Chef Giorgio Locatelli lo ha chiamato “turning point”, punto di svolta. Quello di ieri, in effetti, lo è stato eccome per Andrea Sciamanna e Alberto Pierobon, due dei concorrenti più amati di MasterChef Italia 13. In senso però negativo, visto che hanno dovuto abbandonare il cooking show più amato del Belpaese. E la commozione delle compagne e dei compagni viaggio è stata più che reale. Così, a quasi 24 ore dalla sconfitta (che poi sconfitta non è mai), abbiamo chiacchierato con loro facendoci raccontare i momenti più belli (e quelli più difficili) della loro esperienza a MasterChef.
Accidenti agli errori
Andrea è stato uno dei concorrenti più amati nella classe. Marchigiano ma con cuore cinese, non è riuscito però mai a dare la zampata giusta. Cos’è mancato? “Ho dimenticato come si gareggia!“, ha risposto sorridendo. “Ho cercato di affrontare le prove con un’umiltà e una pazienza che non pensavo di avere. Mostrando un lato di me che ho sempre avuto paura a far vedere, quello sensibile. Sono inciampato tante volte e non sono stato capace di rimettermi in piedi con lucidità. In tutto questo, però, ho capito che la sensibilità è una parte importante di me. Tutto sommato, è andata come doveva andare. Sono felice di aver provato sempre a fare qualcosa di strano, non solo il compitino“, ha aggiunto.
Veneto DOC, detto Pierobot per la sua inappuntabile precisione, Alberto ha da subito dimostrato talento da vendere. E da molti era considerato come uno dei vincitori. Poi, la caduta sulla presentazione del calamaro imbottito al Pressure Test. Cos’è successo? “Ho fatto un errore grave e gli errori si pagano. Anche se era il primo. Non mi ero reso conto di aver preso il calamaro non pulito. All’inizio è stata dura, ci sta. Dispiace, ma comunque ho fatto vedere quello che valevo. Ho avuto una marea di messaggi in cui mi dicevano che ero stato bravo e che aspettano l’apertura del mio ristorante. Volevo arrivare nei primi cinque, ma alla fine non è morto nessuno!”
Persona vs. personaggio
MasterChef è un programma televisivo che sa essere davvero stressante. E che, a volte inconsciamente, trasforma i concorrenti in personaggi loro malgrado. Quanto è stato difficile, se lo è stato, restare autentici sotto ai riflettori? Il primo a risponderci è stato Andrea. “Non sono riuscito a tirare fuori il mio lato giocoso, divertente. Non dico di essere Niccolò, che ha una naturalezza grandissima, che, poi è quella che avevo alla sua età. La paura è stata un componente forte che mi ha fatto trasparire in una certa maniera. Voler essere diverso mi ha portato a non essere me stesso. Ci sono state persone che hanno mostrato una grinta sorprendente, altre che non sono riuscite a tirare fuori quel lato naturale e spontaneo. Pensando di dover essere seri. Questo mi ha portato a nascondere il lato genuino e solare e mi è dispiaciuto. Io ho tirato fuori sensibilità e umanità, in un contesto così intenso. Avrei preferito non uscisse o non fosse preponderante, ma mi dà forza per il futuro“.
Alberto, invece, ci ha detto di non aver mai pensato a creare una maschera. “Sono sempre stato me stesso, introverso, mi ci vuole tempo per aprirmi. Mi dispiace non aver tirato fuori la parte simpatica, perché anche io sono simpatico. Sono statO me stesso dall’inizio alla fine. Non mi è mai passato per la testa di creare un personaggio, anzi. Certe scene troppo teatrali proprio non mi appartengono, non mi piacciono né le condivido“.
MasterChef, team vs. singolo
Un altro dei dilemmi di MasterChef è da sempre il contrasto fra gara singola e spirito di squadra. Contrasto che Andrea e Alberto hanno risolto come meglio hanno potuto. A discapito del cinismo. “Per me l’aspetto umano è sempre importante e spesso lo si dimentica. MasterChef, però, è una gara. E una gara a volte necessita di cinismo, perché vince una persona sola, non la squadra. Confrontarsi è stato bellissimo. Pensavo di aver fatto piatti meravigliosi, poi guardavo Alberto e i suoi capolavori e mi dicevo ‘cavolo’. Il rapporto, il poter parlare, è stato importantissimo. Poi c’è la lucidità di fare strategie, come quando sei in esterna o quando ti ritrovi a dare penalità. Ecco, questo punto di vista non mi appartiene, non so competere, non voglio essere il migliore. Ho fatto il mio percorso e non mi dispiace, ma non sono stato né cinico né competitivo né egoista“, ha risposto Andrea.
“All’inizio io pensavo solo a me stesso, poi ho conosciuto persone come Andrea e sono cambiato totalmente. Mi sono affezionato a tutti, Lorenzo, Sara, Niccolò… Così ho messo da parte la strategia. Non immaginavo di conoscere persone che mi facessero aprire così tanto. Sono felice di averli conosciuti, è la cosa più bella di MasterChef. La diversità ci ha unito“, ha aggiunto Alberto.
Ragione e sentimento
Ora che tutto è finito (ma si parla solo di MasterChef, ovviamente), riguardando indietro alloro percorso, qual è stato il peggior nemico di Andrea e Alberto? “Il peggior nemico di Andrea è stato Andrea. Il mio bagaglio emotivo mi ha portato a non esprimere me stesso, avevo paura di essere banale e di non essere abbastanza. Questa cosa mi ha fatto fare molti errori. Mettiamoci pure che tutti abbiamo soggezione davanti a tre chef come quelli. Sotto sotto un po’ ci crediamo e abbiamo paura di fallire, chi più chi meno. La verità è che avrei dovuto far pace con me stesso e non combattermi“, ha raccontato Andrea.
Il nemico di Alberto, invece, è stata la mancanza di controllo. “Non sapere cosa avrei trovato come ingredienti, quale fosse l’argomento della sfida o anche la città dell’esterna quasi non mi faceva dormire la notte. Sono abituato a progettare un piatto per molti giorni, per averlo perfetto e bilanciato. Poi, una volta scoperti gli ingredienti entravo in un altro mondo“, ha concluso.