Con il debutto della quinta stagione di The Crown su Netflix si riaccende la curiosità morbosa sulle vicende pubbliche e private di Lady Diana Spencer, Principessa del Galles particolarmente amata dal suo popolo a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, è stata ritratta già in decine di film per il grande e piccolo schermo e in serie televisive spesso dimenticabili. Eppure l’avvento della serie Netflix creata da Peter Morgan e l’uscita nelle sale di tutto il mondo nel 2021 del film Spencer di Pablo Larraìn ha ravvivato l’interesse collettivo per una delle icone femminili più potenti e deflagranti del secolo scorso.
Il susseguirsi delle stagioni televisive di The Crown ci hanno restituito una Diana Spencer in costante evoluzione, dagli esordi della tormentata storia d’amore con Carlo d’Inghilterra fino al divorzio che negli anni ’90 mise a dura prova lo status quo della monarchia britannica; prima interpretata dalla brava e somigliante Emma Corrin nella quarta stagione, nella quinta stagione della serie Diana prende le sembianze dell’australiana Elizabeth Debicki, straordinaria attrice che ha regalato alla Principessa del Galles fragilità e potenza destabilizzante; ritratto inedito di una mina vagante che la accomuna fortemente a quello firmato da Larraìn ed interpretato da un’inedita Kristen Stewart. Mettiamo a confronto queste due visioni.
Anni ’90: venti di divorzio
Nella quinta stagione di The Crown, il testimone dell’ingombrante ruolo di Diana Spencer passa da Emma Corrin all’australiana Elizabeth Debicki. Una somiglianza tremendamente realistica quella dell’attrice con la Principessa del Popolo che ha già raccolto il plauso di moltissima parte della critica e del pubblico. Ma partiamo proprio dall’effetto somiglianza, che nella serie televisiva creata e scritta da Peter Morgan ha una funzione tutt’altro che irrisoria e superficiale. Al netto dei vari interpreti scelti a partire dalla prima stagione, soltanto il personaggio di Diana è stato trattato in fase di scrittura e casting con reverente cura per la verosimiglianza estetica; prima la Corrin e poi la Debicki, entrambe le attrici sono state scelte non solo per il loro talento davanti la macchina da presa, ma anche per la loro straordinaria comunanza fisica con la madre di William ed Harry Windsor. Cosa significa tutto questo?
Scegliere di ritrarre Diana al massimo della verosimilitudine esteriore significa porre un’enfasi speciale alla funzione del suo personaggio all’interno del “sistema” The Crown. Già a partire dagli eventi raccontati nella quarta stagione la nostra protagonista femminile era stata incorniciata come un pesce fuor d’acqua, una felice ed imprevedibile mina vagante che di lì a poco avrebbe scosso dall’interno tutti gli equilibri prestabiliti della monarchia britannica. Da fautrice di una delle favole più luccicanti dell’era mediatica moderna con il matrimonio del secolo con Carlo al divorzio tumultuoso nella metà degli anni ’90, in The Crown Diana è l’elemento di disturbo che cambia per le carte in tavola, della narrazione e della storia stessa della Corona.
Una bomba pronta ad esplodere
Non è difatti un azzardo affermare che il ritratto televisivo della Principessa del Galles ideato da Peter Morgan sia una vera e propria bomba pronta ad esplodere, un meccanismo ad orologeria che non aspetta altro di mettere a soqquadro l’assetto di una delle famiglie reali più tradizionali e radicate nella storia occidentale. Lei, che mossa da un indicibile infelicità coniugale, ha scelto di procedere con la separazione da Carlo d’Inghilterra, mettendo definitivamente fine ad una delle favole mediatiche più imponenti del Novecento; quella della Diana Spencer interpretata da Elizabeth Debicki è tutto sommato una traiettoria che, partendo dalle istanze della fiaba, si scontra con la dura realtà dei desideri e delle necessità più intime ed umane, terminando in una vera tragedia.
Non soltanto il matrimonio del secolo scorso si chiude con un divorzio che deflagra sempre di più la credibilità della monarchia dei Windsor (e in questo, il quinto appuntamento dello show Netflix è stato fortemente eloquente), ma tale credibilità viene ulteriormente distrutta dall’interno con la famigerata e discutibile intervista alla BBC che la Principessa del Galles concede nel novembre del 1995, quando la principessa vuota il sacco e rivela in prima serata le infedeltà del marito e la sua profonda infelicità derivata da esse. Forse più che con le carte del divorzio firmate successivamente dalle due controparti, è stato quell’evento televisivo ad aver definitivamente chiuso l’arco narrativo “da favola” di Diana Spencer, perlomeno agli occhi del popolo che l’adorava. Da quel momento Lady D era pronta ad un’incerta vita votata alla gentilezza, ad una ritrovata umanità, a vivere in una “terra di nessuno” che in seguito le avrebbe riservato un nuovo interesse amoroso (quello con Dodi al-Fayed) e una morte tragica avvenuta a Parigi nell’agosto del 1997.
I dolori di una principessa del popolo
Tutto ciò che abbiamo appena raccontato della Lady Diana di The Crown si riflette curiosamente anche in un altro prodotto audiovisivo dedicato alla vita e ai dolori della sfortunata Principessa del Galles. Nel 2021 Spencer era stato presentato alla 78° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia con ottimo successo, diretto da Pablo Larraìn e scritto superbamente da Steven Knight. A vestire i panni di Lady D un’inedita Kristen Stewart in opposizione quasi diametrale a Elizabeth Debicki in quanto a verosimiglianza fisica; un vero e proprio scacco alla sospensione dell’incredulità dello spettatore che però è stata ripagata da un’interpretazione intensa e da una struttura narrativa avvolgente ed originale. In Spencer, Larraìn racconta la stessa tristezza ed infelicità della principessa inglese senza però dilatare i tempi cronologici dell’evoluzione del personaggio, bensì comprimendoli in tre gioni fatidici: la vigilia, il giorno di Natale e di Santo Stefano del 1991 nella tenuta reale di Sandringham.
In una narrazione ambiziosa ed ovviamente slegata da ogni documentazione reale, il lungometraggio del regista cileno abbraccia tutta l’instabilità e la fragilità psicologica della sua protagonista femminile in un racconto di fantasmi ed ossessioni interiori che deve molto all’opera letteraria di Charles Dickens e che incornicia in maniera senza precedenti la decisione di Diana di voler separarsi da Carlo e di vivere una vita più simile a quella che conduceva a casa Spencer da bambina ed adolescente; una vita nella quale non si deve seguire alcuna etichetta, nessuna regola e fare quello che si vuole. “Sarebbe un miracolo” dice la Diana di Kristen Stewart ad un certo punto del film, rivolta ai suoi due piccoli William ed Harry.
Il potere deflagrante di Diana Spencer
Anche nel film di Pablo Larraìn si denota una principessa dilaniata da una profonda infelicità, la stessa tristezza che la porterà a prendere una decisione di proporzioni deflagranti, per la sua vita futura e per gli equilibri della Corona Windsor negli anni a venire. Un percorso che The Crown racconta in dettaglio in un progetto audiovisivo ben più ampio e della durata di dieci episodi televisivi, ma che invece Spencer fa gettando alle ortiche la verosimiglianza storica non soltanto degli eventi narrati (e qui, il fatto che la Stewart non assomigli per nulla a Lady D la dice lunga sull’inedita ambizione della pellicola) ma narrando tale percorso di autoconsapevolezza con originalità ed un assetto da horror psicologico che funziona alla grande.
In fin dei conti, quelli di The Crown e Spencer sono due lati della stessa medaglia nel voler raccontare con efficacia uno dei momenti decisivi non solo della vita di una delle icone più emblematiche del Novecento, ma anche uno dei periodi più neri e problematici del regno di Elisabetta II tra scandali di corte, divorzi e tragiche morti che hanno segnato una delle pagine mediatiche più tristi della fine del secolo scorso. Due modi differenti eppure speculari di narrare la Storia con la esse maiuscola.