La serie: Cold Case: Chi ha ucciso JonBenét Ramsey, 2024. Creata da: Joe Berlinger. Genere: Documentario, True Crime, Investigativo. Durata: Circa 50 minuti a episodio/3 episodi. Dove l’abbiamo visto: Su Netflix.
Trama: La docuserie ripercorre il controverso caso di JonBenét Ramsey, la bambina di 6 anni trovata morta nella sua abitazione di Boulder, Colorado, nel 1996. Attraverso interviste, materiali d’archivio e ricostruzioni, esamina il ruolo della polizia, dei media e delle teorie sul possibile colpevole, offrendo uno sguardo dettagliato ma senza nuove rivelazioni sul caso ancora irrisolto.
A chi è consigliato? A chi ama i documentari di true crime, in particolare quelli che analizzano casi irrisolti, e a chi ha apprezzato le precedenti opere di Joe Berlinger, come Crime Scene. Ideale per chi cerca un approccio ben narrato, anche se già familiare con il caso.
Il 26 dicembre 1996, il brutale omicidio di JonBenét Ramsey, una bambina di appena sei anni, sconvolse la tranquillità di Boulder, in Colorado, e catturò l’attenzione dell’intero Paese. JonBenét non era una bambina qualunque: era una reginetta di bellezza, celebre per i suoi concorsi in cui sfilava truccata e vestita da adulta, un’immagine che, successivamente a quanto accaduto, alimentò polemiche e speculazioni su come la bambina era stata cresciuta. A quasi trent’anni da quel fatidico Natale, Netflix torna a riaprire il caso con Cold Case: Chi ha ucciso JonBenét Ramsey, una docuserie in tre episodi che cerca di fare ordine nel caos di teorie, errori investigativi e ipotesi che da sempre avvolgono questa tragedia.
La notte del delitto
La notte di Natale avrebbe dovuto essere un momento di festa per la famiglia Ramsey, ma si trasformò in un vero e proprio incubo. JonBenét venne dichiarata scomparsa quando i genitori trovarono un biglietto di riscatto lasciato in cucina. Ore dopo, fu suo padre, John Ramsey, a scoprire il corpo della bambina nel seminterrato della loro abitazione. La scena era straziante: JonBenét aveva una corda stretta attorno al collo, una frattura al cranio e segni di violenza che portarono gli inquirenti a ipotizzare un’aggressione brutale.
L’autopsia stabilì che la causa della morte fu “asfissia per strangolamento associata a trauma cranico”. Ma le circostanze confuse del “rapimento” e del ritrovamento, e il coinvolgimento diretto dei genitori nella scoperta del corpo, lasciarono subito spazio a sospetti. La docuserie ricostruisce con precisione quei momenti drammatici, alternando interviste, immagini d’archivio e ricostruzioni, immergendo lo spettatore in una storia che sembra più complicata di un giallo cinematografico.
Un’indagine sotto accusa
Uno degli aspetti centrali della docuserie è il focus sugli errori commessi dalla polizia di Boulder. Il caso di JonBenét fu il primo omicidio registrato in città nel 1996, e l’inesperienza degli investigatori emerse fin da subito. Innanzitutto non venne isolata la scena del crimine, e il corpo della bambina venne spostato prima che potesse essere adeguatamente analizzato. A questo si aggiunse una cattiva gestione delle prove e una comunicazione insufficiente tra le autorità e i media.
Un dettaglio inquietante svelato nella serie è che la polizia era in possesso di risultati del DNA che escludevano i membri della famiglia Ramsey come sospetti, ma decise di non divulgarli immediatamente. Questa decisione alimentò le speculazioni e permise alla narrativa mediatica di dipingere proprio i genitori come i potenziali colpevoli. La docuserie pone una domanda cruciale: la polizia occultò intenzionalmente queste informazioni per proteggere una versione dei fatti già consolidata nell’opinione pubblica?
La pressione mediatica e il peso delle accuse
Dopo il ritrovamento del corpo, i riflettori dei media si puntarono immediatamente sui genitori di JonBenét, John e Patsy Ramsey. La loro scelta di assumere avvocati e rilasciare dichiarazioni misurate venne poi interpretata da molti come un’ammissione di colpa. La serie cerca di offrire un’analisi equilibrata di queste scelte, presentando interviste con John Ramsey e materiali d’archivio in cui Patsy, deceduta nel 2006, racconta la sua versione dei fatti.
All’epoca, le immagini di JonBenét nei concorsi di bellezza alimentarono un’ondata di giudizi morali e commenti morbosi. Questa sovraesposizione mediatica trasformò la bambina in una sorta di simbolo, ma oscurò la sua realtà come vittima. La docuserie invita a riflettere su quanto i media abbiano contribuito a distorcere la percezione pubblica del caso, creando un’ondata di indignazione che non sempre ha trovato riscontro nei fatti.
Teorie e sospetti: chi ha ucciso JonBenét?
Uno degli aspetti più avvincenti della docuserie è la sua capacità di esplorare in modo approfondito le varie teorie sul possibile colpevole. La serie si sofferma non solo sull’accusa verso i genitori, ma anche su sospetti esterni, come il controverso caso di John Mark Karr, un uomo che confessò il delitto salvo poi essere scagionato dalle prove.
Ogni episodio analizza una teoria diversa, supportandola con interviste a esperti, investigatori e giornalisti che all’epoca seguirono il caso. Il terzo episodio, in particolare, amplia lo sguardo sui potenziali colpevoli e sullo stato attuale delle indagini, lasciando emergere un quadro complesso e inquietante. Nessuna pista viene ignorata, e lo spettatore è invitato a formulare la propria opinione in un caso che, ancora oggi, non ha trovato soluzione.
Un puzzle senza risposta
Cold Case: Chi ha ucciso JonBenét Ramsey non pretende di risolvere il mistero, ma riesce a riportare alla luce una storia che ha segnato la cronaca nera americana. Grazie a una narrazione ben strutturata, l’uso di ricostruzioni dettagliate e interviste coinvolgenti, la docuserie ricompone i tasselli di un puzzle ancora incompleto.
La serie non solo evidenzia le lacune delle indagini e i pregiudizi dei media, ma riesce anche a mettere in discussione le certezze che molti avevano sul caso. Nonostante la mancanza di rivelazioni clamorose, il lavoro di Netflix si distingue per il suo approccio rispettoso e accurato, capace di riportare l’attenzione su una tragedia che merita ancora risposte. Rimane l’amara consapevolezza che, a quasi trent’anni dall’omicidio, la giustizia per JonBenét è ancora lontana. Ma, come dimostra questa docuserie, la memoria di una bambina innocente e il desiderio di verità restano più vivi che mai.
La recensione in breve
La docuserie Cold Case: Chi ha ucciso JonBenét Ramsey di Netflix affronta il celebre caso di cronaca nera con un approccio accurato e rispettoso, ma non privo di limiti. Pur riuscendo a ricostruire il contesto caotico dell’indagine e il ruolo negativo dei media, la serie non offre nuove rivelazioni o soluzioni concrete, limitandosi a riorganizzare informazioni già note.
Pro
- Approccio rispettoso: Tratta il caso con sensibilità, evitando speculazioni morbose.
- Narrativa ben strutturata: Organizza il materiale in modo chiaro, con episodi focalizzati su diverse teorie e prospettive.
- Ricostruzioni dettagliate: Utilizza immagini d’archivio, interviste e ricostruzioni per coinvolgere lo spettatore.
- Analisi critica dei media: Mette in evidenza come la sovraesposizione mediatica abbia distorto la percezione pubblica del caso.
- Focus sugli errori investigativi: Evidenzia le carenze della polizia, come la cattiva gestione delle prove e la comunicazione inefficace.
Contro
- Mancanza di nuove rivelazioni: Non fornisce informazioni inedite o sviluppi significativi nelle indagini.
- Eccessiva dipendenza da materiale già noto: Riorganizza fatti e teorie senza aggiungere contributi rilevanti al caso.
- Conclusioni incomplete: Lascia il caso irrisolto, limitandosi a riproporre domande aperte.
- Ritmo a tratti lento: Alcune sezioni della serie rischiano di risultare ripetitive o poco incisive.
- Voto CinemaSerieTV.it