La serie: Tutta la luce che non vediamo, del 2023. Creata da: Steven Knight. Cast: Aria Mia Loberti, Mark Ruffalo, Hugh Laurie. Genere: Storico. Durata: 55 minuti/4 episodi. Dove l’abbiamo visto: Su Netflix.
Trama: L’adolescente cieca Marie-Laure LeBlanc è alla disperata ricerca del papà e del prozio in una Francia sconvolta dalla guerra. Werner, invece, è un soldato della Wehrmacht addetto alle radiocomunicazioni che cerca di conservare intatta la propria umanità: i loro sentieri si incontrano nel 1944 a Saint-Malo, una città costiera assediata dagli Alleati.
Nel 2014, il romanzo Tutta la luce che non vediamo, nato dalla penna dello scrittore americano Anthony Doerr e pubblicato in Italia da Rizzoli, si è aggiudicato il prestigioso premio Pulitzer.
La storia, avvincente, poetica e caratterizzata da un intreccio non lineare, ha catturato anche l’attenzione di Netflix, che ha deciso di trasformarlo in una miniserie in quattro puntate.
A rielaborare le pagine del romanzo è stato lo sceneggiatore Steven Knight, autore di Peaky Blinders e Locke, mentre la regia è stata affidata a Shawn Levy (che nel suo palmarès vanta Una notte al museo, Stranger Things, ma anche l’imminente Deadpool 3 e un prossimo film della saga di Star Wars).
Anche il cast è di serie A: accanto alla debuttante Aria Mia Loberti ritroviamo le star hollywoodiane Mark Ruffalo e Hugh Laurie, nonché Louis Hofmann, l’indimenticato protagonista di Dark.
Insomma, sulla carta gli ingredienti per confezionare un grande successo c’erano davvero tutti. Tuttavia, come scopriremo nella nostra recensione di Tutta la luce che non vediamo, qualcosa non è andato secondo i piani, e il risultato finale potrebbe non piacere a tutti.
Tutta la trama che vediamo…
Francia, agosto 1944: gli Alleati cingono d’assedio la cittadina costiera di Saint-Melo, e i nazisti si barricano all’interno insieme alla popolazione civile.
Ogni sera una ragazzina cieca, Marie-Laure LeBlanc, utilizza la frequenza radio 13 e 10 per lanciare un appello alla ricerca del papà Daniel e del suo prozio Etienne, entrambi scomparsi nella furia della guerra.
Dopo l’invito, la giovane legge sempre alcune pagine del suo romanzo preferito, Ventimila leghe sotto i mari.
Nel frattempo il comandante tedesco, constatando che i bombardamenti si fanno ogni giorno più mirati, intuisce che qualcuno sta comunicando al nemico la posizioni strategiche dei nazisti.
Deciso a trovare la talpa a ogni costo, ordina al giovane genio della radiofonia Werner Pfenning di intercettare qualsiasi trasmissione illegale, affiancandogli un subdolo nuovo arrivato.
Il ragazzo cerca però di tenere nascosta ai suoi superiori la frequenza 13 e 10, perché fin dall’infanzia ha sempre seguito quel lontano canale francese, da cui un misterioso “professore” trasmetteva ai suoi giovani ascoltatori l’amore per la scienza, il sapere e la libertà.
Interessi proibiti che, con il passare degli anni, gli hanno permesso di mantenere viva la sua umanità, anche durante la permanenza nell’infernale Istituto di educazione nazionalpolitica.
Dopo un lungo periodo di silenzio, ora sulla stessa frequenza è comparsa la voce di Marie, e Werner scopre che la sorgente è sempre stata proprio lì a Saint-Malo.
Intanto, mentre la cittadina si prepara all’assalto finale delle forze alleate, in paese fa anche la sua comparsa un sinistro ufficiale nazista: il suo obiettivo è trovare il Mare di Fiamma, un magnifico diamante che il padre di Marie avrebbe trafugato dal museo nazionale di Parigi per sottrarlo agli invasori.
Secondo un’antica leggenda, il possessore della gemma può godere del dono della vita eterna, al costo però di veder soffrire tutti coloro che ama…
…e tutta quella che purtroppo non vediamo!
Al netto di una trama indubbiamente solida e avvincente, Tutta la luce che non vediamo paga però a caro prezzo un minutaggio non proporzionato alle sue ambizioni: costretto in sole quattro puntate, l’adattamento del romanzo è costretto a procedere con un ritmo narrativo troppo serrato, che non lascia mai respirare adeguatamente il racconto.
Ne esce fortunatamente salvo il processo di costruzione dei personaggi, grazie all’ottimo lavoro della brava esordiente Aria Mia Loberti e del resto del cast (Hugh Laurie, in particolare, è davvero in forma smagliante!), ma a risentirne in maniera particolarmente gravosa è invece la dimensione lirica di una storia che avrebbe meritato spazi e profondità del tutto differenti.
Le vicende si succedono senza soluzione di continuità, e l’incalzare delle puntate finisce per far precipitare gli eventi senza mai darci il tempo di assaporare il mistero, vivere l’attesa o quantomeno riflettere su quel che è appena successo.
Non aiuta neppure la scelta, sempre più ricorrente nei prodotti di casa di casa Netflix, di adottare continue sottolineature narrative, senza mai lasciare nulla all’allusione e alla suggestione. Tutto è esplicito, rimarcato e ribadito, con dialoghi mai spontanei che lasciano assai poco all’autenticità e all’umanità dei personaggi.
Malgrado le ottime premesse, il risultato è una miniserie dall’identità narrativa incerta, a cui molto avrebbe giovato un numero di puntate superiore, o al contrario un taglio più breve e incisivo con l’adozione di un formato filmico convenzionale.
Luci e ombre
Tutta la luce che non vediamo ha indubbiamente più di un merito: la miniserie racconta una storia molto più intensa e profonda della media dei prodotti televisivi in circolazione, e coglie sfumature filosofiche decisamente originali (si pensi alla tremenda reinterpretazione dei nazisti del concetto di meritocrazia, o allo stravolgimento della filosofia del superuomo di Nietzsche).
La narrazione, inoltre, si snoda con efficacia su più livelli temporali, regalandoci una storia scritta in maniera molto più raffinata ed efficace di tante altre serie tv contemporanee.
Il merito sta però soprattutto nelle grandi qualità della sua fonte di partenza: anche un adattamento imperfetto come questo riesce comunque a mettere a nudo il grande divario che separa il mondo della letteratura da molte delle mediocri sceneggiature che affollano il piccolo schermo contemporaneo.
Anche il cast funziona e convince: un merito particolare va nella scelta di Aria Mia Loberti, un’attrice non vedente che riesce a rendere quanto mai autentica e tangibile la condizione della protagonista, facendone pure emergere l’anima delicata e solitaria.
Tutte queste luci, però, vengono oscurate dal rammarico per quello che sarebbe potuto essere un titolo ben più solido e ambizioso, invece di limitarsi a una pallida ripetizione del romanzo.
Sul piano visivo e registico, in particolare, la serie non lascia mai il segno fino in fondo, facendo trasparire soltanto di rado la sinistra e crepuscolare atmosfera di fine seconda guerra mondiale.
Anziché scommettere sul potere delle immagini, gli autori preferiscono affidarsi a una sequela di verbose sottolineature messe forzatamente in bocca ai protagonisti (“siamo già all’inferno“, “la guerra sta per finire“), finendo per togliere forza e incisività alla serie. Un vero peccato!
La recensione in breve
Alla poesia del romanzo di Anthony Doerr, la miniserie Netflix sostituisce la prosa di una narrazione fin troppo densa e pedestre. Spicca però l'indubbia bravura del cast, che avrebbe meritato ben altro spazio a livello registico.
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Voto CinemaSerieTv