Titoli episodi: La rivincita, Il terrorista e il generale La serie: Il nostro generale Regia: Andrea Jublin. Genere: Drammatico, storico. Cast: Sergio Castellitto, Teresa Saponangelo, Antonio Folletto, Camilla Semino Favro, Flavio Furno, Andrea Di Maria, Romano Reggiani, Viola Sartoretto, Stefano Rossi Giordani, Alessio Praticò. Durata: 50 minuti. Dove l’abbiamo visto: su Rai Play.
Trama: La squadra del Generale Dalla Chiesa continua a mietere successi, ma i gruppi terroristici sono sempre più organizzati. All’indomani della morte di Moro, le BR lanciano la sfida allo Stato. Ma tra di loro cominciano a esserci i primi pentiti, come Patrizio Peci.
Due episodi di raccordo. Due capitoli con meno azione e più riflessione che però ci accompagnano degnamente verso l’epilogo di Il nostro generale, serie di Rai 1 dedicata all’esperienza del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nella lotta alle Brigate Rosse. Si tratta di una sfida sempre più sanguinosa e dolorosa che non solo fa segnare molte perdite sul campo, ma ridefinisce certezze e pensieri di ogni singolo protagonista. Parla di guerra Dalla Chiesa, riferendosi alla lotta alle BR e con questa parola racchiude il senso profondo di una tragedia ineluttabile.
Sempre più schiacciati tra l’obbligo e la dedizione alla causa e una vita privata devastata, sia uomini di legge che terroristi condividono un destino comune: la solitudine. A cui, però, danno diverso significato. Se per i carabinieri come Nicola e Trucido, figura che in questi due episodi emerge in tutta la sua forza, è un prezzo da pagare per ottenere giustizia e di combattere il male, per i brigatisti è solo un danno collaterale. Almeno fino a quando il costo non diventa troppo alto. La figura di Patrizio Peci, allora, primo pentito delle BR, assume un ruolo essenziale nelle puntate. Ma andiamo a parlarne meglio nella nostra recensione della quinta e sesta puntata de Il nostro generale.
La trama: tornare nell’ombra
L’onda lunga della morte del presidente della DC, Aldo Moro si abbatte sul Generale Dalla Chiesa e sulla sua squadra, che continua ad agire tra il plauso dell’opinione pubblica e i dubbi della classe politica e dei giornalisti. Così, mentre il Nucleo Speciale continua a scovare covi delle BR, il memoriale di Moro finisce tra le mani di Dalla Chiesa che lo presenta al Ministro dell’Interno Rognoni. In quelle pagine c’è un durissimo attacco alla politica italiana, racchiuso in due parole, “i pochi onesti”, che suonano come una condanna per la Democrazia Cristiana, vittima di un regista freddo e senza pietà umana come Giulio Andreotti. Dalla Chiesa, uomo dello Stato e soprattutto uomo d’azione, mal sopporta quell’andirivieni con le stanze del potere. In un momento umano delicatissimo, segnato dalla profonda solitudine per la morte della moglie. Il 1979 è un anno orribile. Muoiono Guido Rossa, operaio genovese ucciso dalle BR per delazione nei confronti di un terrorista, il giudice Emilio Alessandrini e anche il giornalista di OP Mino Pecorelli. Da sempre feroce accusatore di Andreotti. Proprio il Divo, con un colpo di scena dei suoi, chiede a Dalla Chiesa di restare alla guida del pool antiterrorismo.
L’arresto di Patrizio Peci, esponente di spicco della colonna torinese delle BR, dà il via a un nuovo capitolo della storia. Il ragazzo, infatti, conquistato dall’umanità di Trucido, uno degli elementi più importanti della squadra di Dalla Chiesa, decide di collaborare con la Giustizia. E sebbene non ci siano ancora leggi ad hoc sui collaboratori, darà un contributo decisivo nella scoperta del covo di via Fracchia a Genova, dove l’irruzione, nel marzo del 1980, porterà alla morte di numerose persone tra terroristi e uomini dell’Arma. Nicola, che della carneficina si sente responsabile, conosce sul luogo un giovane giornalista del Corriere della Sera, Walter Tobagi che solo due mesi dopo sarebbe stato ucciso da aspiranti brigatisti. La guerra è ormai totale. E per Dalla Chiesa si apre uno spiraglio a livello sentimentale. L’incontro con la futura moglie Emanuela Setti Carraro.
D’amore e guerra
Abbiamo parlato all’inizio di due puntate di raccordo, più riflessive e meno action se vogliamo, necessarie però ad anticipare i futuri sviluppi della storia. In questi episodi emerge forte la solitudine del protagonista che sfrutta un’escamotage divertente per farsi cucinare le patatine fritte dalla figlia Rita e parlare così a cuore aperto con lei. Schiacciato da una ragion di Stato che nega la sua natura di uomo d’azione, Dalla Chiesa è un uomo che si sente sotto accusa.
Soprattutto dalla stampa (cita Giorgio Bocca e Mino Pecorelli). Il regista Jublin sceglie di raccontare questo aspetto della vita del Generale mettendolo in relazione con i suoi uomini, anch’essi profondamente in crisi. In questo modo, in maniera efficace, ci distacchiamo dalla figura dell’eroe solitario, in favore di un racconto corale più ampio, dove gli sprazzi di luce arrivano dalle figure femminili. Come la giovane cassiera torinese che ha stregato Nicola con la sua vitalità e intelligenza. O la dolce Emanuela Setti Carraro che chiude l’ultimo episodio consegnando al Generale un fiore bianco.
Quei bravi ragazzi
Non mancano i riferimenti pop alla cultura dell’epoca (il primo episodio si apre con Rumore di Raffaella Carrà) e con le tantissime vicende di cronaca degli anni di piombo, ma tutto è sempre focalizzato sulle esperienze umane dei protagonisti. Ed è sul terreno comune dell’umanità che si gioca la partita tra militari e terroristi. Perché, come dice Dalla Chiesa, un nemico si combatte ma a un certo punto devi anche saper mangiare un panino con lui. Al di là della rappresentazione amichevole del rapporto tra brigatista pentito e carceriere, c’è una verità di fondo che emerge soprattutto nella seconda puntata.
I terroristi sono ragazze e ragazzi di buona famiglia, con molta ideologia e pochi bisogni reali dice Dalla Chiesa. Impaurite e impauriti dal carcere. Forse la semplificazione è troppo scarna, ma un fondo di verità c’è, eccome. E lo dimostra l’omicidio di Walter Tobagi effettuato da giovanissimi aspiranti BR, appartenenti a famiglie bene di Milano. Curiosamente, fu Sergio Castellitto a interpretare il cronista del Corriere della Sera nel film di Vittorio Sindoni, Una fredda mattina di maggio.
La recensione in breve
Queste due puntate rappresentano un momento di pausa, forse necessaria, in un racconto fino a qui denso di emozioni. Per questo appaiono come le meno trascinanti, anche se riservano qualche momento di grande interesse, soprattutto nel confronto tra uomini di legge e terroristi.
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