifo per loro. Li guardo e li ammiro. Alla loro età non se ne parlava proprio di certi temi come il plastic free, invece oggi scendono in piazza tutti perché pensano al futuro. In Cucine da incubo ho visto grande voglia di fare bene soprattutto nei figli che alla fine hanno l’età giusta per partire con un nuovo ristorante. Vedere questi ragazzi di 25 anni con la voglia di farcela è bellissimo».
Cucine da incubo 9, tra errori e ripartenza
Il copione di Cucine da incubo 9 è sempre quello che gli ha dato successo in questi anni. Un ristorante in crisi, a conduzione familiare o nato sull’onda di una pazzia tra amici, e un deus ex machina con 30 anni di lavoro nelle cucine più importanti d’Italia a rimettere le cose a posto. Anche con il pugno duro.
«Io la bacchetta magica non ce l’ho, ho solo la mia esperienza. Tutto parte dalle teste dei ristoratori. Se non credi a quello che vuoi fare, non ottieni mai niente. Per me è inconcepibile che si entri in cucina a mezzogiorno, quando il cliente si siede alle 12.30. Così come cucinare con rabbia e arroganza. Sono cose che si trasmettono nel cibo e chi mangia se ne rende conto. Mentre il servizio, per noi, deve essere un divertimento, come se stessimo suonando la chitarra o la batteria. Invece, gli errori partono da lì. E anche da una spesa sbagliata. A volte si pensa di risparmiare pagando un cibo meno soldi. Non è un risparmio ma un danno aziendale. Quando esco da questi ristoranti so già chi può andare avanti e chi no. Le persone che hanno fatto scelte sbagliate ma sono motivate, vanno avanti. Il ristoratore farfallone no», ha spiegato.
Antonino Cannavacciuolo, una vita tra i fornelli
Cresciuto nelle cucine di altissima classe, Antonino Cannavacciuolo ha reso onore a suo padre per averlo svezzato da subito in ambienti prestigiosi. «Ho avuto la fortuna di avere un padre chef che mi ha inserito subito in una grande cucina, non ho mai visto cucine da incubo», ha detto. Questo ha portato il suo ristorante più celebre, Villa Crespi, sulle rive del lago d’Orta in provincia di Novara, a raggiungere le 3 stelle Michelin. Sostenuto, in tutto e per tutto, dalla moglie manager Cinzia Primatesta.
«A Villa Crespi siamo partiti piano, siamo andati direttamente dai produttori per la scelta degli ingredienti. Ho costruito tutto a partire dal rispetto tra me e mia moglie Cinzia. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Avere 3 stelle non è cosa da tutti i giorni. In Italia ci sono solo dodici ristoranti stellati, nel mondo centodieci». Uno solo però è il suo cruccio. «Aver rinunciato alla mia gioventù. A vent’anni devi sbagliare, fare errori. Questo è il mio rimpianto».
Il futuro? È verde e inclusivo
Per uno chef e imprenditore come Antonino Cannavacciuolo nulla è lasciato al caso. E con una moglie quasi del tutto vegetariana («Un po’ di pesce lo mangia tutto», tiene a specificare lo chef) e una continua richiesta di cibi vegetali, non può esserci spazio per blocchi di alcun tipo. «In Italia quando si parla di menù vegetariano ti servono lo spaghetto al pomodoro, le verdure alla griglia o l’insalata mista. L’imprenditore guarda dove va il mondo, il cuoco non può far finta di niente, devo guardare vegani, vegetariani, gli intolleranti. Non sono più mode, io non posso far finta di niente. In Italia i vegetariani sono 3 milioni, una cifra altissima. Da anni ho il menù vegano, vegetariano e quello specifico per le intolleranze. Quando i clienti prenotano facciamo un’interrogazione proprio per farci dire se ci sono allergie, così possiamo fare un menù su misura», ha concluso.