C’era una volta… – Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo di catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e riscaldare le stanze.
Inizia così Pinocchio, il romanzo che Carlo Collodi scrisse alla fine dell’Ottocento, e che da più di un secolo viene letto da milioni di lettori e continua a ispirare produttori e cineasti in infinite riletture. Dal classico della Disney del 1940 allo sceneggiato tv di Comencini, fino alle interpretazioni autoriali di Roberto Benigni e di Francesco Nuti. Ma è negli ultimi anni che c’è stato un vero e proprio revival di Pinocchio. Il Pinocchio di Guillermo Del Toro è disponibile finalmente in streaming su Netflix e, leggendo la nostra recensione, è evidente come sia un film consigliatissimo. L’opera di Del Toro arriva a pochi mesi di distanza da un altro Pinocchio, quello diretto da Robert Zemeckis per la Disney (è su Disney+) e a tre anni dall’adattamento molto personale del nostro Matteo Garrone. Adattamenti che ci hanno stupito, deluso, che ci hanno fatto discutere.
Matteo Garrone: Un Pinocchio personale e rispettoso
Iniziamo dal Pinocchio di Matteo Garrone, un regista che è il nostro orgoglio nazionale. Garrone è un regista che amiamo per quella sua crudeltà dello sguardo, per il suo cinema emozionante e senza sconti. Per la sua capacità innata di raccontare favole, qualunque sia la forma narrativa e visiva che voglia ogni volta dare loro. Ogni film di Matteo Garrone, a suo modo, è una favola. E, arrivato alla fiaba per eccellenza, ne ha fatto un film personale e allo stesso tempo rispettoso. Ha firmato un’opera abbagliante per la sua bellezza visiva, un mondo colorato e grottesco, dolce e mostruoso. La cosa migliore è il Geppetto di Roberto Benigni, sempre alla ricerca di qualche lavoro per poter sbarcare il lunario. Reduce dall’esperienza de Il racconto dei racconti, Garrone continua a mostrarci un mondo inedito, che è solo suo, una via unica e personale al cinema fantasy. A questa visione, però, non corrisponde altrettanto coraggio sul piano narrativo. Forse spinto dal fatto di fare un film per il proprio figlio, o dalla produzione che voleva un film di Natale, ha rispettato il racconto, non lo ha reinterpretato, non ne ha dato una sua visione personale. Il risultato, a livello emotivo, in questo modo lascia piuttosto freddi.
Robert Zemeckis: Un remake a tutti gli effetti
E ha lasciato piuttosto freddi – ed è piuttosto raro quando si parla di questo autore – Robert Zemeckis. Ma non poteva essere altrimenti. Il suo Pinocchio, arrivato in streaming lo scorso settembre, è un film commissionato dalla Disney ed è naturale che sia in linea con la legacy della casa. Quella di Pinocchio è un’operazione in linea con quelle degli ultimi anni, che hanno visto la produzione di una serie di film live action tratti dagli storici Classici d’animazione. Così, il Pinocchio di Zemeckis è figlio dei Pinocchio del 1940. Il burattino, realizzato in computer grafica, riprende esattamente l’iconografia di quello del cartone animato, e attorno a lui si muovono degli attori. Grandi attori, va detto: Tom Hanks è Geppetto, e il nostro Giuseppe Battiston è un fantastico Mangiafuoco. Zemeckis innova poco, lascia quasi intatta la storia, e ci immette un sottotesto sulla fama e gli sforzi che vanno fatti per raggiungerla, che è molto attuale. Ci sono anche delle ottime trovate, come Pinocchio che diventa il motore di una barca. Ma, anche qui, il risultato è buono ma non memorabile.
Guillermo Del Toro: Pinocchio non è più un racconto punitivo
Ed è anche per questo che siamo rimasti a bocca aperta di fronte al Pinocchio di Guillermo Del Toro, opera rivoluzionaria nella forma e nella sostanza. Del Toro è il primo a rivoluzionare davvero il racconto di Pinocchio, tradendolo per renderlo finalmente vero e vibrante. A partire dalla forma visiva. Il suo è un film in stop motion in cui è evidente la natura materica dei personaggi, che hanno un trattamento tale da farli sembrare (capita a Pinocchio, ovviamente, ma guardate anche gli altri, come Geppetto) scolpiti nel legno. Il nostro Pinocchio è davvero un pezzo di legno, pieno di nodi, venature e di chiodi che lo tengono assieme. Niente più cappellini e abitini aggraziati. Il suo naso, che si allunga quando dice le bugie, diventa un vero e proprio albero. Ma il nuovo Pinocchio è ancora più rivoluzionario per il messaggio che porta con sé. Muovendosi nell’Italia del Fascismo è un “bravo ragazzo”, un “libero pensatore” che rifugge le omologazioni e le imposizioni. Ma, soprattutto, dopo un secolo e più, Del Toro ribalta quella visione che voleva vedere Pinocchio come il bambino cattivo, disobbediente, che si faceva trascinare dagli altri e ne pagava le conseguenze. Pinocchio è sempre stato colpevolizzante. E, finalmente, non lo è più. La grande rivoluzione di Del Toro è questa.
Steven Spielberg: Se Pinocchio è un bambino meccanico
Il Pinocchio di Del Toro, così, è il primo che abbiamo trovato commovente. O forse no. Forse abbiamo la memoria corta, ma un Pinocchio commovente, innovativo, lo avevamo già visto una ventina di anni fa. Solo che non si chiamava con questo nome. Il titolo è A.I.- Intelligenza Artificiale, un film di Steven Spielberg che riprendeva un progetto di Stanley Kubrick. Se lo spunto è tratto da un racconto di Brian W. Aldiss, la storia del film è a tutti gli effetti quella di Pinocchio. Al posto di un burattino c’è un bambino artificiale (un “mecha”, così è chiamato nel film), uguale in tutto e per tutto al figlio che una coppia ha perduto, che ha in sé un’intelligenza artificiale ed è quindi capace di provare sentimenti. Nella storia che Spielberg ci racconta c’è tutto: Lucignolo (Il Gigolo Joe di Jude Law), il Paese dei Balocchi (la Fiera della Carne) e la Fata Turchina. Ma il cuore è in quel bambino, il piccolo David. Se una delle chiavi del racconto è che un essere artificiale, è puro, sa essere più umano degli umani (la morale che poi avremmo visto in Westworld), l’altra è puro Spielberg. È l’amore incondizionato di un bambino per la propria mamma, che in questo film ci arriva forte e chiaro. E riesce davvero a commuoverci.